Lungo il sentiero dell'illuminazione
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Lungo il sentiero dell'illuminazione

Consigli per vivere bene e morire consapevolmente

  1. 182 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Lungo il sentiero dell'illuminazione

Consigli per vivere bene e morire consapevolmente

Informazioni su questo libro

"Tutti muoiono, ma nessuno è morto" recita un proverbio orientale. Commentando un antico testo tibetano, in queste pagine il Dalai Lama parla della morte: una riflessione serena e confortante, la sua, volta a liberarci da ansie e paure per un evento che, se affrontato con la giusta preparazione e la necessaria consapevolezza, diventa più facile da accettare. Attingendo a una vasta gamma di esperienze e di tradizioni orali e scritte, il Dalai Lama descrive le fasi della morte, dello stato intermedio tra una vita e l'altra e della rinascita, arrivando a delineare una sorta di mappatura degli stati mentali più profondi che si manifestano nella vita quotidiana e che di solito passano inosservati. Attraverso un'analisi lucida ed efficace, il Dalai Lama ci spiega, inoltre, come arricchire la nostra permanenza sulla Terra, per morire senza timori e raggiungere la migliore delle reincarnazioni, cercando sempre di progredire "lungo il sentiero dell'illuminazione".

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
Print ISBN
9788804586487
eBook ISBN
9788852076282
Categoria
Religione
1

Consapevolezza della morte

Come quando nella tessitura
si giunge alla fine
e i fili sottili sono intrecciati tra loro,
tale è la vita degli esseri umani.
BUDDHA
È fondamentale essere consapevoli della morte, pensare che non si rimarrà a lungo in questa vita. Se non sei consapevole della morte, non riuscirai a trarre vantaggio da questa speciale vita umana che hai già ottenuto. La sua importanza risiede nei significativi effetti che può produrre.
Si analizza la morte non per cadere preda della paura, ma per apprezzare questa preziosa esistenza, durante la quale puoi compiere molte pratiche importanti. Invece di spaventarti, devi riflettere sul fatto che, quando giungerà la morte, perderai quest’ottima opportunità di fare pratica. In tal modo, la meditazione sulla morte trasmetterà più energia alla tua pratica. Devi accettare che la morte è nell’ordine naturale delle cose. Buddha ha detto:
Un luogo dove stare al riparo dalla morte
non esiste.
Non esiste nello spazio, non esiste nell’oceano.
E neppure se sei nel mezzo di una montagna.
Se accetti che la morte fa parte della vita, quando essa arriverà davvero, ti risulterà forse più facile affrontarla.
Se una persona, pur sapendo nel profondo che la morte arriverà, evita apposta di pensarci, il suo atteggiamento è inadeguato e controproducente. La stessa cosa vale quando, non accettando la vecchiaia come parte dell’esistenza, la si considera inopportuna e si distoglie di proposito il pensiero. Ciò porta a non esserci preparati mentalmente e, quando per forza di cose arriverà, la vecchiaia risulterà assai difficile.
Molte persone sono fisicamente anziane, ma fingono di essere giovani. Talvolta, quando incontro amici di lunga data, come per esempio senatori in paesi quali gli Stati Uniti, li saluto con la formula «Vecchio amico mio», per dire che ci conosciamo da tanto tempo, senza voler necessariamente alludere all’invecchiamento fisico. Ma quando mi esprimo così, alcuni mi correggono con tono enfatico: «Non siamo vecchi! Siamo amici di lunga data!». In realtà, loro sono vecchi – con segni dell’età come i peli sulle orecchie – ma la cosa li fa sentire a disagio. È assurdo.
Di solito penso alla durata massima di una vita umana nei termini di un centinaio di anni che, rispetto alla vita del pianeta, sono un tempo esiguo. Questa breve esistenza dovrebbe essere usata in modo da non provocare dolore agli altri. Dovrebbe essere dedicata non ad attività distruttive, ma a pratiche costruttive, o perlomeno a non fare del male agli altri, a non creare loro problemi. Così, il breve lasso di tempo che trascorriamo come turisti in questo mondo sarà significativo. È sciocco che un turista, durante una breve visita a un certo luogo, crei problemi. È, invece, saggio che in questo lasso di tempo tu, come turista, renda gli altri felici; quando ti sposterai verso la tua prossima destinazione, ti sentirai felice. Se crei problemi, anche se non incontrerai difficoltà durante il soggiorno, ti chiederai comunque che senso abbia avuto la tua visita.
Del centinaio di anni di cui è costituita una vita, la prima parte la trascorriamo da bambini e l’ultima da vecchi, spesso, come gli animali, mangiando e dormendo. In mezzo ci sono sessanta o settant’anni che vanno usati in modo significativo. Buddha ha detto:
Metà della vita è occupata dal sonno. Dieci anni trascorrono con l’infanzia. Vent’anni si perdono con la vecchiaia. Dei venti anni che restano, buona parte è occupata da pene, lamentele, dolori e agitazione e una parte anche maggiore da centinaia di malattie del corpo.
Perché la vita sia significativa è fondamentale accettare la vecchiaia e la morte come parte dell’esistenza. Avere la sensazione che la morte sia quasi impossibile non fa che aumentare la cupidigia e i problemi, a volte fino al punto di nuocere deliberatamente agli altri. Se osserviamo attentamente con quanta maestosità e imponenza i cosiddetti grandi personaggi – imperatori, monarchi e così via – fecero costruire residenze e mura, ci rendiamo conto che, nel profondo del loro cuore, costoro erano convinti di rimanere in questa vita per sempre. Una simile illusione è per molti fonte di ulteriori dolori e problemi.
Anche per quanti non credono nelle esistenze future, la contemplazione della realtà è produttiva, utile e scientifica. Essa apre la strada a uno sviluppo positivo, poiché le persone, le menti e ogni altro fenomeno derivato cambiano di momento in momento. Se le situazioni non cambiassero, gli individui vivrebbero costantemente in una condizione di sofferenza. Ma, sapendo che le cose sono in continuo mutamento, anche se stai attraversando un periodo difficile puoi trovare conforto nel pensiero che la situazione non rimarrà tale per sempre. Di conseguenza non c’è bisogno di sentirsi frustrati.
Neppure la buona sorte è permanente; pertanto, è inutile dimostrare un attaccamento eccessivo quando le cose vanno bene. Una prospettiva di permanenza è la nostra rovina: anche se accetti che ci siano vite future, il presente diventa la tua preoccupazione e il futuro perde rilevanza. Ciò impedisce di sfruttare le ottime possibilità fornite da una condizione di agio per intraprendere pratiche produttive. Una prospettiva di impermanenza è di grande aiuto.
La consapevolezza dell’impermanenza richiede disciplina e capacità di dominare la mente, ma questo non significa punizione o controllo dall’esterno. Disciplina non significa divieto; significa piuttosto che, quando sorge un conflitto tra interessi a lungo termine e interessi a breve termine, si sacrifica il beneficio a breve termine a vantaggio di quello a lungo termine. Questa è l’autodisciplina, che sorge dal riconoscimento della causa e dell’effetto del karma. Se, per esempio, voglio che lo stomaco torni a posto dopo una recente malattia, eviterò cibi agrodolci e bevande fredde che pure, in condizioni normali, sarebbero appetitosi e attraenti. Questo tipo di disciplina ha una funzione protettiva. Allo stesso modo la riflessione sulla morte implica non punizione, ma autodisciplina e autodifesa.
Gli esseri umani hanno il potenziale necessario per creare cose buone, ma per utilizzarlo appieno hanno bisogno di libertà. Il totalitarismo soffoca tale sviluppo. In modo complementare, l’individualismo significa che tu non aspetti qualcosa dall’esterno né rimani in attesa di ordini, ma sei tu stesso fautore dell’iniziativa. In questo senso Buddha sollecitava spesso una «liberazione individuale», cioè un’autoliberazione, non una liberazione ottenuta attraverso un’organizzazione. Ogni individuo deve crearsi da solo il proprio futuro positivo. Libertà e individualismo richiedono autodisciplina. Se sono sfruttati nella direzione delle emozioni afflittive, le conseguenze saranno negative. Libertà e autodisciplina devono procedere di pari passo.

Ampliare la prospettiva

In una prospettiva buddhista, il sommo obiettivo consiste nel raggiungimento della buddhità per essere in grado di aiutare un grande numero di esseri senzienti; tuttavia, un livello intermedio può liberarti dal doloroso ciclo della nascita, dell’invecchiamento, della malattia e della morte; un livello più basso, ma pur sempre apprezzabile, è il miglioramento delle tue vite future. Da qui puoi giungere alla liberazione e infine, a partire da essa, puoi conseguire la buddhità. La tua prospettiva, prima di tutto, si amplia fino a includere le vite future; poi, grazie alla piena comprensione dei tuoi doveri, si approfondisce fino a includere il ciclo della sofferenza da una vita a un’altra, e cioè l’esistenza ciclica o «samsara». Infine, questa comprensione può essere estesa agli altri grazie al desiderio compassionevole che tutti gli esseri senzienti vengano liberati dalla sofferenza e da ciò che la causa. Questa compassione ti spinge ad aspirare alla buddhità.
Per capire appieno la natura della sofferenza e dell’esistenza ciclica devi prima concentrarti sugli aspetti profondi dell’esistenza che hanno un effetto sulle vite future. Questa comprensione della sofferenza è a sua volta indispensabile per il pieno sviluppo della compassione. Analogamente, noi tibetani stiamo cercando di raggiungere un certo livello di autogoverno in Tibet, per poter essere di aiuto alle persone nella nostra patria, ma al contempo lottiamo anche per dare una solida base alla nostra condizione di rifugiati in India. Il raggiungimento del primo obiettivo, che è il più importante, dipende dal raggiungimento del secondo, che è temporaneo.

Svantaggi del non essere consapevoli della morte

Essere consapevole del fatto che morirai dà beneficio. Perché? Se non sei consapevole della morte non darai peso alla tua pratica e trascorrerai un’esistenza insensata, senza soffermarti a pensare quali atteggiamenti e azioni producono sofferenza e quali felicità.
Se non sei consapevole del fatto che potresti morire presto, cadrai preda di un erroneo senso di permanenza. «Morirò dopo, più tardi.» Poi, quando arriva il momento, se anche vorrai compiere qualcosa di utile non avrai più l’energia per farlo. Molti tibetani entrano in monastero in giovane età e studiano testi sulla pratica spirituale, ma quando viene il momento di praticare davvero non ne sono capaci. Questo accade perché non comprendono a fondo l’impermanenza.
Se, dopo avere riflettuto su come praticare, decidi che devi assolutamente farlo in ritiro, per mesi o anche per anni, sei stato motivato dalla conoscenza dell’impermanenza. Ma se tale imperativo non sarà sostenuto dalla frequente contemplazione dei disastri dell’impermanenza, la tua pratica si esaurirà. Ecco perché alcuni rimangono in ritiro per anni, ma poi l’esperienza non si imprime sulla loro vita. Contemplare l’impermanenza non solo motiva la tua pratica, ma la stimola.
Se hai un forte senso della certezza della morte e dell’incertezza del momento in cui arriverà, la tua motivazione sarà interiore. È come se un amico ti avvertisse: «Stai attento, sii giudizioso, un altro giorno sta passando».
Potresti perfino lasciare la tua casa per la vita monastica. Se tu lo facessi, ti verrebbero dati un nuovo nome e una nuova veste. Gli impegni, inoltre, si ridurrebbero; dovresti cambiare atteggiamento, rivolgendo l’attenzione a obiettivi più profondi. Se, tuttavia, continuassi a occuparti delle superficiali attività di tutti i giorni (cibo gustoso, begli abiti, case eleganti, conversazioni piacevoli, molti amici e conoscenti, qualche nemico, se qualcuno ti fa qualcosa che non ti piace, e quindi liti e discussioni), non staresti certo meglio che prima di entrare in monastero e forse staresti perfino peggio. Ricorda che non basta rinunciare a queste attività superficiali per imbarazzo o per paura di quello che potrebbero pensare i tuoi amici che stanno facendo lo stesso percorso; il cambiamento deve venire dall’interno. Questo vale tanto per i monaci e le monache quanto per i civili che si dedicano alla pratica.
Forse sei preda di un senso di permanenza perché pensi di non morire presto e, finché sei vivo, ritieni di avere bisogno di buon cibo, begli abiti e piacevole conversazione. I meravigliosi effetti del presente ti attraggono a tal punto che, per quanto siano poco significativi sul lungo periodo, sei pronto a ricorrere senza vergogna a ogni sorta di esagerazione e di stratagemma per ottenere quello che vuoi – fare prestiti a interessi elevati, guardare gli amici dall’alto in basso, intentare cause in tribunale – tutto per il gusto di avere beni in eccesso.
Poiché hai dedicato la tua vita a tali attività, il denaro diventa più allettante dello studio e, anche se tenti di praticare, lo fai con scarsa attenzione. Se cade un foglio da un libro, può darsi che tu esiti a raccoglierlo; ma se cade a terra del denaro, l’esitazione sparisce. Se incontri qualcuno che ha davvero dedicato la vita a obiettivi più profondi, può darsi che tale dedizione riscuota la tua approvazione, ma questo è tutto; se, invece, vedi qualcuno elegantemente vestito che ostenta la propria ricchezza, tu la desidererai, la bramerai, spererai di ottenerla a tua volta, con un coinvolgimento sempre maggiore. Alla fine, farai qualsiasi cosa per averla.
Quando ti concentri sui lussi di questa vita, le tue emozioni afflittive aumentano e con esse il numero delle azioni cattive. Tali emozioni controproducenti generano solo problemi, mettendo te e coloro che ti stanno intorno in una posizione difficile. Anche se impari per sommi capi a praticare le fasi del sentiero verso l’illuminazione, acquisisci sempre più beni materiali e ti comprometti con un numero sempre maggiore di persone, finché ti ritrovi, per così dire, a praticare le superficialità di questa vita, a coltivare tristemente il desiderio per gli amici e l’odio per i nemici, a tentare di trovare il modo di soddisfare queste emozioni afflittive. A questo punto, pur sentendo parlare di una pratica reale e benefica, sei portato a pensare: «Sì, certo, ma...». Un «ma» dopo l’altro. Invero, ti sei abituato alle emozioni afflittive nel corso della tua esistenza ciclica senza inizio, ma adesso ci hai aggiunto la pratica della superficialità. Il che peggiora la situazione, poiché ti allontana da ciò che potrebbe davvero aiutarti.
Mosso dalla bramosia, non troverai pace. Non renderai felici né gli altri né, sicuramente, te stesso. A mano a mano che diventi più concentrato su di te («il mio questo, il mio quello», «il mio corpo, la mia ricchezza»), trasformi subito in oggetto della tua collera chiunque interferisca. Per quanto tu possa ricavare dai «miei amici» e dai «miei parenti», loro non possono aiutarti quando nasci e quando muori; arrivi qui da solo e da solo dovrai andartene. Se nel giorno della tua morte un amico potesse accompagnarti, l’attaccamento sarebbe giustificato, ma è impossibile che ciò accada. Quando rinasci in una situazione totalmente estranea, se un amico della tua vita precedente potesse esserti di qualche aiuto, sarebbe da tenere in considerazione, ma non c’è modo che ciò accada. Eppure, nell’intervallo tra la nascita e la morte, per vari decenni è tutto un «il mio amico», «mia sorella», «mio fratello». Questa enfasi malriposta non fa che aumentare l’illusione, la bramosia e l’odio.
Quando si enfatizzano gli amici, anche i nemici finiscono per esserlo. Quando nasci, tu non conosci nessuno e nessuno conosce te. Anche se tutti noi allo stesso modo vogliamo la felicità e non vogliamo la sofferenza, le facce di alcuni ti piacciono e pensi: «Questi sono miei amici», mentre le facce di altri non ti piacciono e pensi: «Questi sono miei nemici». Assegni loro identità e soprannomi e così finisci per sviluppare desiderio per gli uni e odio per gli altri. Che valore ha tutto ciò? Nessuno. Il problema è che tanta energia viene investita in preoccupazioni che non vanno al di là dei fatti più superficiali di questa esistenza. Il profondo lascia il posto al superficiale.
Se non hai praticato e nel giorno della tua morte sei circondato da amici in lacrime e da altre persone coinvolte nelle tue faccende, invece di avere qualcuno che ti ricordi la pratica virtuosa, ne risulteranno soltanto problemi, problemi che tu stesso avrai attirato su di te. Dove sta l’errore? Nel non essere consapevole dell’impermanenza.

Vantaggi dell’essere consapevoli dell’impermanenza

Se, tuttavia, non aspetterai fino all’ultimo per renderti conto che morirai e valuterai, invece, realisticamente la tua situazione adesso, non ti lascerai travolgere da obiettivi superficiali e temporanei. Non trascurerai ciò che ha importanza a lungo termine. È meglio decidere fin dall’inizio che morirai e indagare su quali sono le cose che contano. Se tieni presente la velocità con cui questa vita scompare, darai valore al tuo tempo e farai ciò che ha valore. Se proverai un forte senso dell’imminenza della morte, sentirai la necessità di dedicarti alla pratica spirituale e di migliorare la t...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione di Jeffrey Hopkins
  4. LUNGO IL SENTIERO DELL’ILLUMINAZIONE
  5. 1. Consapevolezza della morte
  6. 2. Liberarsi dalla paura
  7. 3. Prepararsi a morire
  8. 4. Eliminazione degli ostacoli a una morte favorevole
  9. 5. Raggiungimento di condizioni favorevoli per il momento della morte
  10. 6. Meditare mentre si muore
  11. 7. La struttura interna
  12. 8. La chiara luce della morte
  13. 9. La reazione allo stato intermedio
  14. 10. Rinascere positivamente
  15. 11. Riflessione quotidiana sul poema
  16. Appendice. Struttura del poema e consigli riassuntivi
  17. Letture consigliate
  18. Copyright