Il replicante di Sigmund Freud (Urania)
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Il replicante di Sigmund Freud (Urania)

  1. 266 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il replicante di Sigmund Freud (Urania)

Informazioni su questo libro

Lo spazio esterno e interno hanno misteriose corrispondenze, per questo non si può mandare le astronavi allo sbaraglio senza un minimo di advice (consiglio) e meglio ancora counseling (assistenza specializzata). Per questo sono stati creati i simulacri, perfette copie di luminari che aiuteranno gli equipaggi a superare i conflitti dei viaggi "dove nessuno è mai stato prima". Ma a chi appartengono le personalità dei nuovi androidi-consiglieri? A umoristi come Mark Twain, a poetesse come Emily Dickinson, per alleviare lo stress del viaggio nel vuoto con la saggezza della civiltà. Questo per quanto riguarda i primi modelli: in seguito ci sarà bisogno di ben altro e si capirà che quando le difficoltà dello spazio incalzano, quando si rischia di sfiorare la nevrosi, bisogna richiamare dalla morte il più qualificato di tutti, lo stesso Sigmund Freud. Peccato che qualcuno, a bordo della prossima astronave, lo abbia già ribattezzato dottor "Frode"...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
eBook ISBN
9788852076206
Argomento
Letteratura
Categoria
Fantascienza
1

Il modo di trattare del leader

Più e più volte Freud aveva spiegato la situazione a quei folli vegani. — Ascoltatemi — aveva detto — io non sono in grado, non sono assolutamente in grado di praticare cure di natura ortopedica. Anche se sono laureato in medicina, la mia specializzazione è la cura delle malattie mentali. Inoltre, sono stato istruito per curare gli esseri umani, non gli alieni; e infine, in ogni caso, ho di fatto dimenticato tutto di quegli studi. Non posso aiutarvi. Non posso darvi quello che chiedete.
Ciò nonostante, i vegani insistevano. Erano precisi nelle loro richieste. Nel loro esecrabile tedesco, veicolato dai minacciosi dispositivi di traduzione che avevano portato a bordo della Whipperly, malconcia e in apparenza vuota, misero in chiaro che non avrebbero tollerato proteste e che avevano definito in modo preciso le loro esigenze e la capacità di Freud di soddisfarle. — Non posso aiutarvi — aveva ripetuto più volte ai vegani infastiditi, implacabili e insistenti. — Avete del tutto frainteso le mie capacità, la mia formazione, quello che sono in grado di fare. Non l’avete affatto considerato.
— Sciocchezze — risposero. — Tutto questo negazione stupida è. Molto aiuto ci serve, noi aiuta per fusione che tu ripristinerai. Niente di fatto può essere disfatto; nulla di giusto può essere del tutto non giusto. — O qualcosa del genere. Era difficile distinguere le loro voci nel rombo delle macchine, il flusso di parole sembrava sinottico e frammentario. A volte le voci erano così confuse che sembravano parlargli direttamente dalla loro stella.
Sigmund Freud si sentiva un uomo finito. Le cose erano state un disastro da quando i vegani si erano impadroniti della nave. Prima di quel momento, era stata una missione bizzarra e fallimentare, aveva capito di essere nei guai sin dal momento della ricostruzione. Di fatto, non avrebbero dovuto rigenerarlo e il modo in cui aveva affrontato la situazione si era rivelato inutile. Ma ora per lui era immensamente peggio: gli mancava il minimo senso di controllo. L’equipaggio era irreperibile. Sui suoi barcollanti piedi ricostruiti, Freud aveva esplorato la nave munito di un localizzatore, alla ricerca di qualcuno di loro, ma erano stati rimossi dalla Whipperly, forse spediti in una struttura di detenzione o forse uccisi. Anche i ricostruiti erano spariti; non riuscì a trovare né la Dickinson né Clemens – non che avrebbero fatto qualche differenza. E ora quegli alieni gli chiedevano di diventare il loro ortopedico. Il loro esperto di ossa e di articolazioni! Un incubo divenuto realtà: vegani spigolosamente instabili, differenti per colore e dimensioni, pieni di arti e di tentacoli gli apparivano davanti con le appendici schiacciate per chiedergli aiuto. Era come se nello spazio quel carico di storpi fosse stato vittima di un comune disastro che li aveva smembrati tutti. Non riusciva a capire. Non c’era un singolo vegano che non apparisse menomato. Erano tutti così?
Ah, ma Freud non era un ortopedico. A nessun livello; il suo background non prevedeva quella formazione. L’aveva ribadito più volte ai vegani. I miracoli diagnostici e rigenerativi degli ultimi secoli gli erano ignoti. Non sapeva nulla della loro peculiare conformazione, né loro gli avrebbero fornito schemi e informazioni. Ignorava completamente la conformazione ossea degli umani; il tutto era stato oggetto di diversi seminari. Tuttavia, quei vegani volevano aiuto. Spiegarono che molti di loro (non tutti, quindi) avevano subito danni durante il viaggio e che ci sarebbero voluti molti anni, sempre che non intendessero secoli, prima che potessero far ritorno all’equivalente alieno della casa base. Nel frattempo, imploravano Freud di fare del suo meglio per curarli. — Non abbiamo tempo — gli era stato detto. — Tempo non c’è. Devi del tuo meglio fare prima che puoi. — Oh, come ronzavano i traduttori nel trasmettere quell’ingarbugliato messaggio, quelle estensioni tubolari così simili alle armi che i vegani sdegnavano con grande orgoglio. Avevano altri mezzi di controllo, dicevano. — Subito ora ti proponiamo di curarci, perché non c’è abbastanza tempo per quello che non è.
— Ma dove? — chiese Freud, contando su qualche informazione, su qualche spiegazione. — Dov’è allora l’equipaggio della mia nave, dove sono i miei compagni di sventura, i sopravvissuti a questa invasione? Di certo potete dirmelo. Non potete chiedermi aiuto e negarmi ogni informazione. Cosa ne avete fatto? Cos’è successo?
— Questa tua non è risposta — lo informarono gli alieni. — Inutile preoccuparsi di questo, come tu vuoi; più tardi di certo, ma forse non adesso, non qui vorremmo. Più tardi è.
Dunque non glielo avrebbero detto. Tutti spariti, spazzati via dalla Whipperly mentre Freud si trovava in uno stato di narcosi e riprendeva i sensi su una nave epurata della presenza umana, circondato da vegani. L’alienista tendeva a raggruppare quegli alieni, a pensarli come se si esprimessero in modo collettivo o in coro, ma non era affatto così. Utilizzavano una serie di portavoce che si rivolgevano a lui in momenti diversi. Riusciva a distinguerli e a identificarli solo grazie alle varie ferite o malformazioni: quello che lui chiamava il Professore aveva un tentacolo sinistro maciullato, l’Atleta aveva l’interno di un piede schiacciato, l’Attrice attraversava la stanza zoppicando su un artiglio anteriore accuratamente steccato. Ciascuno di loro si assumeva a turno l’onere della comunicazione, anche se nessuno pareva gradire l’incombenza. Sembrava inoltre che le conversazioni si svolgessero più per obbligo che per desiderio, ma dovevano trasmettere se non altro una dichiarazione d’intenti, cosa che facevano in modo colorito e con grande prolissità.
Ma gli alieni non gli dicevano nulla sulla sorte o sul destino dell’equipaggio. Su questo punto erano muti, si chiudevano a riccio, come se tutte quelle persone fossero state un’allucinazione – il capitano, Hoffman, la Wyndham e gli altri più anonimi funzionari che lo avevano colpito di meno (ora capiva con rimpianto che avrebbe dovuto recarsi tra l’equipaggio per conoscerlo meglio; si era autosequestrato) –, come se Freud si fosse inventato tutti loro e in realtà fosse stato solo su quell’enorme velivolo. Se i vegani avessero potuto convincerlo di una cosa simile, se l’avessero ritenuto abbastanza credulone da accettare quell’informazione, era certissimo che ci avrebbero provato. Dimostravano un genuino disprezzo verso l’uomo a cui chiedevano cure e bendaggi.
Ma sapevano che non era così e lo sapeva anche lui, aveva afferrato la situazione. L’equipaggio era esistito davvero, si era trovato in una situazione pericolosa e lui era stato ricostruito per aiutarlo, per salvare in qualche modo la missione. Aveva supplicato, inveito, dimostrato la loro reciproca impotenza di fronte alle stelle, invocato la presenza dei vegani fino a quando, con suo grande rammarico, gli alieni erano arrivati. Era successa una cosa simile su Venere, quando aveva usato la minaccia dei venusiani per impressionare Jurgensen, per indurlo a tornare; i venusiani non si erano palesati, i vegani sì. Ed erano là. Dopo l’invasione e l’appropriazione della Whipperly, c’erano stati solo silenzio, solitudine, rimorso, contemplazione e quelle poche stanze dove Freud aveva mangiato, bevuto, passeggiato, meditato, discusso con i vegani, riflettuto sulla sua storia e sulla sua disperata condizione. Nessuna di quelle stanze recava traccia di una presenza umana.
D’accordo allora, doveva affrontare l’eventualità, considerare l’ineluttabile verità… era probabile che fossero davvero morti durante l’invasione, massacrati fino all’ultimo. Tutti tranne Freud, che i frettolosi vegani avevano scambiato per un ortopedico e risparmiato allo scopo di rimettere in sesto gli alieni storpiati. Ecco come doveva essere andata. Non sembravano esserci altre premesse su cui basare la lettura degli eventi. Doveva accettare l’assenza dell’equipaggio. D’altra parte, dato che gli alieni non elargivano alcuna informazione, forse i membri dell’equipaggio erano ancora in vita, se non sulla nave, in qualche alloggio allestito per loro. Forse Freud era stato isolato solo per potersi concentrare meglio sul lavoro. Là fuori era pieno di vegani storpi e sofferenti, di certo un inconfutabile esempio dal quale poteva anche constatare la gravità della loro condizione. Era tutto molto sconcertante. Non sapeva (e chi mai avrebbe potuto dirglielo?) come affrontare la situazione.
Freud era sempre stato umile. E questo non si sposava bene con la rivalità dei colleghi che controllavano le riviste della sua epoca; sapeva che le cose stavano così, ma questo non rendeva più facile accettarlo. Del resto, come poteva cambiare? La sua umiltà stava alla base di qualsiasi piccolo risultato potesse ancora ottenere; sospettava che fosse stata quella sua qualità a trarre in inganno i biografi e a fuorviare anche coloro che avevano creato il Libro dei Ricostruiti, generando tante false aspettative, mandandolo in quel magazzino da cui era emerso ormai due volte per fallire. Naturalmente non avrebbe mai potuto immaginare il processo di ricostruzione, né tantomeno di essere lui stesso un ricostruito.
Chi mai poteva averlo selezionato? Quali studiosi del futuro potevano desiderare che Sigmund Freud venisse conservato o riportato in vita? Era stato un medico con alcune intuizioni interessanti e molto inquietanti riguardo a una teoria della motivazione inconscia, ecco tutto. Chi si aspettava che si potesse arrivare a tanto? Ma, a sua insaputa e senza alcuna premeditazione, le sue ricerche sembravano aver avuto un grande effetto postumo, lanciando granate su granate sul campo di battaglia del ventesimo secolo. Ormai era una forza oltre il suo tempo, era stato ricreato due volte, sottoposto a una situazione impossibile e poi messo a confronto con l’imponderabile. Era una situazione risibile, e lui era in grado di coglierne l’assurdità, ma non era facile riderci sopra. Un giorno fai una passeggiata intorno a un lago insieme a un agitato compositore, secoli dopo scopri che la cosa è assurta alle dimensioni di una leggenda. Chi poteva saperlo? Capirlo? Chi poteva giudicare tutto questo?
Non si era mai vantato della propria abilità, non avrebbe potuto. Conoscere quel malvagio strumento, la mente inconscia (anche se nessuno poteva conoscerla; al massimo la si poteva intuire), voleva dire capire fin troppo bene quanto potesse essere incontrollabile, quanto ogni conclusione fosse incerta. Com’era ricco, profondo e del tutto perverso quell’inconscio, di quali strane e terribili connessioni era capace! E quanto poco ne sapeva, di conseguenza, sugli alieni. Non ne sapeva proprio nulla. Era il presupposto da cui si era sempre mosso: che tutto, tranne i più semplici luoghi comuni, era oltre la sua comprensione. Eppure, quell’accumulo di alieni feriti che zoppicavano su quella che fino a poco prima era stata una nave umana, quel consesso di orrori, sembrava ammirarlo. Gli dimostravano una protettiva venerazione. Notava un certo timore nel loro atteggiamento, sottomissione nel loro comportamento. Non aveva mai ottenuto tanto dai viennesi, recalcitranti e altezzosi. Su Venere, Jurgensen aveva sbraitato e si era infuriato; e tutti quelli con cui aveva avuto a che fare erano stati in qualche modo accondiscendenti. Ma quei vegani erano sicuramente diversi. Parevano valutare se stessi attraverso il suo giudizio. Vedeva il timore nel loro atteggiamento, la sottomissione nella loro attitudine, il rispetto nelle sillabe sconnesse provenienti dai traduttori. Era chiaro che l’avevano preso per un guaritore. E così, seppur con riluttanza, doveva assumersi quel compito. Doveva cercare di fare qualcosa per loro, pur non essendone in grado.
E c’era un altro motivo per farlo: Freud sapeva che il favore degli alieni dipendeva soltanto dall’aspettativa delle sue capacità ortopediche. Una volta compresa la sua reale incompetenza, sarebbe stata la fine anche per lui: l’avrebbero consegnato allo stesso terribile destino toccato agli altri. Ma se fosse riuscito a prenderli in giro, a mantenere l’illusione della sua utilità, si sarebbe salvato. Dopo le proteste di prammatica, per proteggersi dalla eventuale rabbia in caso di fallimento, aveva scelto di non rifiutarsi. Non meno del defunto capitano o del comandante in seconda Hoffman, si era fatto furbo. Voleva vivere, anche in quelle condizioni.
Voleva vivere.
Aveva conservato l’istinto di sopravvivenza; non era poi così curioso di affrontare un oblio definitivo, stavolta senza le fasce di conservazione o la speranza di una ricostruzione. In astratto, secondo le teorie da lui proposte, il desiderio di morte poteva essere molto forte, ma sapeva che in realtà era sorprendentemente facile tenerlo a debita distanza. Dopotutto chi voleva morire, a meno di aver subito grossi traumi? Mollare tutto non era semplice come aveva creduto nelle serene vesti di teorico. Oh no, era molto difficile. Si cercava di tener duro, si avevano progetti, e Freud aveva imparato molto in quella incarnazione. Ricostruito, voleva andare avanti; ricostruito, scelse di continuare. Non voleva che finisse tutto di nuovo (e per l’ultima volta) così in fretta. Non desiderava l’oblio dei pozzi, perché era ancora curioso e vitale. Sul piano intellettuale poteva desiderare ardentemente la morte, ma su quello emotivo, ed era proprio quello in cui stava vivendo, Freud voleva andare avanti, mantenere la coscienza senza essere di nuovo bloccato. Il capitano l’avrebbe capito. Se avesse potuto parlare con quell’uomo, sarebbero stati d’accordo sulla necessità di andare avanti.
Incessantemente curioso, ancora scienziato, ancora ricercatore, Freud voleva confrontarsi con il resto del secolo, col sorprendente epilogo della sonda vegana, anche se da giovane non avrebbe mai immaginato di poter concepire la questione, meno che mai di controllarla.
Oh, c’erano abbondanti indizi di un Es dilagante, ma Freud non si curò di esaminarli a fondo. Non voleva pensarci troppo. Per quanto ponderata, la sua autoanalisi era stata, era disposto ad ammetterlo, molto sospetta e spesso egocentrica. Come tutte le autoanalisi dovevano essere. Perché quasi tutte le interazioni umane sono compulsive.
“Sono l’unico Freud ricostruito” aveva chiesto una volta, su Venere, prima che lo mandassero nella landa desolata “o ce ne sono altri?” La domanda aveva un tono piuttosto egoistico e lamentoso, anche se l’alienista era in effetti più interessato agli aspetti paradossali. In quell’epoca meno sofisticata e protettiva gli avevano risposto con schiettezza che no, non lo era… i ricostruiti prestavano assistenza a parecchie spedizioni e colonie, potevano essere duplicati e, in quel momento, altre versioni di Freud erano chiuse nei magazzini delle navi o nascoste nelle colonie. E c’era un scorta di prototipi a casa. No, non potevano dirgli quanti fossero; ogni nave aveva soltanto i propri registri. Per quanto ne sapevano, c’erano circa quaranta o cinquanta Freud disponibili.
Per un po’ il pensiero di quelle altre versioni di se stesso che tiravano avanti, vivendo in un’altra epoca, l’aveva ossessionato. Nella loro moltiplicazione, quelle altre versioni erano anche in grado di fare esperienza; alcune erano in attività e altre dismesse, ma sentiva di poter intercettare nei sogni le loro avventure. Era stato un fenomeno spaventoso, un pensiero quasi insopportabile, ma poi gli era sopraggiunta la tranquillizzante idea che quei sogni fossero contraffatti. Le varie versioni non potevano intersecarsi in alcun modo. Come avrebbero potuto comunicare tra loro e quante erano in funzione in un dato momento? Ognuna era isolata e sola, sola e isolata, utilizzata solo in condizioni di emergenza, bloccata nella propria contingenza e legata al suo destino individuale.
Così su Venere, anche prima degli eventi che l’avevano condotto alla sua fine imbarazzante, Freud aveva rinunciato alla speranza di poter ambire a una reale immortalità. Le altre versioni erano senza dubbio separate. Non avevano nulla a che fare con lui. Non avevano importanza. Ciascun Freud era solo e amaramente bloccato nella propria condizione; le molteplici versioni riflesse del suo io erano del tutto ininfluenti. Fu solo a quel punto, nel momento in cui interiorizzò liberam...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL REPLICANTE DI SIGMUND FREUD
  4. UN SALTO TEMPORALE FREUDIANO
  5. Introduzione. Vita di frontiera
  6. Prologo. I tentativi di Sigmund
  7. 3. Emily Dickinson salvata dall’annegamento
  8. 5. Il cuore cerca il piacere, dapprima
  9. 7. Sigmund Frode
  10. 9. Aspettando Sigmund
  11. 6. Mark Twain a cinque braccia
  12. 4. Una musica piena
  13. 8. Sigmund nello spazio
  14. 1. Il modo di trattare del leader
  15. 2. Pazzo, pazzo Sigmund
  16. Epilogo. I documenti privati di Sigmund
  17. Copyright