Agitarsi, si disse Liz, non sarebbe servito a molto. Non era certo colpa sua, pover’uomo. L’agente immobiliare aveva finito di parlare e la guardava preoccupato, in attesa di una sua reazione. Per guadagnare tempo, Liz diede un’occhiata all’esterno dalla finestra a ghigliottina dell’ufficio, i cui vetri brillavano sotto il sole e le gocce di pioggia di un’incerta giornata di settembre. Fuori c’era un piccolo giardino cinto da mura, con una panchina in ferro battuto e cassette di fiori. Liz pensò che in estate dovesse essere bello, dimenticando che, a tutti gli effetti, era ancora estate. La sua mente lavorava sempre con almeno mezzo trimestre di anticipo.
«Mrs Chambers...?»
«Oh, sì, mi scusi.» Liz si voltò. «La stavo ascoltando.» Sorrise all’agente immobiliare. Lui non ricambiò il sorriso.
«Quando abbiamo messo la proprietà sul mercato, io avevo avvertito suo marito della possibilità che si verificasse questa situazione, e avevo suggerito un prezzo di vendita più basso di quello che chiedete.»
«Lo so» ammise Liz. Si domandò perché mai l’agente ritenesse necessario ricordarglielo. Era sulla difensiva? Sentiva il bisogno di giustificarsi, di spiegare perché, dopo dieci mesi, la sua agenzia non era ancora riuscita a vendere la casa? Studiò il giovane viso ben rasato dell’uomo in cerca di segnali del tipo “Io l’avevo detto”, “Se mi aveste dato retta...”.
Ma la faccia dell’uomo era solo seria. Preoccupata. Liz pensò che probabilmente lui non era il tipo di persona a cui piace recriminare. Stava semplicemente esponendo i fatti.
«E a questo punto dovete prendere una decisione. Per come la vedo io, avete due opzioni realistiche.» E quante non realistiche?, avrebbe voluto chiedergli Liz, però lo fissò con aria intelligente, chinandosi appena in avanti sulla sedia per dimostrare il suo interesse. Cominciava a sentirsi piuttosto accaldata; attraverso i vetri della finestra, il sole le picchiava sulle guance. Come al solito, quella mattina aveva completamente equivocato le condizioni meteo e si era vestita per una frizzante giornata d’autunno. Forse si sarebbe dovuta togliere uno strato di indumenti. Ma il pensiero di sfilarsi il maglione pesante – il che avrebbe comportato togliersi prima gli occhiali e il cerchietto per i capelli – e di mettere in mostra una camicia di jeans spiegazzata e forse anche macchiata di caffè le sembrò troppo impegnativo. Specie davanti a quell’impeccabile agente immobiliare. Lo osservò di nascosto. Non sembrava avere caldo; la sua faccia era abbronzata ma per niente arrossata e i polsini della camicia erano freschi e immacolati. Inamidati, pensò Liz, probabilmente dalla sua ragazza. O forse, visto che sembrava così giovane, da sua madre. Quel pensiero la divertì.
«Due opzioni» ripeté, in tono più accomodante di quanto avrebbe voluto.
Un guizzo di qualcosa che poteva essere sollievo passò sul viso dell’agente immobiliare. Forse si era aspettato una scenata. Ma prima che Liz potesse reagire, lui era già tornato alla sua sperimentata professionalità.
«La prima opzione» disse «consisterebbe nel rimettere la vostra casa sul mercato abbassando in misura considerevole il prezzo.»
“Ovvio” pensò Liz. “Qualunque idiota avrebbe potuto dirmelo.” «Di quanto, più o meno?» chiese in tono cortese. «Realisticamente parlando» aggiunse, soffocando l’impulso improvviso e inappropriato di ridacchiare. Quella conversazione era irreale. La prossima cosa che avrebbe detto sarebbe stata: “Mettiamo le carte in tavola” oppure “Vuole ripetere, per favore...”. “Controllati” si ordinò severamente. “Questa è una cosa seria.”
«Cinquantamila sterline. Come minimo.»
La testa di Liz si alzò di scatto per lo shock. La risatina che aveva sentito nascere dentro di sé svanì di colpo. Provò un senso di vergogna. Non c’era da meravigliarsi che il bel viso di quel ragazzo le fosse sembrato così allarmato. L’agente si angustiava per la sua situazione più di lei. E, bisognava riconoscerglielo, la situazione era davvero preoccupante.
«Avevamo già ridotto il prezzo di ventimila» obiettò Liz, notando con una punta di orrore che le tremava la voce. «Ed è meno dell’ipoteca.»
«Lo so» disse l’agente. Abbassò lo sguardo sui documenti sulla scrivania. «Temo che i prezzi di mercato siano scesi notevolmente da quando avete comprato.»
«Non così tanto. Non è possibile.» La preoccupazione, anche se tardiva, la rendeva aggressiva. Naturalmente aveva visto i titoli dei giornali, ma li aveva sempre solo sfiorati con lo sguardo, dando per scontato che non la riguardassero. Aveva evitato i discorsi degli amici, alcuni chiaramente ansiosi, altri compiaciuti e trionfanti. Il mercato immobiliare qui, il mercato immobiliare là. Ma per amor del cielo. Una definizione stupida, comunque. Il mercato immobiliare... Le faceva venire in mente file di bancarelle trasformate in minuscole case, ognuna con il cartellino del prezzo legato intorno al camino.
«Non possiamo vendere per così poco» aggiunse. Sentì le guance farsi ancora più calde. «Proprio non possiamo. Non avremmo abbastanza denaro per ripagare la banca e abbiamo ottenuto il prestito per il college solo sulla base della vendita della casa. All’inizio abbiamo avuto alcune persone interessate, avevano addirittura fatto un’offerta.» Si interruppe, sentendosi travolgere dall’umiliazione. Quanti anni aveva più di quel ragazzo? Ed eccola lì, che gli rovesciava addosso tutte le sue preoccupazioni economiche e cercava una risposta da lui.
Ma l’agente sembrava non avere risposte. Le sue dita spostavano ansiose i fogli sulla scrivania e i suoi occhi evitavano quelli di Liz. «Sono praticamente certo che, se riducete il prezzo della cifra che ho suggerito, avremo una vendita in un arco di tempo molto ragionevole» dichiarò, come se stesse leggendo da una scheda di suggerimenti professionali.
«Sì, ma noi abbiamo bisogno di una cifra maggiore!» esclamò Liz. «Avevamo già un’ipoteca da pagare, e adesso abbiamo anche un’attività da mandare avanti. E comunque quale sarebbe un arco di tempo molto ragionevole?» Si accorse troppo tardi dell’errore che aveva commesso. L’agente alzò di colpo la testa con un’inequivocabile espressione di sollievo, perché gli era stata rivolta una domanda alla quale era in grado di rispondere.
«Ah, be’, queste cose richiedono sempre un certo tempo» cominciò. «Faremo una nuova promozione dell’immobile, evidenziando il prezzo ridotto e rivolgendoci a un target di acquirenti completamente diverso.»
Mentre la voce dell’agente ronzava monotona, sottolineando compiaciuta i vantaggi della pubblicità locale e delle foto a colori, lo sguardo di Liz prese a vagare. All’improvviso si sentiva svuotata, preoccupata e spaventata. Si rendeva conto di non avere mai preso abbastanza seriamente la vendita della casa. Quando i primi potenziali compratori si erano tirati indietro, era stata quasi contenta. Non sopportava l’idea di estranei in casa sua, estranei che usavano il loro bagno e la loro cucina, estranei che si abbronzavano nel loro giardino. Anche se era stata proprio lei la forza propulsiva dietro a tutta quell’operazione.
Naturalmente Jonathan non lo capiva. Una sera, parecchi mesi prima, Liz era scoppiata in un torrente di lacrime al pensiero di lasciare per sempre la casa e lui l’aveva guardata sorpreso.
“Ma sei stata proprio tu che l’hai voluto!” le aveva detto, quasi gridando. “Ed è stata tua l’idea di comprare il college, tanto per cominciare.”
“Lo so, lo so” aveva ammesso Liz piagnucolando, mentre le lacrime calde le scendevano sul viso. “Ma non voglio lasciare questa casa.”
Jonathan l’aveva fissata stupefatto per alcuni secondi, poi aveva cambiato espressione. “Va bene, tesoro, allora non la lasceremo” aveva detto in tono improvvisamente deciso, poi le aveva sollevato il mento e l’aveva fissata negli occhi pieni di lacrime, in un atteggiamento uscito dritto da un film degli anni Quaranta. “Resteremo qui. Resteremo dove siamo felici. Domani telefonerò agli avvocati.”
“Oh, Jonathan, perché sei così stupido?” Spazientita, Liz aveva liberato il mento dalla stretta gentile del marito. Si era passata una mano sul naso e poi, con esasperazione, tra i capelli. Una seconda, debole ondata di lacrime le era scesa lungo le guance. “Tu non capisci mai niente. È ovvio che non resteremo qui.”
Con un profondo, tremante sospiro si era alzata ed era andata a chiudere la finestra. Quando era tornata a letto, Jonathan le voltava la schiena. Non per risentimento, Liz ne era sicura, ma per totale confusione, e lei si era resa conto di non essere giusta nei confronti di suo marito. Lui era intrinsecamente prudente e privo di ambizioni per natura. C’era voluto tutto il suo entusiasmo per convincerlo a imbarcarsi in quell’impresa. E ora si metteva a piangere angosciata davanti a lui, preoccupandolo inutilmente.
“Scusami” gli aveva detto, prendendogli la mano sottile e guardando le sue spalle rilassarsi. “Sono solo stanca.”
Da quella sera era passata all’estremo opposto, mantenendo un approccio allegro e positivo che aveva trascinato tutta la famiglia attraverso la stesura dei documenti, i furgoni delle consegne e i resti del trasloco, portandola nello squallido appartamentino in cui ora abitavano, lontano dalla sicurezza, in una precaria incertezza. Mentre Jonathan si aggirava ansioso nelle piccole, polverose stanze della loro nuova casa alla ricerca delle prese di corrente, mentre Alice si trascinava in giro con aria torva in un ostentato, generico malumore adolescenziale, era stata lei, Liz, quella che sorrideva e cantava le canzoni dei Beatles, mescolando allegramente motivi e testi. Era stata lei quella forte, quella che dava sicurezza. Ma ora sembrava che la sicurezza fosse abilmente scivolata via da lei, come se avesse riconosciuto un avversario troppo forte nelle informazioni di quel monotono messaggero dalla faccia così giovane.
«Dei buoni interni fanno davvero la differenza» stava dicendo l’agente immobiliare. L’attenzione di Liz tornò a focalizzarsi su di lui. «Là fuori la concorrenza è molto forte: c’è gente con la Jacuzzi, con serre...» Guardò speranzoso Liz. «Non prenderebbe in considerazione l’idea di installare una bella doccia idromassaggio multifunzione? Potrebbe essere utile per attirare i compratori.»
«Invece di abbassare il prezzo?» chiese Liz, con una punta di sollievo. «Be’, non vedo perché no.»
«Oltre ad abbassare il prezzo, volevo dire» chiarì l’agente. Il suo tono era quasi divertito, e fu quel tono che all’improvviso punse Liz sul vivo.
«Lei vuole che abbassiamo il prezzo e che installiamo anche una doccia nuova?» Sentì la propria voce farsi stridula e il viso assumere quell’espressione oltraggiata che di solito riservava ai suoi allievi più negligenti. «Si rende conto» scandì in modo lento e chiaro, come avrebbe fatto con una classe di scontrosi liceali dell’ultimo anno «che stiamo vendendo la nostra casa perché ci servono i soldi? Che non abbiamo deciso di andare ad abitare in un appartamento brutto e minuscolo perché lo vogliamo, ma perché ci siamo costretti?» Liz si rese conto che si stava caricando sempre di più. «E mi viene a dire che, visto che voi non siete riusciti a vendere la nostra casa, noi dobbiamo installare una doccia nuova a Dio solo sa quali costi e abbassare il prezzo di... quanto ha detto? Cinquantamila? Cinquantamila sterline! Ha idea dell’ammontare del nostro prestito?»
«Sì, be’, quella in cui vi trovate è una situazione piuttosto comune» disse in fretta il giovane agente immobiliare. «La maggior parte dei nostri clienti si è ritrovata in una situazione patrimoniale negativa.»
«Be’, temo proprio che non me ne freghi un accidente degli altri suoi clienti! Perché mai dovrebbe importarmene?» Già mentre ascoltava il crescendo della propria voce, Liz decise che non avrebbe detto a Jonathan che si era arrabbiata e aveva urlato con l’agente immobiliare. Suo marito si sarebbe soltanto irritato e preoccupato. Forse avrebbe addirittura telefonato per scusarsi, per amor del cielo. Al pensiero dell’eccesso di umiltà di Jonathan, Liz si arrabbiò ancora di più. «Abbiamo messo in vendita la casa quasi un anno fa» gridò. «Se ne rende conto? Se la vostra agenzia l’avesse venduta allora, come si supponeva facesse, adesso non staremmo discutendo di docce nuove. Non staremmo abbassando il prezzo in modo così ridicolo. Avremmo estinto l’ipoteca e saremmo a posto.»
«Mrs Chambers, il mercato immobiliare...»
«Vada a farsi fottere il mercato immobiliare!»
«Senti, senti!» Una voce calda, rilassata e raffinata si unì a loro. L’agente immobiliare trasalì, si costrinse a sorridere e ruotò sulla poltroncina girevole. Liz, che era stata sul punto di continuare, prese un respiro profondo e si voltò a guardare. Sulla soglia dell’ufficio c’era un uomo in giacca di tweed, con gli occhi scuri e un sorriso divertito. Mentre Liz lo osservava, entrò nell’ufficio e si appoggiò allo stipite della porta. Sembrava a proprio agio, sofisticato e sicuro di sé, a differenza del giovane agente immobiliare, che aveva cominciato a riordinare nervosamente i documenti sulla scrivania. L’uomo con la giacca di tweed lo ignorò.
«Continui, la prego» disse a Liz, rivolgendole un sorriso interrogativo. «Non intendevo interromperla. Stava dicendo qualcosa a proposito del... mercato immobiliare?»
Seduto accanto alla finestra del piccolo, deprimente ufficio del Silchester Tutorial College, Jonathan Chambers stava esaminando i conti dell’ultimo anno di attività. Miss Hapland, la precedente proprietaria del college, aveva tenuto personalmente la contabilità per trent’anni in un modo che era diventato sempre più stravagante con il passare del tempo. Nei mesi successivi alla sua morte, e fino alla vendita del college, l’aspetto finanziario era stato superficialmente sbrigato da un nipote, e ora la contabilità sembrava ancora più confusa di prima.
Jonathan aggrottò la fronte, voltò una pagina e poi arricciò involontariamente il naso davanti alle colonne di numeri. Era un lavoro monotono e faticoso, che lui stava affrontando con metodo a intervalli regolari da quando in estate avevano finalmente rilevato il college. Lanciò un’occhiata alle intestazioni delle colonne e cercò di ignorare gli occasionali raggi di sole che, tentatori, giocavano sul foglio che aveva davanti. Era un pomeriggio perfetto per una passeggiata o una corsa in bicicletta, e la tentazione di cedere e uscire a respirare un po’ d’aria fresca era tremenda. Ma aveva detto a Liz che avrebbe trascorso la giornata cercando di sistemare i conti e non sarebbe stato giusto deluderla. Non mentre lei era fuori per sbrigare la noiosa incombenza della spesa e poi per affrontare l’agenzia Witherstone a proposito della casa.
Jonathan fece una pausa e, con la penna sospesa sopra una colonna di cifre, si domandò come se la stesse cavando sua moglie. All’improvviso nella mente gli comparve la visione ...