Yoga: l'energia che trasforma
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Yoga: l'energia che trasforma

  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Yoga: l'energia che trasforma

Informazioni su questo libro

Lo Yoga non è qualcosa di metafisico, non si preoccupa di interrogativi distanti: domande remote sulle vite passate e su quelle future, sul paradiso e l'inferno, su Dio e l'aldilà. Lo Yoga si interessa agli interrogativi vicini a casa: più la domanda è vicina, più è possibile che abbia una soluzione. Se riesci a porre la domanda più vicina a te, è più che probabile che il semplice farla porti con sé la sua risoluzione. E una volta che hai risolto l'interrogativo, hai fatto il primo passo; a quel punto ha inizio il pellegrinaggio. Poco per volta cominci a risolvere le domande distanti; in ogni caso, però, l'intera indagine dello Yoga tende a portarti vicino a casa.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804658702
eBook ISBN
9788852068362
1

Chiedi per avvicinarti a casa

Dharana, la concentrazione, consiste nel restringere la mente all’oggetto di meditazione.
Dhyana, la contemplazione, è il flusso ininterrotto della mente verso l’oggetto.
Samadhi è quando la mente diviene una cosa sola con l’oggetto.
Questi tre, applicati insieme – dharana, dhyana e samadhi – costituiscono samyama.
Padroneggiando tutto questo – la luce della somma consapevolezza.
Una volta, un Maestro Zen sollecitò i suoi studenti a porre delle domande.
Uno studente chiese: «Quali sono le ricompense future che si possono aspettare coloro che si impegnano diligentemente nei loro studi?».
Il Maestro rispose: «Fa’ una domanda più vicina a casa».
Un altro studente volle sapere: «Come posso impedire che le mie follie passate tornino ad assillarmi?».
Il Maestro rispose: «Fa’ una domanda più vicina a casa».
A quel punto un terzo studente alzò la mano e disse: «Maestro, non capiamo cosa vuoi dire, chiedendoci di fare una domanda più vicina a casa».
«Per vedere lontano, prima di tutto guarda vicino. Sii pienamente consapevole del momento presente, poiché contiene risposte sul passato e sul futuro. Qual è il pensiero che ti ha appena attraversato la mente? In questo momento sei seduto vicino a me con un corpo rilassato o con un corpo in tensione? La tua attenzione è pienamente all’erta oppure è parziale? Avvicinati a casa facendo domande come queste. Domande vicine conducono a risposte distanti.»
Questa è l’attitudine dello Yoga nei confronti della vita. Lo Yoga non è qualcosa di metafisico; non si preoccupa di interrogativi distanti: domande remote sulle vite passate e su quelle future, sul paradiso e l’inferno, su Dio e altre cose del genere.
Lo Yoga si interessa agli interrogativi vicini a casa: più la domanda è vicina, più è possibile che abbia una soluzione. Se riesci a porre la domanda più vicina a te, è più che probabile che il semplice farla porti con sé la sua risoluzione. E una volta che hai risolto l’interrogativo più vicino, hai fatto il primo passo; a quel punto ha inizio il pellegrinaggio. Passo dopo passo, inizi a risolvere le domande distanti; in ogni caso, però, l’intera indagine dello Yoga tende a portarti vicino a casa.
Dunque, se chiedi a Patanjali qualcosa su Dio, non ti risponderà. Di fatto, penserà che sei un po’ sciocco; lo Yoga ritiene che tutti i metafisici siano degli sciocchi: sprecano il loro tempo su problemi che non possono essere risolti, e questo perché sono oltremodo distanti. Meglio iniziare dal punto in cui ti trovi. In realtà puoi iniziare soltanto da dove sei: qualsiasi viaggio, se è reale, comincia là dove sei. Dunque, non porre domande intellettuali, metafisiche sul trascendente, sull’aldilà; fa’ domande su ciò che accade dentro di te.
Questa è la prima cosa da comprendere rispetto allo Yoga: è una scienza. Ed è molto pragmatica, del tutto empirica. Risponde a tutti i requisiti propri di una scienza. In realtà, ciò che viene definito scienza è un po’ distante, perché si concentra sugli oggetti; e lo Yoga afferma questo: se non comprendi il soggetto, ovvero la tua natura, ciò che è più vicino a te, come puoi capire l’oggetto? Se non conosci te stesso, qualsiasi altro sapere sarà inevitabilmente fallace; e questo perché manca la base. Ti trovi su un terreno di menzogne: se non sei illuminato dentro di te, qualsiasi luce porti all’esterno non ti potrà mai aiutare. Se invece dentro di te hai la luce, non ci sarà più alcun timore: puoi anche lasciare che all’esterno ci sia oscurità, perché la tua luce interiore ti sarà più che sufficiente. Illuminerà il tuo sentiero.
La metafisica non aiuta, può solo confondere.
Quando ero studente universitario, mi accadde di iscrivermi a filosofia morale, per studiare l’etica. Andai solo alla prima lezione di quel professore: non potevo credere che una persona potesse essere così antiquata. Parlava di argomenti che risalivano a cento anni prima, come se fosse del tutto ignaro dei nuovi sviluppi che c’erano stati in quell’ambito. Ma la cosa poteva anche essere perdonata… era terribilmente noioso, sembrava che volesse fare di tutto per annoiarti; ma anche questo non era un gran problema, perché avrei potuto dormire. Purtroppo, era anche irritante, aveva una voce stridula: un tono, un modo di fare… anche a questo, però, ci si poteva abituare. Il vero problema era la sua terribile confusione. In realtà, non ho mai incontrato un uomo che racchiudesse in sé tutte quelle qualità!
Non mi presentai più alle sue lezioni. Ovviamente, la cosa doveva averlo indispettito molto, però non disse mai nulla. Attese il suo momento; infatti, sapeva che un giorno gli sarei capitato davanti, agli esami. E io mi presentai. Ma lui rimase ancor più infastidito, perché ottenni un punteggio di novantacinque su cento. Non poteva crederci!
Un giorno, mentre stavo uscendo dalla caffetteria dell’università e lui stava entrando, mi fermò e disse: «Ascolta. Come ci sei riuscito? Hai seguito soltanto la mia prima lezione e per due anni non ho più visto la tua faccia; come sei riuscito a ottenere un voto di novantacinque su cento?».
Dissi: «Dev’essere a causa della sua prima lezione».
Rimase perplesso e chiese: «La mia prima lezione? Solo per un’unica lezione? Non prendermi in giro, dimmi la verità!».
Dissi: «La buona creanza non me lo consente».
Replicò: «Lascia perdere il galateo. Dimmi la pura e semplice verità. Non mi darà fastidio».
Spiegai: «Le ho detto la verità, ma lei mi hai frainteso. Se non avessi seguito la sua prima lezione, avrei preso cento punti su cento. Lei mi ha confuso! Di conseguenza, ho perso cinque punti».
La metafisica, la filosofia, tutti i ragionamenti sui massimi sistemi non fanno che confonderti. Non ti portano da nessuna parte e disorientano la tua mente; semplicemente, ti danno pensieri su pensieri, senza aiutarti a diventare più consapevole.
Pensare non sarà d’aiuto: soltanto la meditazione ti può essere utile. E la differenza è questa: mentre pensi, sei più coinvolto dai pensieri; mentre mediti, sei più attento alla consapevolezza.
La filosofia si interessa alla tua mente, lo Yoga alla consapevolezza. La mente è ciò di cui puoi diventare consapevole: puoi osservare il tuo processo di pensiero, puoi vedere i pensieri che scorrono, i sentimenti che si agitano, puoi vedere i sogni che fluttuano come nuvole. Simili a un fiume, tutte queste cose continuano a scorrere… è un continuum. Ciò che può vedere tutto questo è la consapevolezza.
L’intero sforzo dello Yoga è conseguire ciò che non può essere ridotto a un oggetto, che resta irriducibile, ciò che può essere unicamente la tua soggettività. Non lo puoi vedere, poiché è colui che vede; né lo puoi afferrare, perché tutto ciò che puoi afferrare è qualcosa che non sei. Proprio perché lo puoi afferrare, diventa qualcosa di separato da te.
Questa consapevolezza che è sempre sfuggente e si ritrae in continuazione, e qualsiasi sforzo tu faccia risulta fallace… Ebbene, giungere a questa consapevolezza – come giungere a questa consapevolezza – è l’essenza dello Yoga.
Essere uno yogin vuol dire realizzare il proprio potenziale. Lo Yoga è la scienza di fermare ciò che va fermato e risvegliare quanto va risvegliato; di distinguere tra ciò che sei e ciò che non sei, operando una separazione netta che ti permetta di vedere te stesso con chiarezza. Una volta che hai avuto un bagliore della tua natura, di ciò che sei, tutto il mondo cambia; allora puoi vivere nel mondo senza che quest’ultimo abbia più il potere di distrarti. In realtà, nulla potrà distrarti, perché sarai centrato. Potrai andare ovunque senza mai cambiare, perché avrai raggiunto e conseguito l’eterno, ciò che non si muove né muta mai.
Oggi cominciamo la terza parte dei Sutra sullo Yoga di Patanjali, il Vibuthi Pada. È una parte decisiva, perché la quarta e ultima, il Kaivalya Pada, corrisponde al raggiungimento dei frutti. Questa terza parte, il Vibuthi Pada, è il punto di arrivo di tecniche, metodi, mezzi; la quarta non è che il risultato di tutti gli sforzi. Kaivalya significa solitudine, completa libertà di essere soli, senza dipendere da niente e nessuno: sei così appagato che la tua presenza è più che sufficiente. Questo è lo scopo dello Yoga. Nella quarta parte parleremo solo dei frutti, ma se manchi la terza, non sarai in grado di comprendere la quarta. La terza è il fondamento.
Se la quarta parte dei Sutra sullo Yoga di Patanjali fosse distrutta, nulla andrebbe perduto, perché chiunque riuscisse a realizzare la terza parte si ritroverebbe automaticamente nella quarta. Di quest’ultima possiamo fare tranquillamente a meno; in un certo senso è inutile, perché tratta della fine, dello scopo.
Chiunque segua il cammino arriverà alla meta: non occorre parlarne. Patanjali lo fa per aiutarti; infatti, la tua mente vuole sapere: «Dove stai andando? Qual è la tua meta?». La mente vorrebbe essere convinta e Patanjali non crede nella fiducia, nella fede, in un credo. È uno scienziato puro; semplicemente accenna alla meta, perché le radici e le fondamenta sono nella terza parte.
Finora non abbiamo fatto che prepararci a questo Vibuthi Pada, il punto di arrivo di ogni tecnica. Nei discorsi precedenti abbiamo parlato degli strumenti utili, quelli esteriori. Patanjali li chiama bahiranga, “periferici”. Ora è il momento di questi tre: dharana, dhyana, samadhi, concentrazione, meditazione e samadhi. Essi sono detti antaranga, “interni”. I primi cinque hanno preparato te, il tuo corpo e la tua personalità – la periferia – ad andare all’interno. Infatti, Patanjali procede passo dopo passo: la sua è una scienza graduale. Non è un’illuminazione improvvisa, ma un cammino progressivo: ti guida passo dopo passo.
Il primo sutra:

Dharana, la concentrazione, consiste nel restringere la mente all’oggetto di meditazione.

L’oggetto, il soggetto e ciò che va oltre: questi tre elementi vanno ricordati. Se mi guardi, io divento l’oggetto e tu il soggetto. Scendendo più in profondità, però, puoi vedere te stesso mentre mi guardi, e questo è andare oltre. Tu puoi guardarti mentre mi guardi: provaci. Io sono l’oggetto che guardi, tu il soggetto che guarda. Al tuo interno puoi metterti da un lato e vedere che mi stai guardando: questo è andare oltre.
Prima bisogna concentrarsi sull’oggetto. Concentrazione vuol dire restringere la mente.
Di solito, la mente è un traffico incessante: in essa si muovono mille e un pensiero, come una folla impazzita. Con tanti oggetti, è inevitabile essere confusi, scissi. Vai allo stesso tempo in tutte le direzioni; sei sempre in uno stato di follia, come se venissi tirato in tutte le direzioni e ogni cosa restasse incompleta. Vai a sinistra, ma qualcosa ti tira verso destra; vai a sud e qualcosa ti tira verso nord. Non arrivi mai da nessuna parte, perché sei un caos, un gorgo, un vortice di ansia continua.
Questo è lo stato della mente ordinaria: una moltitudine di oggetti che quasi nasconde il soggetto. Non puoi avere la percezione di te stesso, perché sei assorbito da così tante cose che non hai una sola pausa per guardare in te. Non hai la quiete, la solitudine necessarie; sei sempre nella folla: non riesci a trovare uno spazio, un angolo in cui scivolare in te stesso. E gli oggetti chiedono continuamente la tua attenzione; ogni pensiero la reclama, la costringe. Questo è lo stato ordinario: praticamente una follia!
Di fatto, distinguere i matti da chi non è matto non è corretto; la differenza sta solo nella gradazione: non è una questione di qualità, ma di quantità; tu puoi essere matto al novantanove per cento, mentre il matto lo è al centouno per cento! Osservati: anche tu molte volte attraversi il confine. Quando ti arrabbi, vai fuori di testa e fai cose che non avresti mai immaginato di fare e per le quali in futuro ti pentirai, dicendo: «È stato più forte di me», «È stato come se fossi posseduto, se qualcuno mi avesse costretto a compiere quell’azione. Io non volevo farla, è tutta colpa di qualche spirito maligno, di un demonio». Più di una volta anche tu attraversi il confine, ma poi fai sempre ritorno al tuo stato di follia ordinaria.
Osserva un matto. La gente ha sempre paura di guardare un matto, perché in tal modo ci si accorge improvvisamente della propria follia. Ti rendi conto che c’è solo una differenza di gradi; lui si è spinto un po’ oltre, rispetto a te… Ma tu stai solo facendo la fila, vieni dopo di lui.
Una volta, William James andò a visitare un manicomio e ne tornò affranto, corse subito a nascondersi sotto le lenzuola. La moglie gli chiese perplessa: «Perché sei così abbattuto?». Di solito, era una persona allegra.
Lui rispose: «Sono stato al manicom...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Yoga: l’energia che trasforma
  4. Premessa dell’Autore
  5. 1. Chiedi per avvicinarti a casa
  6. 2. Il silenzio è la risposta
  7. 3. Sii autentico!
  8. 4. La vita è meravigliosa perché è insicura
  9. 5. Un’esperienza esistenziale
  10. 6. Senza confini
  11. 7. Tu sei responsabile
  12. 8. Il richiamo dell’ignoto
  13. 9. L’eterno albero della vita
  14. 10. Anche il nulla si dissolverà
  15. Yoga: una via di risveglio
  16. Piano dell’opera
  17. Sull’Autore
  18. Per approfondire
  19. Copyright