Parigi, 1780
Lui era il tipo d’uomo che sapeva far sua una donna con un solo sguardo, esattamente come quello che le stava rivolgendo proprio in quell’istante.
Lynette Baillon guardava il famigerato Simon Quinn in modo altrettanto spudorato, ammirando i suoi lucenti capelli corvini e i suoi meravigliosi occhi blu.
Simon se ne stava appoggiato a una colonna nella sala da ballo della baronessa Orlinda, con le braccia incrociate sul petto ampio e una caviglia disinvoltamente accavallata sull’altra. Aveva un’aria al contempo oziosa e vigile: se n’era già accorta la prima volta che l’aveva visto passare a cavallo per le strade di Parigi. Quella sera indossava un completo nei toni del blu e del tortora, un abbinamento di eleganza raffinata ed estremamente affascinante. Lui spiccava per l’austera attrazione che sapeva esercitare in quell’ambiente dal forte richiamo sessuale, fatto di candele profumate, di fragranze esotiche, di divanetti sapientemente nascosti dietro paraventi e di servitori vestiti con abiti molto succinti. A dire il vero, quel contegno rilassato era molto più allettante della condotta di coloro che si agitavano in preda a evidenti pruriti sessuali.
Lei aveva scelto un abito bianco; le sottane erano impreziosite da ricchi fiocchi color crema e nastrini d’argento, che assieme al suo incarnato, ai capelli biondi e al rosso rubino della maschera non facevano che attirare tutti gli sguardi, compreso quello di Simon.
Nessuno li aveva mai presentati; lei lo conosceva soltanto perché l’aveva sentito nominare da qualcuno durante una conversazione, e da allora si era messa ad ascoltare con avido interesse tutte le storie raccontate a mezza voce sulla sua immoralità e le sue umili origini. Viveva da solo, ai margini della società , invidiato dagli uomini e braccato dalle donne per la stessa ragione: niente titoli, proprietà o limiti morali a riscattarlo, solo la riconosciuta esperienza di amante a fargli da biglietto da visita. Alla baronessa, rimasta vedova, piaceva impressionare l’alta società ed era per questo che lui si trovava lì. Rappresentava un elemento originale e sembrava che quel ruolo gli piacesse, eppure Lynette provava un forte impulso ad avvicinarsi a lui, a mettersi al suo fianco e a isolarsi dal mondo insieme a lui.
Simon Quinn era alto e possente. Aveva una mascella scolpita e il naso dritto e affilato come la lama di un coltello. L’arcata perfetta delle sopracciglia gli conferiva un’aria arrogante, mentre le ciglia lunghe e folte aggiungevano un tocco di umanità . Tuttavia, la cosa che più trovava attraente in lui era la bocca: le labbra erano perfette, né troppo carnose, né troppo sottili, e quando si incurvavano in un sorriso, come ora, erano irresistibili. Lynette avrebbe voluto leccarle, mordicchiarle, sentirle muoversi sulla propria pelle nuda.
«Tu mi assomigli molto» le aveva detto una volta sua madre. «Sei una creatura appassionata, ti lasci trasportare troppo dalle emozioni. Spero che tu non ne sia sopraffatta.»
In quel momento sentiva davvero il sangue ribollirle nelle vene e il fiato corto sotto lo sguardo insistente di quell’uomo. Il cuore le batteva fortissimo. Che uno sconosciuto riuscisse a suscitare in lei una simile reazione in mezzo a tanta gente, nonostante la distanza che li separava, non faceva che eccitarla ancora di più.
D’un tratto, lui si tirò su e le si avvicinò con passo elegante e predatore; in un attimo percorse lo spazio che li divideva. Puntava dritto su di lei, infischiandosene di chi era costretto a spostarsi per fargli largo. Lei fece un profondo respiro e avvertì le mani sudate sotto i guanti.
Quando la raggiunse, Lynette sollevò la testa per guardarlo dritto in faccia e godere appieno di tutta la sua selvaggia bellezza. Inspirò a pieni polmoni tutto il suo profumo, un misto di tabacco e muschio altamente inebriante. Quell’odore era primordiale e delizioso, e provò la folle tentazione di alzarsi in punta di piedi e affondare il viso nel suo collo.
«Mademoiselle.»
Fu percorsa da un fremito per la sensuale inflessione con cui Quinn pronunciò quella parola.
«Signor Quinn» rispose, con voce vellutata e sensuale.
Simon strinse gli occhi per scrutarla con maggior attenzione, poi, senza preavviso, l’afferrò per un gomito e la allontanò dalla parete, cogliendola talmente di sorpresa da non lasciarle nemmeno il tempo di protestare. O perlomeno, questo era ciò di cui voleva convincersi: infatti non era ancora pronta ad ammettere a se stessa che voleva farsi rapire da un uomo come lui, all’apparenza raffinato ma dotato di una grezza mascolinità .
Lui la guidò tra la folla e poi lungo un corridoio; quando giunsero davanti a una stanza la sospinse dentro. All’interno era buio, e per un istante lei non vide più nulla: era ancora accecata dal fulgore della sala da ballo. I suoi occhi pian piano si abituarono all’oscurità grazie anche ai deboli raggi lunari che filtravano attraverso le finestre. Quando finalmente riacquistò la vista, fece qualche passo avanti e si accorse di trovarsi in un’ampia biblioteca. L’odore di pelle e di pergamena le solleticò le narici, accentuando quella sensazione di richiamo ancestrale.
Il chiavistello si abbassò con uno scatto e lei sussultò. La musica e le risate in sottofondo erano svanite, lasciando posto alla consapevolezza di essere sola in una stanza buia con Simon Quinn.
«A che gioco state giocando?» le chiese in tono burbero.
«Vi stavo fissando» ammise lei, voltandosi per guardarlo in faccia. Era felice di avere la luce alle spalle, perché questo le consentiva di rimanere in penombra, mentre lei riusciva a vederlo benissimo. «Ma poi, in fondo, tutte le donne presenti lo stavano facendo, non è vero?»
«Ma voi non siete una donna qualunque» ribatté lui avvicinandosi.
E così sapeva chi era. Questo dettaglio la sorprese. Sua madre aveva insistito molto perché tenessero nascosta la loro identità . Per questo soggiornavano presso un’amica e non nella loro residenza e usavano un cognome falso. Sua madre le aveva detto che così avrebbero evitato di far infuriare il padre per quella deviazione di percorso. In realtà erano dirette in Spagna, ma si erano fermate a Parigi perché Lynette avrebbe dato qualunque cosa pur di visitare quella città almeno una volta.
Ma se Quinn conosceva la sua vera identità , perché l’aveva portata via dalla festa in modo tanto plateale? «Siete stato voi ad avvicinare me» puntualizzò. «Sareste potuto rimanere dov’eravate.»
«Sono venuto qui proprio per voi» ribatté lui, prendendola per i polsi. «Se foste rimasta lontana dai guai per qualche giorno ancora, io adesso sarei a parecchi chilometri dalla Francia.»
Lei aggrottò la fronte. Di cosa diamine stava parlando? Gliel’avrebbe chiesto, se non le avesse messo le mani addosso. Nessun uomo era mai stato tanto spavaldo da avvicinarsi alla figlia del visconte De Grenier. Riusciva a stento a credere che Quinn avesse osato tanto, ma al contempo averlo vicino scatenava in lei sensazioni così strane da paralizzarla. Chi l’avrebbe mai detto che aveva muscoli duri come la roccia?
Con il respiro sempre più affannoso si gettò su di lui, premendo il petto contro il suo. Quella era pura follia: in fondo era uno sconosciuto e aveva anche l’aria adirata, eppure la faceva sentire al sicuro.
Per un istante Simon rimase immobile, poi la sospinse verso la finestra, tirando con impazienza le tende per vederla bene in viso. Le slacciò i nastrini che le tenevano legata la maschera. D’un tratto lei si sentì nuda, ma non ancora abbastanza. Provava un bisogno sconsiderato e impellente di togliersi ogni singolo indumento, mentre lui stava a guardare. Chissà quanto poteva essere eccitante diventare l’oggetto dell’interesse avido e appassionato di un uomo così bello.
Era proteso su di lei con aria assorta, la bocca piegata in una smorfia. «Perché mi guardate a quel modo?» la aggredì.
«Che modo?» mormorò lei deglutendo a fatica.
Simon ebbe un moto di stizza e la prese per la vita. «Come se mi voleste tra le vostre lenzuola.»
Santo cielo, come ribattere a una simile affermazione?
«Voi siete... molto attraente, signor Quinn.»
«Ah, adesso sarei il signor Quinn?» la canzonò lui accarezzandole la schiena e facendola sentire piccola e indifesa. Alla sua mercé. «L’ho sempre saputo che eravate un po’ tocca.»
Lynette si passò la lingua sulle labbra secche e lui rimase paralizzato da quella visione.
«A che gioco state giocando?» le chiese nuovamente Simon. Questa volta, però, lei colse una nota diversa nel suo tono, qualcosa di più profondo, di innegabilmente eccitante.
«Credo... credo che abbiamo tutti e due la mente offuscata» balbettò.
Lui si mosse e le appoggiò una mano dietro la nuca e una intorno ai fianchi, avvolgendola. «Io sono dannatamente confuso, maledetta voi» bisbigliò attirandola a sé e facendole inarcare la schiena, in modo da immobilizzarla.
I loro respiri si fusero assieme, ogni movimento istigava i loro corpi a scivolare l’uno sull’altro come in una danza licenziosa. Lei sentiva il sangue ribollirle nelle vene sin da quel primo ardente sguardo nella sala da ballo.
«Vuoi che ti scopi?» sussurrò Quinn abbassando la testa fino a sfiorarle la guancia con le labbra. Quel tocco era divino e diabolico al tempo stesso e la faceva vibrare di beatitudine e di timore. «Perché mi sembra che tu, piccola streghetta, mi stia supplicando di portarti a letto, e io in questo momento sono talmente fuori di me da volerti accontentare.»
«Ma io... io...»
Simon girò la testa e la baciò. Non c’era delicatezza né tenerezza in quel gesto e la bocca di Lynette divenne livida per l’ardore di quell’assalto. Avrebbe dovuto spaventarsi: pareva che lui riuscisse a stento a contenersi, in bilico tra l’irritazione e un desiderio che lo divorava.
Gemette, aggrappandosi alla sua giacca: già innamorata del suo sapore, gli leccò le labbra e lui ansimò, stringendola con foga contro il suo bacino. Lynette gli si abbandonò e a quel punto Simon si fece più gentile, all’apparenza mitigato dalla sua arrendevolezza.
«Dimmi in cosa sei coinvolta» mormorò, mordicchiandole un angolo della bocca.
«In te» ansimò lei piegando la testa. Si sentiva come in preda ai fumi dell’alcol, la stanza girava vorticosamente e se lui non l’avesse stretta così forte temeva che sarebbe sicuramente rovinata al suolo.
Simon si girò e si sedette su una chaise-longue lì accanto, facendole perdere l’equilibrio. Lynette crollò tra le sue gambe aperte, quasi prona.
«Perché proprio ora?» insistette lui, facendosi strada verso il suo orecchio.
Lei gli circondò le spalle con le braccia, offrendogli il collo. La bocca calda di Simon prese a succhiarle la pelle morbida facendola contorcere dal piacere. «Signor Quinn...»
Lui rise, cogliendola di sorpresa con quel timbro di voce stranamente caldo. «Chi avrebbe mai detto che dietro quella corazza di ghiaccio fossi tanto ardente?»
«Baciami ancora» lo supplicò, sempre più infatuata della sua bocca, ora che ne aveva sperimentato la maestria.
«Dobbiamo andare via, prima che ti alzi le sottane e ti prenda qui.»
«No...»
Simon le succhiò il labbro inferiore e lei si sciolse ancor più. «Allora ritiriamoci in un luogo più appartato, Lysette, prima che la lussuria prenda il sopravvento sul mio buon senso.»
Lysette.
Lei s’irrigidì, il battito del cuore come arrestato dal suono di un nome che non era il suo.
D’un tratto capì il perché di tutte quelle domande e rimase pietrificata. Simon Quinn conosceva la sua gemella, la sua più cara amica e la più grande perdita della sua vita.
Ma ora Lysette era morta, il suo corpo tumulato in una cripta in Polonia.
Com’era possibile, allora, che la conoscesse e che la credesse ancora viva?