Call prese un dischetto untuoso di salame dalla sua fetta di pizza e fece scivolare la mano sotto il tavolo. Avvertì subito il tocco umido della lingua di Subbuglio, quando il lupo del caos risucchiò il cibo.
«Non dar da mangiare a quell’essere» disse suo padre con fare ostile. «Uno di questi giorni ti staccherà la mano.»
Call accarezzò Subbuglio sulla testa, ignorando il papà. Ultimamente ad Alastair non andava bene niente. Non voleva nemmeno sentir parlare dei mesi che Call aveva passato al Magisterium. Detestava il fatto che il figlio fosse stato scelto come apprendista da Magister Rufus, che era stato anche suo maestro. E l’aveva presa male quando Call era tornato a casa con un lupo del caos.
Call aveva sempre vissuto da solo con il padre e da sempre gli aveva sentito dire quanto fosse profondamente malvagia la scuola che aveva frequentato da ragazzo, la stessa che ora frequentava lui, nonostante le avesse tentate tutte per non farsi ammettere. Al ritorno dal primo anno di Magisterium si aspettava quindi di trovare il padre arrabbiato, ma non aveva previsto la propria reazione a quella rabbia. Prima andavano d’accordo. E invece adesso la tensione tra loro era altissima.
Call sperava che fosse solo per via del Magisterium. Perché l’alternativa era che Alastair ritenesse Call malvagio nel proprio intimo.
Anche lui era turbato dalla consapevolezza della propria segreta malvagità. E parecchio. Aveva cominciato a stilare una lista mentale: in una colonna le prove a favore del fatto che era un Sire Malvagio, nell’altra le prove contrarie. Ormai si era abituato a consultare la lista prima di prendere qualunque decisione. Un Sire Malvagio si sarebbe bevuto l’ultimo goccio di caffè rimasto nel bricco? Che libro avrebbe scelto un Sire Malvagio in biblioteca? Vestirsi di nero da capo a piedi era un’esplicita presa di posizione da Sire Malvagio o una scelta legittima in mancanza di altri abiti puliti? La cosa peggiore era la certezza che suo padre stesse giocando allo stesso gioco, ovvero calcolasse il Punteggio di Call il Sire Malvagio a ogni sguardo.
Ma Alastair poteva soltanto avere dei sospetti. Certezze no. C’erano cose che solo Call sapeva.
Il ragazzo non riusciva a smettere di pensare a quanto gli aveva detto Magister Joseph: che lui possedeva l’anima del Nemico della Morte. Che lui era il Nemico della Morte, predestinato al male. Perfino nell’accogliente cucina gialla dove lui e suo padre avevano consumato migliaia di pasti insieme quelle parole continuavano a echeggiargli nelle orecchie.
L’anima di Callum Hunt è morta. Costretta a uscire dal tuo corpo, si è prosciugata ed è morta. Invece l’anima di Constantine Madden ha messo radici ed è cresciuta, neonata e intatta. Da allora i suoi seguaci hanno fatto di tutto per mantenere in piedi la finzione che non fosse sparito dal mondo, in modo che tu restassi al sicuro.
«Call» disse suo padre, fissandolo in modo strano. “Non guardarmi” avrebbe voluto dire Call. E allo stesso tempo avrebbe voluto chiedergli: “Che cosa vedi quando mi guardi?”.
Lui e Alastair si stavano dividendo la pizza preferita di Call, salame piccante e ananas. In circostanze normali avrebbero parlato dell’ultimo giro in città di Call o del restauro a cui Alastair stava lavorando in garage, ma quest’ultimo era silenzioso e a Call non veniva in mente nulla da dire. Gli mancavano i suoi migliori amici, Aaron e Tamara, ma non poteva parlare di loro davanti a suo padre perché facevano parte del mondo della magia, che Alastair detestava.
Call si alzò dalla sedia. «Posso uscire con Subbuglio?»
Alastair guardò storto il cane, che da adorabile cucciolo era diventato un allampanato mostro adolescente e occupava gran parte dello spazio sotto il tavolo. Il lupo lo guardò di rimando con i suoi occhi da creatura del caos, la lingua penzoloni, e guaì piano.
«Molto bene» disse Alastair con un sospiro che tradiva tutto il suo disappunto. «Ma non fate tardi. E state alla larga dalla gente. La cosa migliore per evitare che i vicini facciano storie è assicurarsi che vedano quel lupo il meno possibile.»
Subbuglio balzò in piedi. Le sue unghie ticchettarono sul linoleum mentre andava alla porta. Call sorrise. Sapeva che la rara devozione di una creatura del caos si traduceva in un sacco di punti Sire Malvagio, ma non rimpiangeva di averlo preso con sé.
Ovviamente, era uno dei tanti problemi collegati al fatto di essere un Sire Malvagio. Non si rimpiangono le cose giuste.
Cercò di non pensarci mentre usciva.
Era un caldo pomeriggio estivo. Il terreno dietro casa era invaso da un fitto manto di erbacce incolte; Alastair non era molto accurato in fatto di giardinaggio, per lui era più importante tenere alla larga i vicini che scambiare con loro consigli sul taglio dei prati. Call si divertì a lanciare un bastone a Subbuglio per farselo riportare, cosa che il lupo eseguì scodinzolando, gli occhi accesi di eccitazione. Potendo, avrebbe fatto una bella corsa anche Call, ma la gamba menomata gli impediva di muoversi in fretta. Subbuglio sembrava capire e di rado si allontanava troppo.
Dopo un po’ di lanci attraversarono insieme la strada, diretti al parco, e Subbuglio corse verso un gruppo di cespugli. Call si frugò in tasca in cerca di sacchetti di plastica. Un Sire Malvagio non raccoglie la cacca del suo cane, quindi ogni passeggiata segnava un punto nella colonna dei più, no?
«Call.»
Il ragazzo si voltò, sorpreso. Lo fu ancora di più quando vide chi gli aveva rivolto la parola. Kylie Myles aveva i capelli biondi tirati indietro da due fermagli a forma di unicorno e stringeva in una mano un guinzaglio rosa; all’altro capo c’era una cosa molto simile a una piccola parrucca bianca, qualcosa che poteva anche essere un cane.
«Tu… ehm» disse Call «sai come mi chiamo?»
«Non ti ho visto in giro ultimamente» rispose Kylie, decidendo di ignorare il suo imbarazzo. Abbassò la voce. «Hai cambiato scuola? Vai alla scuola di danza, adesso?»
Call esitò. Kylie si era presentata con lui alla Prova di Ferro, l’esame di ammissione al Magisterium, ma lui era passato e lei no. Era stata condotta dai maghi in un’altra stanza e da allora non l’aveva più vista. Era chiaro che si ricordava di lui, dato che lo guardava incuriosita, ma chissà cosa pensava che gli fosse successo. I suoi ricordi erano certo stati modificati prima di lasciarla tornare tra la gente normale.
Per un folle istante Call immaginò di dirle tutto. Di come avevano tentato l’ammissione a una scuola di magia e non di danza, e che Magister Rufus l’aveva scelto anche se era andato peggio di lei all’esame. Gli avrebbe creduto, se le avesse raccontato com’era la scuola e che cosa si provava a imparare a modellare il fuoco tra le mani o a volare?
Pensò di dirle che Aaron era il suo migliore amico e in più era un Makar, cosa molto grave, perché voleva dire che era uno dei pochi maghi viventi capaci di evocare la magia con il caos.
«A scuola tutto bene» borbottò lui, senza ben sapere che cosa aggiungere.
«È strano che ti abbiano preso» commentò lei guardandogli la gamba prima di sprofondare in un silenzio imbarazzato.
Call provò un familiare impeto di rabbia: rammentava benissimo com’era nella scuola di prima, dove erano tutti convinti che lui non potesse cavarsela nelle prove fisiche. Da che ricordava, la sua gamba sinistra era più corta e debole dell’altra. Gli faceva male a camminare, e nessuna delle innumerevoli operazioni a cui era stato sottoposto aveva risolto il problema. Suo padre aveva sempre detto che era nato così, però Magister Joseph gli aveva raccontato tutta un’altra storia.
«Sta tutto nella postura del busto» disse Call altezzoso, senza ben sapere cosa potesse significare.
Lei annuì, sgranando gli occhi. «Ma com’è? La scuola di danza, intendo.»
«Dura» rispose lui. «Danziamo tutti fino a crollare. Assumiamo solo proteine vegetali e beviamo frullati di uova crude. Tutti i venerdì si balla a oltranza e chi resiste fino alla fine vince una barretta di cioccolato. E dobbiamo guardare di continuo film di balletto.»
Lei stava per fare un commento, ma fu interrotta dalla comparsa di Subbuglio tra le siepi. Aveva un bastone tra i denti e i suoi occhi enormi e luminosi erano percorsi da sfumature arancio, giallo e rosso fuoco. Kylie lo guardò sbigottita e Call si rese conto che doveva sembrarle enorme: era evidente che non si trattava di un cane o di un altro animale domestico qualunque.
Kylie strillò. Prima che Call potesse dire una parola sfrecciò via dal prato e si lanciò lungo la strada. Il suo botolo peloso quasi non riusciva a tenerle dietro.
“Ecco che cosa si ottiene a essere gentili con i vicini.”
Quando Call tornò a casa, aveva deciso che tra le bugie dette a Kylie e lo spavento che le aveva inflitto, poteva considerare annullati tutti i punti accumulati per aver raccolto la cacca di Subbuglio. La colonna del Sire Malvagio era decisamente più lunga.
«Tutto bene?» chiese suo padre, notando la sua espressione mentre chiudeva la porta.
«Sì, bene» rispose Call, avvilito.
«Ottimo.» Alastair si schiarì la voce. «Pensavo che stasera potremmo uscire. Andare al cinema.»
Call rimase a bocca aperta. Da quando era tornato per le vacanze estive non avevano fatto granché. Giorno dopo giorno Alastair, sprofondato nel suo malumore, si limitava a fare avanti e indietro tra la stanza della tivù e il garage, dove aggiustava vecchie macchine e le faceva diventare come nuove prima di rivenderle ai collezionisti. A volte Call prendeva lo skateboard e faceva dei giretti in città, ma non c’era da divertirsi granché a confronto con il Magisterium.
Quasi gli mancavano anche i licheni.
«Che film vuoi vedere?» chiese Call, supponendo che un Sire Malvagio non prendesse in considerazione i gusti altrui in fatto di cinema. Tanta generosità doveva pur contare qualcosa.
«Ne è appena uscito uno di fantascienza» disse suo padre, sorprendendolo di nuovo. «E magari mentre andiamo possiamo lasciare quel tuo mostro al canile. Scambiarlo con un bel barboncino. Anche un pitbull. Basta che non sia rabbioso.»
Subbuglio lo fissò minaccioso, gli strani occhi invasi di colori roteanti. Call pensò al cane-parrucca di Kylie.
«Non è rabbioso» disse, accarezzandogli la collottola. Il lupo si lasciò cadere a terra e si rigirò sulla schiena, la lingua penzoloni, per farsi grattare la pancia. «Portiamo anche lui? Può aspettarci in macchina, basta che lasciamo i finestrini abbassati.»
Alastair, accigliato, scosse la testa. «Certo che no. Lega quella cosa in garage.»
«Non è una cosa. E scommetto che gli piacciono i popcorn» disse Call. «E i vermi gommosi.»
Alastair guardò l’orologio, poi indicò il garage. «Be’, magari puoi portargliene un po’.»
Con un sospiro Call portò Subbuglio nel laboratorio paterno, in garage. Era uno spazio vasto, più grande della stanza più ampia della casa, con un forte odore di benzina e gasolio e legno vecchio. ...