Nuovi Argomenti (72)
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Nuovi Argomenti (72)

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Nuovi Argomenti (72)

Informazioni su questo libro

Hanno collaborato: Jhumpa Lahiri, Francesco Longo, Lorenzo Pavolini, Luca Alvino, Giorgio Montefoschi, Paolo Di Paolo, Claudio Piersanti, Francesco Longo, Flavio Santi, Giorgio Bassani, Roberto Mosena, Silvia Giagnoni, Serena Braida, Andrea Giannetti, Marco Mantello, Maria Grazia Calandrone, Alberto Casadei, Italo Testa, Corrado Benigni.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804654308
eBook ISBN
9788852069567

BASSANI

A cura di Francesco Longo

INTRODUZIONE

Aveva ragione Giorgio Bassani. Raggiunto il centenario della nascita – si celebrerà nel 2016 – il profilo di Bassani scrittore si fa sempre più nitido. Si rivela oggi come il motore del romanzo letterario italiano incastonato nel centro del Novecento: ci si deve sforzare per ricostruire un contesto culturale in cui la sua opera era bersaglio di attacchi da parte di colleghi e critici. A distanza di decenni, la sua rilevanza letteraria è riconosciuta a livello internazionale, fuori e dentro le università. Al contrario, i detrattori con cui fu in conflitto non hanno più eredi né lettori e le lontane polemiche degli anni Sessanta non riescono ormai più a nascondere la loro natura inconsistente e bizzarra. Ora che si è depositato il polverone ideologico che circondava il Gruppo 63 – composto da Guglielmi, Sanguineti, Malerba, Pagliarani, Filippini, Giuliani, Porta, Balestrini, Eco – è possibile confrontare il talento di Bassani con le tesi dei suoi avversari. Gli anni trascorsi ci dicono che i suoi avversari avevano torto.
Lontani da quelle diatribe, con i contributi presentati in questo numero si vuole provare a rileggere i testi che compongono il ciclo del Romanzo di Ferrara, titolo sotto al quale nel 1974 Bassani raccolse per la prima volta i suoi scritti di argomento ferrarese. A questi interventi si aggiunge una lettura della produzione poetica, elaborata da Flavio Santi.
Le pagine di Giorgio Bassani risultano tutte attraversate dal ticchettio di un conto alla rovescia che scandisce i giorni che mancano al tramonto innescato dalla violenza politica, da una minaccia sociale o da un veleno spirituale. «Tempi scuri colorano l’orizzonte, sottraggono al mondo – e in particolare a chi ha la colpa di essere ebreo – ogni certezza», scrive Giorgio Montefoschi per restituire le atmosfere cupe del Giardino dei Finzi-Contini. Micòl, la protagonista, è stata un faro per il narratore. Ma ora, in una scena scelta da Montefoschi come emblematica, lei è malata, «pallida, il pullover verde, il libro fra le mani, la remissione scontrosa dei malati non gravi costretti a letto». Senso di sconfitta e di perdita, mistero, fascino e tragica seduzione si attivano sempre quando in scena appare Micòl.
Ambiguità e reticenza – «Potrebbe dirgli qualcosa. Non lo fa» – sono riscontrate anche da Paolo Di Paolo, che legge Dietro la porta, del 1964. Il rapporto tra il giovane protagonista e Pulga disegna un labirinto emotivo senza uscita: «A valle e a monte di quel dolore, di quella disperazione con cui Bassani apre il romanzo – un angosciante senso di esclusione che i contraccolpi della Storia faranno tragica –, c’è l’ambiguità».
Luca Alvino indaga le inquietudini che intessono Gli occhiali d’oro, del 1958. Il testo fu pubblicato sulla rivista «Paragone» anche se Alberto Moravia, come si legge, lo avrebbe pubblicato su «Nuovi Argomenti»: «Un racconto molto bello, probabilmente il suo migliore, nel quale c’è un confronto molto acuto sulle “diversità” dell’ebreo e dell’omosessuale. Accettammo, ma voleva essere pagato e poiché la rivista non aveva soldi lo diede a “Paragone”». Secondo Alvino è nelle digressioni, nelle «distratte divagazioni» e nelle parentesi, che vanno notati dettagli e correlativi oggettivi che si irradiano nella narrazione – come la famosa lente incrinata degli occhiali. «In quali recessi della storia va ad annidarsi la tragedia, fino a quando infine non si manifesta in tutta la sua potenza distruttiva?», si chiede Alvino.
«Non ci sono anche dettagli, ci sono soltanto dettagli», conferma Claudio Piersanti. Riscontra nell’Airone «la sensazione di vuoto e di fallimento totale: si potrebbe parlare addirittura di estinzione. Questo è il racconto di un’estinzione». Anche qui, particolari dell’interno borghese e minime sensazioni di Edgardo Limentani costruiscono un personaggio che presto si rifletterà in un uccello morente. Ricorda Piersanti che L’airone è una storia di agonia, dell’essere stanchi, feriti e incapaci di volare, adatti solo per essere imbalsamati. Ci si potrebbe chiedere quanto c’è, infatti, della tecnica dell’impagliatore nei ritratti di Bassani. La sua tecnica di scrittura, secondo Lorenzo Pavolini è invece quella del restauratore: «Le lacune dell’immagine devono essere integrate con una tecnica che ne permetta la riconoscibilità – si deve poter continuare a vedere che lì c’è stato un distacco, un crollo, una parte dell’immagine originale che per la trascuratezza dei tempi o “il mutamento dei gusti” era stata alterata, o era stata nascosta da altri interventi, e rischiava di rimanere per sempre dimenticata – ma all’occhio di tutti deve essere restituita la visione nella sua completezza».
«Il passato non è morto [...] non muore mai. Si allontana, bensì: ad ogni istante. Recuperare il passato è dunque possibile», scrive Bassani in Laggiù, in fondo al corridoio, testo che fa parte di L’odore del fieno. Questo ultimo libro chiude le porte del Romanzo di Ferrara confermando la natura immaginaria di quella città, avvolta dalle incertezze, avvolta dalla luce onirica di un’isola del tesoro, immobile nella memoria, sferzata da minacce, in grado solo di rivolgere lo sguardo in cerca di un mare, che forse la bagna.
Rileggere alcuni commenti d’epoca all’opera di Bassani, a distanza di anni, genera sconcerto. Renato Barilli parlò della sua narrativa in questi termini: «una narrativa troppo esile e vuota per poter valere sul piano della normalità, della tradizione ottocentesca, e d’altra parte troppo timida ed esitante a far valere come pregi, come elementi propri di una visione forte e originale, quel suo stesso senso di grigiore e di pochezza, quel suo “esser fatta di niente”». L’accusa di Edoardo Sanguineti a Bassani di essere, con Cassola, la nuova Liala1 della letteratura, suona ormai imbarazzante. Lo scrittore che aveva pubblicato nel 1962 un romanzo capitale per la letteratura italiana del Novecento, Il giardino dei Finzi-Contini, reagì spesso con eleganza alle critiche, altre volte non riuscì a trattenere una precisa perplessità: «dietro a ciò di cui stiamo discutendo non c’è una sola figura di scrittore chiara, ben definita, individuabile. Non c’è un’opera, un solo volto d’uomo. Attaccano, criticano, fomentano disordini giocano alla guerriglia letteraria, ma nessuno può dire chi siano». Da notare, tra i membri del Gruppo 63, la parabola di Umberto Eco che, dopo aver scritto un romanzo dal successo anche commerciale, Il nome della rosa, ha recentemente ritrattato su Bassani: «la polemica era contro il romanzo consolatorio, indirettamente contro la letteratura commerciale. Certo, oggi riconosco che l’aver messo sullo stesso piano Cassola e Bassani non fu giusto. Salverei Bassani e non Cassola»2.
Bassani era attento a dare un nome e un cognome anche ai personaggi minori. Stentava però a orientarsi tra gli autori della neoavanguardia. Se li ritraesse oggi in un romanzo, probabilmente ingrosserebbero il gruppo di quei suoi personaggi tipici, che scompaiono nel nulla senza lasciare traccia, o che una volta tornati in società non trovano più nessuno in grado di riconoscerli.
L’universo letterario di Bassani invece, con gli anni, si mostra sempre più resistente e inattaccabile, lo scorrere del tempo non ha ingrigito nessuna delle abitazioni che ha descritto, non ha invecchiato nessuno dei suoi protagonisti: sempre tutti in piedi sull’orlo di un mondo che sta per inabissarsi. Nonostante tutto, infatti, i suoi eroi sono ancora tutti a spasso per Ferrara, con i loro occhi smaltati di celeste, sotto tramonti sinistri ed estati instancabili. I suoi giovani rimangono identici, elegantissimi, con le spider color crema, o esitanti, o strangolati dalla nostalgia, e sempre vittime dei silenzi delle insondabili ragazze ferraresi, che compaiono all’improvviso, in abiti da tennis o in sella alle loro biciclette.
Francesco Longo
1. Scrittrice italiana di romanzi rosa che vendette milioni di copie, nata nel 1897.
2. Umberto Eco, intervistato da Marco Filoni sul «Venerdì di Repubblica» in occasione dei cinquant’anni del Gruppo 63.

PRIMA CARI MORIAMO

UNA NOTTE DEL ’43
Lorenzo Pavolini
Questa notte pensavo a Ferrara, e non mi riusciva di dormire. Una città agreste, con decorazioni di messi dorate lungo le strade trascorse da lenti carri di buoi, con viole, covili d’erba, case basse e cucine a pianterreno. E tutto deserto, per me, per i miei ritorni dai campi di ogni sera.
(2 mercoledì, Roma inverno ’44, pagine di un diario ritrovato)
All’inizio di una guerra può assegnarsi una data: le prime vittime giacciono sul selciato, la catena di violenze tra fazioni è instaurata. La fine invece è un periodo, che dura perlomeno quanto l’esistenza di chi ha vissuto il conflitto, a diverso titolo, quindi soffrendone conseguenze a differenti profondità. Se l’autorità della storiografia resta assoluta nella definizione del primo momento, quindi nello stabilire lo sviluppo cronologico dei fatti e l’attribuzione delle responsabilità, saranno invece gli strumenti della letteratura a prevalere nella rappresentazione della seconda complessa e sempre aperta questione della vita che ricomincia, che abbraccia l’umano «in un moto vasto, ineluttabile, fatale» e dall’altro estremo il tentativo di fermare quel coinvolgimento «di sfere collegate per sottoposti ingranaggi» e resistergli in campo aperto. Il romanzo pianta lo sguardo, quando non gli schiaffi, dei suoi personaggi nel mezzo della pubblica via, e rende conto di questa tensione permanete: da un lato c’è il portico del Caffè della Borsa, dove «la noia e l’ozio della provincia» diventano responsabili di chissà quali «massacri immaginari», dall’altro «il marciapiede lungheggiante in piena luce la bruna spalletta della Fossa del Castello», dove l’ignaro turista con «l’indice infilato tra le pagine della guida del Touring» passa davanti alle lapidi «senza che il corso dei suoi pensieri abbia a soffrire del minimo turbamento». Ciò è ancora più vero nei conflitti che hanno dilaniato una comunità nazionale, le cosiddette guerre civili. Se queste sono infatti l’apocalisse del vedere comune, necessitano di intuizioni vissute sulla pelle dei migliori autori della medesima comunità perché si giunga al possibile restauro della «immaginazione collettiva». L’opera di Giorgio Bassani svolge un ruolo essenziale in questa funzione novecentesca della letteratura. «Uno dei compiti della mia arte lo considero soprattutto… di garantire la memoria, il ricordo». Garanzia (di memoria e ricordo) che a sua volta è conseguenza di un coinvolgimento irriducibile, una sprezzatura antiretorica che incalza il nucleo della verità storica imprigionato nel monumento e nella umana giustizia dei tribunali, secondo una sensibilità che a tratti sembra affiancare le coeve pratiche della tutela del patrimonio artistico e paesaggistico italiano.
Il racconto Una notte del ‘43, che tra le “storie ferraresi” è il più direttamente legato a un preciso fatto storico, è esemplare delle strategie di uno scrittore del “suo tipo”, difficili da paragonare, per fare l’esempio di un racconto-data miliare, a quelle adottate da Giacomo Debenedetti nel suo 16 ottobre 1943. Il critico declina la paternità della sua cronaca storica corale: «Meglio attribuirla a un nuovo Anonimo Romano, come quello che ci ha lasciato La vita di Cola. Bassani invece dichiara, nell’intervista dove spiega come mai non se la fosse sentita di collaborare alla sceneggiatura del film che nel ’60 ne trasse Florestano Vancini – con il titolo che allo scrittore dispiacque, ma che aggiungendo la misura di quella notte, diventerà espressione emblematica ripresa infinite volte (pensiamo a La lunga notte della Repubblica di Zavoli): «non volevo firmare una versio...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. DIARIO. Jhumpa Lahiri
  4. BASSANI
  5. LETTURE
  6. SCRITTURE
  7. POESIE
  8. QUESTIONARI Bjorn Larsson
  9. Notizie biografiche
  10. Copyright