
- 128 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Lo zio riciclatutto
Informazioni su questo libro
Il Fuffa Express ha portato Lorenzo e Iole nell'impero delle stranezze di zio Ciccillo, dove la vasca da bagno diventa un letto, la lavatrice scassata un innaffiatoio e dove due incredibili poltrone a pedali li aspettano per fare un giro a caccia di avventure! Perché il bosco, si sa, nasconde mille segreti, persino un albero magico che si muove…
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Informazioni
Print ISBN
9788804657279eBook ISBN
9788852069413GRAN GIRO CICLISTICO DELLE COLAZIONI

Il giorno dopo zio Ciccillo preparò una colazione speciale a base di frutta e decotti d’erbe, tutto rigorosamente raccolto a mano dal suo prezioso orto.
«Però almeno una scatola di biscotti potresti comprarla, zio…» si lamentò Lorenzo.
Iole fu costretta a dargli ragione: le more erano buonissime e le erbe che lo zio aveva usato per la tisana erano di colori stupefacenti, perfette per il suo libro delle fate. Nella pancia però… ci stavano molto meglio i biscotti!
I bambini sgranocchiarono rassegnati una mela con la buccia durissima, sognando una torta morbidissima. E, per fortuna, qualcuno aveva avuto lo stesso, dolce pensiero.
«Zio Ciccillo ha due ospiti» annunciò Piero Pinotto. «Piccoli…» aggiunse, strizzando l’occhio alla moglie.
«Vuoi dire che… i bambini son tornati?» applaudì Vittoria Pinotto, pulendosi le mani sporche di terra e paglia sul grembiule a pallini. «Devo preparare una torta!»
«Bau!» approvò Shirly. Erano appena le undici e mezzo, ma la cagnolina e il suo padrone avevano già camminato per i boschi in cerca di tartufi per cinque lunghe ore e adesso avevano una certa fame. Vittoria appoggiò le uova ancora tiepide nel cestino accanto alla padella dove l’olio sfrigolava pronto per la frittata. Poi spense il fuoco.
«Non posso farti la frittata, Pieruccio. Le uova mi servono per la torta» sentenziò la donna.
«Ma… la mia frittatina?» chiese deluso Piero.
Vittoria salì su uno sgabello e guardò il marito dritto negli occhi. Era alta poco più di un metro e lui quasi due, quindi doveva sempre salire da qualche parte quando voleva farsi rispettare.
«Non fare l’egoista!» lo rimproverò con un tono che non ammetteva repliche. E infatti Pinotto non replicò, guardò sua moglie mettere via la padella e raggiunse rassegnato la dispensa. Prese una grande forma di pane croccante e del formaggio conservato in un asciugamano di tela. Si sedette e sospirò: «Che bambini fortunati…».
«Iole e Lorenzo?! Sei sicura?» chiese Lenuccia sbalordita.
«Sicura!» affermò Marisa, sistemandosi gli occhiali quadrati sulla punta del naso. Prese il pane appena sfornato che la sua vicina di casa le porgeva e poi aggiunse preoccupata: «Speriamo che non facciano troppa confusione, è così tranquillo qui».
«Per forza è tranquillo, siamo rimasti solo noi vecchietti.»

«E si sta così bene, in pace e silenzio» brontolò Marisa.
Ma Lenuccia non le diede retta. La salutò di gran fretta e tornò a casa canticchiando: «Vado subito a infornare una focaccia! I bambini adorano la focaccia…».
«Ma… quelle sono le mie poltrone!» notò il signor Gallo, sistemando una forma di formaggio sugli scaffali della sua grotta da stagionatura. Lui e la signora Gallo avevano prodotto formaggio per tanti anni e alla fine di ogni giornata si riposavano proprio su quelle due poltrone. Erano state nel loro salotto per quasi sessant’anni e adesso… erano diventate due biciclette! Si ricordò di quando lui e sua moglie si sedevano su quei cuscini sbiaditi, con le mani che puzzavano di caciotta, e si passavano fette di limone tra le dita.
«Il succo di limone toglie l’odore di pecora!» ripeteva sempre lei. Ma non era vero, niente poteva togliere l’odore di pecora. Il signor Gallo però si spalmava le mani di limone, poi le annusava e sospirava: «Che buon profumino!».
Anche dopo la morte della moglie lui aveva continuato a passarsi il limone tra le dita ogni sera, perfino quando non aveva toccato una fetta di formaggio durante tutta la giornata. Era il suo modo di darle la buonanotte. Le poltrone invece le aveva regalate a zio Ciccillo. «Fanne quello che vuoi» gli aveva detto, e lui ne aveva fatto due biciclette.
Iole e Lorenzo pedalavano a tutto spiano scendendo verso il grande albero che cresceva davanti alla casetta di pietra del signor Gallo che, vedendo le loro facce sudate e felici, pensò che quei sofà non potevano fare una fine migliore. Fratello e sorella frenarono ai piedi della pianta e ammirarono i suoi rami carichi di frutti giallo crema che crescevano a grappoli. Le foglie si muovevano nel vento e sembravano tante stelle con le punte arrotondate.
Lorenzo scese dalla poltrona a pedali. Stava cercando di afferrare uno di quei frutti con un salto, quando vide un uomo magro, con i capelli bianchi e un naso bitorzoluto, dirigersi verso di loro.
«Buongiorno, bambini!» li salutò il signor Gallo. Poi allungò un braccio e staccò una manciata di piccoli frutti. Li spolverò con un soffio deciso e li porse ai due bambini con un sorriso.

«Ciao, Gallo! Grazie!» gli disse Lorenzo.
«I frutti del gelso quest’anno sono dolcissimi!» esclamò Iole.
«Ecco, avevamo proprio voglia di qualcosa di dolce!» confermò il fratellino. Poi si arrampicò veloce sull’albero, riempiendosi la bocca di gelsi zuccherini. Sapevano di panna e fiori.
«E tu? Non sali?» domandò il signor Gallo alla ragazzina.
«Non mi piace arrampicarmi» si schermì Iole.
«Hai paura?»
«No… è soltanto che…»
«Non sei capace?»
Iole annuì imbarazzata.
«Non è difficile come sembra, sai?»
«A me sembra impossibile…»
«Ma va’ là, basta allenarsi. Anch’io avevo paura all’inizio, ma poi… sono diventato un campione di scavalco!» si vantò il vecchietto.
«Che cosa vuol dire?»
«Quando ero piccolo questo paese era molto diverso da oggi. Le case erano abitate da famiglie numerose, c’erano una scuola, una chiesa e perfino un’orchestra che suonava la mazurka alle feste. Noi bambini stavamo sempre a giocare in giro per la campagna e avevamo sempre fame. Allora andavamo nei campi di frutta, scavalcavamo le recinzioni, ci arrampicavamo sugli alberi e facevamo scorpacciate di ciliegie, albicocche, pesche, mele, pere e…»
«Frutti del gelso!» concluse Iole.
«Esatto. I contadini si arrabbiavano tantissimo e ci inseguivano col badile per cacciarci via dalle loro coltivazioni. Lo facevano solo per farci paura, nessuno di noi si è mai fatto male. Ma se il contadino ti acchiappava, poi lo sapeva tutto il villaggio e una bella punizione da mamma e papà non te la toglieva nessuno.»
Il signor Gallo fece una pausa a effetto, poi aggiunse gongolando: «Io, modestamente, non sono mai stato acchiappato. Per questo mi hanno eletto campione di scavalco».
L’omino fece una faccia così buffa che Iole non riuscì a trattenere una sonora risata.
«Perfché rifete?» bofonchiò Lorenzo, sbucando dalle fronde a testa in giù con la bocca piena.
«E tu perché parli con la bocca piena?» ribatté l’uomo.
Lorenzo non rispose neppure, fece una piroetta da acrobata del circo, atterrò dritto come un fuso accanto a sua sorella e si fermò immobile ad annusare l’aria. «Che cos’è questo profumino?»
Il signor Gallo annuì compiaciuto, riconoscendo l’inconfondibile aroma: «La focaccia di Lenuccia. Una volta alla settimana accende il suo famoso forno a legna e fa il pane per tutto il paese, ma oggi ha fatto la focaccia…».
«E allora?»
«E allora deve aver saputo che siete arrivati… Credo che l’abbia cucinata per voi.»
«Davvero?!» esultò Lorenzo, saltando sulla sua poltrona a pedali. «Dobbiamo andare prima che si raffreddi!!!»
I due fratelli ringraziarono il campione di scavalco e pedalarono con l’acquolina in bocca verso un’altra colazione e… un’altra storia.
«Questo forno l’ha costruito il mio povero papà» raccontò Lenuccia, sfornando la focaccia fumante con una pala che doveva pesare un centinaio di chili. Quella donna aveva due braccia enormi, con muscoli gonfi come pagnotte, grandi occhi verde smeraldo e neppure un dente in bocca.
Iole si era sempre chiesta perché le persone anziane parlano dei loro parenti come del “povero papà”, della “povera mamma”, del “povero marito”, ma non le sembrava il momento di far domande… Questo era il momento di mangiare.
«Mangiate finché è calda!» ripeteva Lenuccia appostata alle loro spalle con un vassoio stracolmo di pezzi di focaccia grandi come lenzuoli. Non appena uno di loro svuotava il piatto, lei lo riempiva di nuovo, piombando dall’alto senza pietà. Al terzo pezzo Iole iniziò a barcollare. Lorenzo invece, pieno di entusiasmo, sgranocchiava la terza colazione della giornata sotto lo sguardo vigile di Lenuccia, che sembrava intenzionata a non lasciarli andar via finché non avessero finito tutti i suoi manicaretti.
«Il tuo papà faceva il muratore?» chiese il bambino.
«No, faceva il contadino.»
«E perché costruiva i forni?»
«A quei tempi bisognava arrangiarsi, perché non c’eran...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Fuffa Express
- Cà Speranza
- Gran giro ciclistico delle colazioni
- L’irresistibile faccia dell’Alunno Attento
- Leggere le rocce
- Un’idea che non può aspettare
- Stelle con le punte arrotondate
- Alla ricerca del Gelso Aurino
- Foglia, pepita e fata
- Vietato abbaiare
- Due poltrone da sera
- La notte del cane pecora
- Sfarzosi ingranaggi e notturne macchinazioni
- Non è oro, ma ultrabrilla!
- Per saperne di più
- Copyright