Le uova fatali
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Le uova fatali

  1. 144 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Per un disguido burocratico le uova di gallina destinate a un laboratorio per un rivoluzionario esperimento scientifico vengono sostituite con quelle di orribili rettili. Un libro di fantascienza scanzonato e graffiante del geniale scrittore russo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804480303
eBook ISBN
9788852068393
VIII

Fatti accaduti in un sovchoz

Non esiste periodo più bello dell’agosto inoltrato nella provincia di Smolensk. L’estate del 1928, come è ben noto, fu bellissima, con piogge giunte in primavera al tempo giusto, un bel sole caldo e un raccolto eccellente… Le mele maturavano nell’ex tenuta degli Šeremetev… le foreste verdeggiavano, i campi si stendevano nel giallo dei quadrati… L’uomo diventa migliore nel grembo della natura, e Aleksandr Semënovič non aveva poi la stessa aria antipatica che mostrava in città. Non portava nemmeno quell’odioso giubbotto, la sua faccia aveva un’abbronzatura color rame, la camicia, aperta al collo, lasciava intravedere un torace ricoperto di fitti peli neri, indossava un paio di calzoni di tela grezza. Anche i suoi occhi avevano assunto un’espressione calma e più gentile.
Aleksandr Semënovič scese, animato, per le scale dal portico a colonne, sormontato da un’insegna sotto una stella:
«SOVCHOZ RAGGIO ROSSO»
e si diresse verso un camioncino che aveva trasportato tre apparecchi neri sotto scorta.
Tutto il giorno Aleksandr Semënovič si diede da fare con i suoi aiutanti montando gli apparecchi nell’ex giardino d’inverno, nella serra dei Šeremetev… Verso sera tutto era pronto e, sotto il soffitto di vetro, si accese un bianco globo smerigliato; stavano sistemando gli apparecchi su un basamento di mattoni, e il meccanico, giunto insieme agli apparecchi, fece scattare e girare le viti scintillanti e accese il raggio misterioso sul piano di asbesto nelle casse nere.
Aleksandr Semënovič si dava da fare lì intorno, saliva sulla scala e controllava i fili elettrici.
Il giorno successivo, lo stesso camioncino arrivò dalla stazione e sputò fuori tre casse di magnifico legno compensato liscio, tutte ricoperte di etichette e scritte bianche sul fondo nero:
VORSICHT: EIER
ATTENZIONE: UOVA
«Perché ne hanno mandato così poche?» si stupì Aleksandr Semënovič; tuttavia si mise subito al lavoro e cominciò a disfare le casse di uova. Questa operazione si svolse sempre nella stessa serra e vi presero parte: Aleksandr Semënovič di persona, sua moglie, Manja, donna di una grassezza fuori dal comune, l’ex giardiniere guercio dei Šeremetev ora impiegato nel sovchoz con la qualifica generica di guardiano, il custode, obbligato a vivere nel sovchoz, e la donna delle pulizie, Dunja. Non era Mosca, e tutto qui aveva un carattere più semplice, amichevole e familiare. Aleksandr Semënovič dava ordini, fissando le casse in modo amorevole. Sotto la luce tenera del tramonto proveniente dai vetri della serra esse avevano tutta l’apparenza di compatti e splendidi regali. Il guardiano aveva abbandonato in modo pacifico il fucile accanto alla porta e strappava con un paio di tenaglie i morsetti e le rilegature metalliche. Intorno ci fu un gran fragore e molta polvere… Aleksandr Semënovič, ciabattando con i suoi sandali, si agitava intorno alle casse.
«Faccia piano, per favore» diceva alla guardia. «Con più attenzione. Non vede che sono uova?…»
«Non importa,» replicava con voce rauca il guerriero di provincia, insistendo con il cacciavite «ho quasi finito…»
Tr-r-r… e la polvere si sollevava.
L’imballaggio delle uova si rivelò meraviglioso: sotto il coperchio di legno c’era uno strato di carta paraffinata, ne seguiva uno di carta assorbente, infine un fitto strato di trucioli e sul fondo la segatura, da cui spuntavano fuori le testine bianche delle uova.
«Sono state imballate all’estero» osservò Aleksandr Semënovič, razzolando nella segatura. «Non come fanno le cose qui. Manja, stai più attenta, altrimenti le rompi.»
«Tu, Aleksandr Semënovič, sei diventato proprio scemo,» rispondeva la moglie «neanche se fossero d’oro. Pensi che non abbia mai visto delle uova? Oh!… sono enormi!»
«Uova straniere,» diceva Aleksandr Semënovič, sistemandole su un tavolo di legno «altro che le nostre dei contadini… Saranno di sicuro tutte di brahmaputra, che il diavolo se li porti! Uova tedesche…»
«Di sicuro» faceva eco il guardiano ammirando le uova.
«Però non capisco come mai siano così sporche?» disse pensieroso Aleksandr Semënovič… «Manja, controlla tu il resto, fa’ disfare le casse, mentre io vado a fare una telefonata.»
E Aleksandr Semënovič s’incamminò attraversando il cortile verso l’ufficio del sovchoz.
Quella sera nel laboratorio dell’Istituto zoologico squillò il telefono. Il professor Persikov si arruffò i capelli e prese il ricevitore.
«Chi è?» domandò.
«Una chiamata dalla provincia» rispose il ricevitore con un leggero sibilo di voce di donna.
«Pronto, sto ascoltando» rispose Persikov con disgusto nella nera bocca del ricevitore… Si sentì uno schiocco e poi una lontana voce maschile gli disse con ansia nell’orecchio:
«Dobbiamo lavare le uova, professore?»
«Come? Che cosa? Che vuole sapere?» s’irritò Persikov. «Da dove stanno chiamando?»
«Da Nikol’skoe, provincia di Smolensk» rispose il ricevitore.
«Non ci capisco niente. Non conosco nessun Nikol’skoe. Chi parla?»
«Rokk» rispose severo il ricevitore.
«Che Rokk? Ah, sì… è lei… allora, che cosa vuole?»
«Dobbiamo lavarle?… Ci hanno mandato dall’estero una partita di uova…»
«E allora?»
«Sono ricoperte di porcherie…»
«Lei sta confondendo qualcosa. Come possono essere ricoperte di “porcherie”, come lei si esprime? Beh, certo, ci può essere un po’… di sterco secco… o qualcosa del genere…»
«Allora non vanno lavate?»
«Certo che no… Vuole già sistemare le uova negli apparecchi?»
«Sì, le sto sistemando» rispose il ricevitore.
«Hm» sbuffò Persikov.
«A presto» scattò il ricevitore, e ammutolì.
«A presto» ripeté con odio Persikov al libero docente Ivanov. «Che ne pensa di quel tipo, Pëtr Stepanovič?»
Ivanov scoppiò in una risata.
«Era lui? M’immagino già che bella frittata preparerà laggiù con quelle uova.»
«Imbe… imbe… imbe…» riprese Persikov furibondo. «Se lo immagina, Pëtr Stepanovič… d’accordo… è molto probabile che il raggio produca lo stesso effetto sul deuteroplasma delle uova di gallina che sul plasma degli anfibi. È molto probabile che ne saltino fuori delle galline. Ma né lei né io possiamo dire che razza di galline ne verrà fuori… Magari creperanno in due giorni, forse non saranno nemmeno commestibili. Posso forse garantire che staranno ritte sulle zampe. Può darsi che soffrano di fragilità ossea.» Persikov entrò in uno stato di esaltazione, agitava le mani, piegando le dita a uncino.
«Giustissimo» acconsentì Ivanov.
«Può garantirmi, Pëtr Stepanovič, che daranno una nuova generazione? Può essere che quel tipo coltivi delle galline sterili. Le farà crescere fino a raggiungere la grossezza di un cane e poi si dovrà aspettare la loro discendenza fino al Giudizio Universale?»
«Nessuno può saperlo» acconsentì di nuovo Ivanov.
«E quale arroganza!,» continuava a disperarsi Persikov «che insolenza! E pensi che mi è stato ordinato di istruire questo mascalzone.» Persikov indicò il documento portato da Rokk, che ora giaceva sul tavolo degli esperimenti… «Come posso istruire quell’asino se io stesso non so niente di questa faccenda?»
«Non poteva rifiutare?» domandò Ivanov.
Persikov divenne paonazzo, afferrò il documento e lo fece vedere a Ivanov che lo lesse, commentando la lettura con un sorriso ironico.
«Già…» disse Ivanov in tono allusivo.
«E poi noti bene… io aspetto la mia ordinazione da due mesi e non se ne vede neanche l’ombra, mentre a quello là hanno mandato subito le uova e l’appoggiano in tutto…»
«Non ne verrà fuori un accidente, Vladimir Ipat’ič. Vedrà, finirà che le restituiranno gli apparecchi.»
«Speriamo che facciano in fretta; mi stanno bloccando la ricerca.»
«Già, questo è seccante. Ho già tutto pronto.»
«Ha ricevuto le tute?»
«Sì, proprio oggi.»
Persikov si calmò un poco e si rianimò.
«Hm… penso che si potrà fare così: la porta della sala esperimenti va chiusa ermeticamente, mentre la finestra va aperta…»
«Certo»acconsentì Ivanov.
«Tre caschi?»
«Sì. Tre.»
«Bene… Quindi vuol dire lei, io e un altro ancora. Magari qualcuno degli studenti? Gli daremo il terzo casco.»
«Si potrebbe dirlo a Grinmut.»
«È quello che lavora da lei sulle salamandre? Hm… non è male… anche se questa primavera non sapeva dirmi come è fatta la vescica natatoria dei gimnodonti» aggiunse Persikov petulante.
«No, non è male… come studente è bravo» lo difese Ivanov.
«Per una notte non si dormirà,» continuò Persikov «ma c’è un’altra cosa ancora, Pëtr Stepanovič: controlli il gas; altrimenti chissà cosa diavolo ci manderanno quei cialtroni della Bonchim!»
«No, no,» e Ivanov agitò le mani, «l’ho provato già ieri. Bisogna essere giusti, Vladimir Ipat’ič, è un gas eccellente.»
«Su chi l’avete provato?»
«Sui comuni rospi. Lasci uscire un po’ e muoiono all’istante. Sì, Vladimir Ipat’ič, faremo un’altra cosa ancora. Faccia una domanda scritta alla GPU perché ci mandi una rivoltella elettrica.»
«Ma io non so usarla.»
«Ci penso io,» rispose Ivanov «sulla Kljaz’ma ho già provato a spararci, così per scherzo… C’era uno della GPU che abitava vicino. È un aggeggio straordinario ed anche molto semplice da usare… Poi non fa nessun rumore, uccide a colpo sicuro a cento passi. Sparavamo ai corvi… Secondo me, non ci sarà nemmeno bisogno del gas.»
«Hm… mi sembra un’idea spiritosa… anzi, molto.» Persikov andò nell’angolo della stanza, sollevò il ricevitore e gracchiò…
«Passatemi quella… come si chiama… Ljubjanka…»
Nei giorni successivi ci fu un caldo torrido. Sui campi si scorgeva chiaramente come vi si riversasse una cappa di vapori trasparente e grassa. Le notti invece erano meravigliose, ingannevoli e verdi. La luna splendeva e inondava l’ex tenuta degli Šeremetev di una tale bellezza da non poterla descrivere. La costruzione signorile nell’attuale sovchoz riluceva come fosse di zucchero, le ombre tremavano nel parco e gli stagni erano tagliati in due colori, per una metà da una colonna di luce lunare, per l’altra da tenebre senza fondo. Nelle chiazze lunari si potevano leggere tranquillamente le «Izvestija», ad eccezione della rubrica degli scacchi che, come si sa, è stampata in corpo piccolissimo. Ma in notti come quelle, naturalmente, nessuno leggeva le «Izvestija»… Dunja, l’addetta alle pulizie, si trovò nel boschetto dietro il sovchoz e, per pura coincidenza, vi capitò anche l’autista dai baffi rossi del camioncino sgangherato del sovchoz. Rimane un segreto perché i due fossero là. Si rifugiarono sotto l’ombra instabile di un olmo, direttamente sul cappotto di cuoio che l’autista aveva steso per terra. In cucina ardeva una lampadina; ivi stavano cenando due giardinieri, mentre madame Rokk in una vestaglia bianca sedeva tra le colonne della veranda e sognava guardando la bellissima luna.
Alle dieci di sera, quando tacque ogni suono nel villaggio di Koncovka, nel villaggio adiacente al sovchoz, il paesaggio idilliaco si riempì dei suoni deliziosi e teneri di un flauto. Non si può esprimere fino a che punto fossero in sintonia con i boschi e con le ex colonne della tenuta Šeremetev. La voce della fragile Liza della Dama di picche si era fusa nel duetto con quella dell’appassionata Polina e s’involò verso la luna come un fantasma del vecchio regime, sorpassato, ma infinitamente caro, ammaliante fino alle lacrime.
Si spengono… Si spengono…
cantava il flauto con gorgheggi e sospiri.
Il bosco tacque e Dunja, fatale una come ninfa dei boschi, ascoltava con la guancia premuta contro quella ispida, rossa e virile dell’autista.
«Come zufola bene, quel figlio di un cane» disse l’autista, cingendo Dunja alla vita con il suo braccio virile.
Suonava il flauto Aleksandr Semënovič Rokk, il direttore del sovchoz in persona, e va detto, per essere giusti, che lo suonava alla perfezione. Un tempo il flauto era stato la specialità di Aleksandr Semënovič: fino al 1917 aveva suonato nella nota orchestra del maestro Petuchov che diffondeva ogni sera suoni armoniosi al foyer dell’accogliente cinematografo «Sogni magici» nella città di Ekaterinoslav. Ma l’incisivo anno 1917, che aveva stravolto molte carriere, condusse anche Aleksandr Semënovič su una strada nuova. Aveva lasciato «Sogni magici» e il polveroso satin, ornato di stelle, nel foyer per immergersi nel mare aperto della guerra e della rivoluzione, sostituendo il flauto con il micidiale mauser. A lungo fu sballottato dalle onde, che lo rigettarono più volte ora in Crimea, ora a Mosca, ora nel Turkestan, ora persino a Vladivostok. C’era voluta proprio la rivoluzione per rivelare al mondo la grandezza di Aleksandr Semënovič. Una ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Nota biografica
  5. Bibliografia
  6. LE UOVA FATALI (Racconto)
  7. I. Curriculum vitae del professor Persikov
  8. II. La spirale colorata
  9. III. Persikov è riuscito ad acchiapparlo
  10. IV. La moglie del pope Drozdov
  11. V. Una storia di polli
  12. VI. Mosca nel giugno del 1928
  13. VII. Rokk
  14. VIII. Fatti accaduti in un sovchoz
  15. IX. Una poltiglia viva
  16. X. La catastrofe
  17. XI. Battaglia e morte
  18. XII. Il gelo: deus ex machina
  19. Note
  20. Copyright