Il viaggio di Falcone a Mosca
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Il viaggio di Falcone a Mosca

Indagine su un mistero italiano

  1. 156 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il viaggio di Falcone a Mosca

Indagine su un mistero italiano

Informazioni su questo libro

Un filo rosso intessuto di tradimenti di Stato, trame dei servizi segreti, e soldi, tanti soldi, sembra legare indissolubilmente la strage di Capaci del maggio 1992, in cui furono uccisi Giovanni Falcone, sua moglie Francesca e gli agenti della scorta, ai nuovi poteri, soprattutto criminali, nati nel vuoto istituzionale e nell'instabilità politica generati dal crollo dell'ex Unione Sovietica.

Un anno prima il procuratore generale della Federazione Russa, Valentin Stepankov, aveva iniziato a collaborare con il magistrato italiano nella comune indagine sugli aiuti finanziari concessi dal Pcus al Pci e sul ruolo giocato da mafia internazionale e organizzazioni terroristiche clandestine nella circolazione e nella gestione di quell'enorme flusso di denaro.

Dopo il fallito golpe di Mosca dell'agosto 1991 e l'affidamento a Stepankov della relativa inchiesta, la visita del procuratore russo a Roma nel febbraio 1992 e l'incontro con Falcone costituiscono il primo atto di un'intesa destinata a interessanti sviluppi e formalizzata dalla promessa di un imminente viaggio del magistrato siciliano in Russia. Ma quella data, già appuntata nell'agenda delle due Procure, viene letteralmente cancellata dal più devastante attentato mafioso della storia, attuato con una tecnica militare così raffinata da far apparire subito la sua matrice quantomeno sospetta.

Alla luce del lavoro e della testimonianza di Stepankov e sulla base di una notevole mole di documenti inediti e verbali di interrogatorio, tra cui la deposizione di Michail Gorbaciov, Francesco Bigazzi ricostruisce l'intreccio delittuoso che si era sviluppato tra «assistenza internazionale» del Pcus e dello Stato sovietico ai «partiti fratelli» e l'istituzione di conti segreti, tra l'ingegnoso quanto spregiudicato utilizzo di aziende partecipate dai partiti comunisti stranieri, di cui il sistema delle cooperative del Pci rappresentava un modello, e il possibile riciclaggio di quegli ingenti «contributi» da parte di organizzazioni criminali.

Nel ripercorrere a oltre vent'anni di distanza la tragica stagione del «golpe balneare», l'inchiesta che ne seguì e i suicidi o le morti sospette dei più alti dirigenti della Russia di allora, appare sempre più evidente che Stepankov e Falcone avevano cominciato a sollevare il velo su uno degli scenari più misteriosi e inquietanti del panorama politico europeo del secondo dopoguerra, quello dei legami d'affari e di connivenza fra Pcus, mafia e partiti «fratelli». Una coraggiosa operazione di verità rimasta drammaticamente interrotta.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804651130
XII

Furono loro i giudici di se stessi

L’inchiesta degli inquirenti della Procura russa sui suicidi eccellenti non porta a conclusioni univoche, perché non vengono effettuate perizie definitive. Valentin Stepankov, a proposito dei tre personaggi più importanti, Boris Pugo, Nikolaj Kručina e Sergej Achromeev, si dice convinto che i suicidi siano maturati nel momento in cui i protagonisti si erano resi conto che tutto il loro mondo era crollato. Nel libro GKČP. 73 ore che hanno cambiato il mondo Stepankov riporta drammatiche testimonianze di loro familiari, amici, colleghi e superiori, tra cui la toccante lettera del maresciallo Achromeev a Gorbaciov. Eppure, mentre Pugo e lo stesso Achromeev, stando ai materiali affidati ai posteri e alle testimonianze rilasciate, sono stati addirittura descritti come «giudici di se stessi», seri dubbi rimangono proprio sulla fine di Kručina, il vero detentore di tutti i segreti dei fondi e dei finanziamenti del Pcus.
Non vi è da stupirsi, ammette Stepankov, se i suicidi, uno dopo l’altro, di Pugo, Kručina e Achromeev alimentarono molte voci. Queste persone ricoprivano cariche importantissime, e l’opinione pubblica, sapendo che erano implicati in numerosi segreti di Stato, non poteva fare a meno di domandarsi: «Veramente questi tre, in giorni tanto drammatici per il Paese, si sono tolti volontariamente la vita? Non li ha forse “aiutati” qualcuno, secondo il quale sarebbero stati dei testimoni pericolosi?». Dare una risposta univoca a tale interrogativo era compito dell’inchiesta, di cui Stepankov qui ricostruisce le fasi cruciali.

Kručina: «Non sono un congiurato, ma sono un vigliacco»

Dalla deposizione di Zoe Ivanovna Kručina, moglie di Nikolaj:
Venerdì 23 agosto mio marito è rientrato dal lavoro intorno alle 18.45. Io gli ho domandato: «Perché così presto?». Lui ha risposto: «Ho già sbrigato tutto».
Di preoccupazioni Nikolaj Efimovič Kručina, direttore agli Affari del Comitato centrale del Pcus, ne aveva sempre a volontà. L’azienda affidatagli era enorme e di carattere eccezionale. I migliori edifici amministrativi del Paese, i centri social-politici, le case editrici, le tipografie, gli archivi, le scuole, gli alberghi, le case di cura, gli ospedali, i depositi speciali di prodotti industriali e alimentari, i reparti dei negozi, le diverse produzioni (tra cui anche lo stabilimento di rifinitura, nel quale si realizzavano anelli d’oro e altri preziosi) appartenevano al partito. …
Nel tranquillo periodo prima della perestrojka, milioni di anonimi membri del partito versavano la loro quota d’iscrizione, 114 case editrici di partito e 81 tipografie passavano la totalità della loro enorme rendita al Comitato centrale, senza obiezioni, e, cosa più importante, non esisteva un confine netto tra le finanze del partito e quelle dello Stato, motivo per cui i predecessori di Kručina non dovettero ingegnarsi molto per trovare i soldi. Kručina, invece, non fu altrettanto fortunato.
La perestrojka aveva assai sfoltito le file del partito, giornali e riviste si erano ribellati: il numero dei contribuenti del Comitato centrale andava irrimediabilmente diminuendo, mentre sempre più persone mettevano pubblicamente in discussione l’idea, inculcata nelle coscienze per decenni, che «il popolo e il partito sono tutt’uno». Finché non si arrivò all’inaudito: si pretese dal partito un resoconto finanziario. Nikolaj Efimovič Kručina è stato il primo direttore agli Affari del Comitato centrale nella storia a dover rendere pubblicamente conto delle entrate e delle uscite del Pcus.
Ovviamente, Nikolaj Efimovič fu libero di dosare a proprio piacimento quanta verità dire, giacché la comunità ancora non aveva modo di verificare; tuttavia, il fatto stesso che degli «estranei» si intromettessero, apertamente, nella più intima sfera dell’attività del Comitato centrale dimostrava che il partito non viveva ormai più nel confortevole regime di un tempo.
Tra i collaboratori di Kručina non c’erano persone che sapessero vivere diversamente da come avevano sempre vissuto, e perciò si decise di coinvolgere degli specialisti dalla «sezione militare» del partito: il Kgb. Così Nikolaj Efimovič si ritrovò dei nuovi sottoposti, gli ufficiali dei servizi segreti, che conoscevano benissimo le finezze dell’economia occidentale. Rientrava tra i compiti di costoro il coordinamento dell’attività economica tra le diverse strutture aziendali del partito nello scenario delle nuove condizioni. In una parola, dovevano insegnare al partito a guadagnare velocemente grosse somme di denaro e a nasconderle in maniera sicura.
Le lezioni risultarono utili. Il partito riciclava rapidamente i propri miliardi tramite fondazioni, imprese e banche create ad hoc, apriva conti bancari cifrati all’estero, formava l’istituto delle «persone di fiducia», ovvero collaboratori del Comitato centrale che giravano con milioni in tasca. Tutto ciò garantiva un profitto stabile e anonimo anche nelle situazioni più estreme, come nell’attività svolta in fase di emigrazione o sotto copertura. Per farla breve, Nikolaj Efimovič Kručina aveva ogni ragione di essere soddisfatto del proprio lavoro.
Il colpo di Stato, fragorosamente fallito, inflisse però una ferita letale al Pcus. Tutto ciò che fino al giorno precedente, nei resoconti segreti del partito, veniva cautamente definito «attività commerciale» poteva essere ora considerato riciclaggio illecito di denaro oltreconfine (art. 78 del Codice penale della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa), trasgressione delle norme in merito alle operazioni con il denaro in valuta estera (art. 88) e abuso di potere per scopi concreti, il che portò gravi conseguenze per gli interessi dello Stato e della comunità (art. 170, parte 2).
Gorbaciov avvertì Kručina per tempo delle proprie dimissioni dalla carica di segretario generale e gli chiese di riordinare i libretti di lavoro dei dipendenti dell’apparato del partito e di pagare loro lo stipendio. Questa richiesta rimase insoddisfatta. La frase «Ho già sbrigato tutto», ricordata dalla moglie, non si riferiva semplicemente, in concreto, alla giornata del 23 agosto, ma tirava le somme della sua intera vita.
Dalla deposizione di Evlanov, ufficiale della sicurezza del Kgb:
Domenica 25 agosto Kručina è rientrato a casa alle 21.30. Solitamente era un uomo affabile, salutava sempre. Quella volta, invece, era strano.
Quando è arrivata la sua macchina, mi trovavo in strada presso l’ingresso dell’edificio. È uscito dall’auto senza salutare, indifferente a tutto, ed è salito in casa. Si percepiva in lui la delusione per qualcosa. Era uscito la mattina che era una persona ed è tornato che sembrava un altro. …
In quella sua ultima sera Nikolaj Efimovič non è mai uscito di casa e nessuno, eccetto il figlio maggiore, Sergej Nikolaevič, è venuto a fargli visita. A mezzanotte, come sempre, l’ufficiale della sicurezza di servizio ha chiuso a chiave il portone del palazzo.
Dalla testimonianza di Zoe Ivanovna Kručina:
Dopo le 22 mi ha ordinato di andare a dormire, mentre lui aveva intenzione di lavorare ancora un po’. Intorno alle 22.30 si è disteso sul divano nel suo studio e si è assopito. Io me ne sono andata in camera. Ma non riuscivo a prendere sonno, perché ero agitata. Non ho dormito praticamente tutta la notte. Ho guardato l’orologio alle 4.30 e subito dopo mi sono addormentata. Mi sono svegliata per un bussare insistente alla porta. Quando sono uscita dalla camera, mi sono venuti incontro mio figlio Sergej e gli agenti di polizia.
Dalla testimonianza di Evlanov:
Alle 5.25, dall’interno dell’edificio ho sentito un forte colpo all’esterno. Sembrava che fosse stato lanciato un petardo. Sono uscito fuori e ho visto un uomo, disteso, faccia a terra. … Poco distante dal corpo, un foglio di carta ripiegato. … Era uno dei due biglietti lasciati da Nikolaj Efimovič: «Non sono un congiurato, ma sono un vigliacco. Fatelo sapere al popolo sovietico. Nikolaj Kručina».
Il secondo biglietto è stato ritrovato nell’appartamento: «Non sono un criminale né un congiurato, provo ripugnanza e schifo per gli autori della congiura e per i traditori. Ma sono un vigliacco. … Prendetevi cura, vi prego, della famiglia, in particolar modo della mia vedova. Non è colpa di nessuno. La colpa è mia, per aver firmato il documento per il servizio di sicurezza di questi segretari [i membri del Comitato statale per lo stato d’emergenza, GKČP]. Altre colpe verso di lei, Michail Sergeevič, non ne ho. Ho servito sempre con onestà e devozione. 5.15, 26 agosto. Kručina».
La squadra d’inchiesta, lavorando sul luogo dell’accaduto, ha stabilito come prima della morte Kručina non avesse subìto violenza fisica né avesse distrutto carte di alcun tipo. Nell’appartamento tutti i documenti, in particolare quelli di natura finanziaria, erano integri e messi al sicuro.
Nel corso delle indagini sul caso del Comitato statale per lo stato d’emergenza, non avevamo intenzione di eseguire una verifica basilare delle spese del Comitato centrale del Pcus. Se la Procura avesse dato avvio a una simile revisione, credo che molti dei dipendenti responsabili si sarebbero allarmati. La Procura, tuttavia, non aveva tempo per tutto, ed effettuare un simile controllo non era nelle nostre facoltà. Tanto più che cominciammo allora a raccogliere il materiale d’inchiesta per un altro caso, che i giornalisti battezzarono «l’oro del partito». Dopo averne discusso decidemmo che, se fosse stato necessario nell’ambito della nostra inchiesta, avremmo operato tale revisione, però all’epoca avevamo semplicemente altro a cui pensare.
Fino al momento della tragica morte di Kručina, la Procura non aveva ritenuto di dovergli fare alcuna domanda. Lui non figurava nella prima lista di nomi che ci proponevamo di interrogare. In seguito, nell’arco di un mese, avremmo probabilmente dovuto avere a che fare con Kručina, ma allora no.
Eseguimmo un’autopsia accurata sul corpo di Kručina, senza trovare alcuna traccia di veleni o sedativi.

Achromeev: «Ho lottato fino alla fine»

Fino al 19 agosto 1991 il destino fu più che benevolo con Sergej Fedorovič Achromeev. Erarimasto vivo dopo aver combattuto dal 1941 al 1945 sui fronti più micidiali della seconda guerra mondiale: Leningrado, Stalingrado, il fronte meridionale e il 4° fronte ucraino. Dopo la guerra, con determinazione perfezionò una brillante carriera militare fino al grado di maresciallo. Anche in seguito al congedo, però, non si mise nell’ombra, in disparte, ma rimase sempre al centro dell’azione e bene in vista, rivestendo, su richiesta del presidente Gorbaciov, la carica di suo consigliere.
La sorte avrebbe voluto per il maresciallo Achromeev un sentiero di vita tutto in crescendo, che l’avrebbe condotto ai massimi onori, ma il 19 agosto il maresciallo si oppose al proprio destino: venuto a conoscenza della creazione del Comitato statale per lo stato d’emergenza, interruppe il soggiorno di riposo che stava trascorrendo a Soči insieme con la moglie e la nipote, e prese un volo per Mosca. Cambiati gli abiti civili con la divisa da maresciallo, si diresse verso il luogo in cui aveva prestato servizio, il Cremlino. Le collaboratrici che lo incontrarono, A. Grečannaja, T. Ryžova e T. Šeremet’eva, osservarono che Sergej Fedorovič era di buon umore ed energico, addirittura allegro.
Il 20 agosto Ryžova, su indicazione di Achromeev, stampò il programma di eventi legati alla gestione dello stato d’emergenza. Quello stesso giorno Achromeev si recò al ministero della Difesa. La sera, alla domanda «Come va?» di Ryžova, Sergej Fedorovič rispose «Male» e le chiese di portargli una brandina e delle lenzuola, giacché intendeva passare la notte al Cremlino. Il giorno dopo era d’umore ancor peggiore. Il 22 agosto Achromeev scrisse una lettera personale a Gorbaciov.
Il 23 agosto Sergej Fedorovič prese parte a un’assemblea del Comitato del Soviet supremo dell’Urss in merito alle questioni di difesa e sicurezza del Paese. Smirnova, la stenografa, ha riferito agli inquirenti che Achromeev quel giorno si comportò in maniera insolita: prima interveniva sempre ed era molto partecipe, mentre in quell’occasione rimase seduto per l’intero corso dell’assemblea, immobile, senza muovere la testa né proferire parola.
Il testimone Zagladin, consigliere del presidente dell’Urss, il cui ufficio al Cremlino si trovava accanto a quello di Achromeev, ha dichiarato che quello fu l’ultimo giorno in cui vide Sergej Fedorovič. Stando alle sue parole, Achromeev in quell’occasione era in uno stato di grande angoscia ed estremamente nervoso. Gli tremavano le mani ed era cupo in volto. Quando Zagladin gli chiese come stesse, rispose che «era angosciato, molto in pensiero» e che aveva addirittura «trascorso la notte in ufficio». Disse inoltre che «l’assemblea del Comitato per la difesa era stata difficile» e che «non sapeva cosa sarebbe accaduto poi». Su un quaderno di Achromeev, tra gli appunti presi nel corso dell’assemblea, figura anche questo: «Chi ha organizzato questo complotto dovrà risponderne». Grečannaja e Šeremet’eva, che per motivi di lavoro erano molto più a stretto contatto con Achromeev, hanno affermato di aver notato il 23 agosto Sergej Fedorovič scrivere alcuni fogli, farne delle copie e tentare in ogni modo di sottrarsi alla vista di chi entrava in ufficio. Non si era mai comportato così prima. Entrambe le testimoni hanno dichiarato agli inquirenti di aver pensato, osservando l’insolito stato di angoscia nel quale versava Achromeev, che stesse meditando il suicidio.
Per i parenti, invece, la morte di Sergej fu un dolore non solo enorme, ma anche inatteso. La moglie e le figlie lo conoscevano come un uomo determinato e gioioso. Non aveva mai dimostrato paura o debolezza di fronte a loro. E tale era rimasto fino alla fine.
L’ultima notte la trascorse alla dacia con la famiglia della figlia, Natal’ja Sergeevna. Ecco cosa ricorda Natal’ja:
Per quattro sere di fila non sono riuscita a parlargli, perché tornava stanco, molto tardi, beveva un tè e andava...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il viaggio di Falcone a Mosca
  4. Prefazione. di Francesco Bigazzi
  5. I. Dal colpo di Stato in Urss all’«inchiesta sull’oro di Mosca»
  6. II. L’incontro con Giovanni Falcone e il promesso viaggio in Russia
  7. III. Soldi per lo «spettro del comunismo»
  8. IV. Tutte le decisioni si prendevano a Mosca
  9. V. S’infrange il muro di silenzio
  10. VI. I «compagni» italiani
  11. VII. «Il tabacco per gli amici»
  12. VIII. L’invisibile economia di partito
  13. IX. E tutto in nome di un’«enorme bugia»
  14. X. La bottega di Staraja ploščad’
  15. XI. Suicidi eccellenti
  16. XII. Furono loro i giudici di se stessi
  17. APPENDICE
  18. Copyright