L’alba la svegliò; la luce e un rumore proveniente dal cielo.
Adara sbadigliò, batté le palpebre e udì di nuovo il rumore. Allora si issò sul ramo più alto, spingendosi in su, fin dove poteva arrivare, e scostò le foglie.
Nel cielo volteggiavano dei draghi.
Non aveva mai visto animali simili. Le loro scaglie erano scure e fuligginose, non verdi come quelle del drago di Hal. Un drago era tinta ruggine, un altro colore del sangue secco e un altro ancora nero come il carbone. Tutti avevano occhi che sembravano tizzoni ardenti, dalle narici fuoriusciva del vapore e le code guizzavano avanti e indietro mentre le ali scure e coriacee battevano l’aria.
Quello tinta ruggine aprì le fauci e ruggì, e la foresta tremò a quella sfida, perfino il ramo che reggeva Adara oscillò leggermente.
Anche quello nero emise un suono, e quando spalancò le mascelle uscì una colonna di fuoco, arancione e blu, che lambì gli alberi sottostanti. Le foglie avvizzirono e annerirono, cominciò a salire del fumo là dove era arrivato il respiro del drago.
Il terzo, quello color sangue, sorvolò rasente la zona, con le ali che scricchiolavano e si tendevano, la bocca semiaperta. Tra i denti ingialliti Adara vide tracce di cenere e fuliggine, e l’aria mossa al suo passaggio era fuoco e carta vetrata, ruvida e ardente contro la pelle. La bambina si fece piccola piccola.
Sulla schiena dei draghi c’erano uomini con lancia e frustino, in uniformi nere e arancione, le facce nascoste dietro agli elmetti scuri. Quello che cavalcava il drago color ruggine fece un cenno con la lancia, indicando la fattoria in fondo ai campi. Adara guardò in quella direzione.
Hal stava arrivando per affrontarli.
Il suo drago verde era grande come i loro, ma per qualche ragione ad Adara sembrò piccolo, quando lo vide librarsi. Con le ali aperte, era evidente quanto fosse ferito; l’estremità dell’ala destra era carbonizzata, e volando sbandava vistosamente. Sul suo dorso, Hal pareva uno dei soldatini giocattolo che aveva regalato ai nipoti gli anni precedenti.
I cavalieri nemici si divisero per attaccarlo da tre lati.
Hal intuì le loro intenzioni. Cercò di voltarsi, per gettarsi sul drago nero di fronte, e schivare gli altri due. Il suo frustino si abbassò rabbiosamente, disperatamente.
Il drago verde aprì le fauci, e tuonò una sfida, ma la sua fiamma era pallida e a breve gittata, e non raggiunse il nemico.
Gli altri trattennero il fiato. Poi, a un segnale, i draghi soffiarono tutti insieme.
Hal fu avvolto dalle fiamme. Il suo drago emise un gemito acuto, e Adara vide che stava bruciando, come il suo cavaliere: ardevano entrambi, bestia e padrone. Caddero pesantemente a terra, e rimasero fumanti tra il grano di suo padre.
L’aria era grigia di cenere.
Adara allungò il collo nell’altra direzione, e vide salire una colonna di fumo da dietro il bosco e il fiume. Era la fattoria dove viveva Vecchia Laura con figli, nipoti e pronipoti.
Quando si voltò di nuovo, i tre draghi stavano planando sulla fattoria di suo padre. Atterrarono l’uno dopo l’altro. Vide il primo cavaliere smontare e incamminarsi verso la porta di casa.
La bambina era confusa e spaventata, in fondo aveva solo sette anni. E l’aria calda dell’estate la opprimeva, facendola sentire impotente e accrescendo le sue paure.
Così Adara fece l’unica cosa che sapeva fare, senza pensarci, una cosa che le veniva naturale. Scese dall’albero e iniziò a correre. Corse attraverso i campi e i boschi, lontano dalla fattoria, dalla sua famiglia, dai draghi, lontano da tutto. Corse fino a quando le gambe cominciarono a cederle e a farle male; giù in direzione del fiume. Corse verso il posto più freddo che conosceva, le profonde grotte sotto la ripida scogliera, un riparo freddo, buio e sicuro.
E si nascose lì, al gelo. Adara era una bambina dell’inverno, il freddo non la disturbava. Eppure, quando si nascose, tremava.
Al giorno subentrò la notte.
Adara restò nella grotta. Cercò di dormire, ma il suo sonno era popolato di draghi fiammeggianti.
Si fece piccola piccola quando si coricò al buio, e cercò di contare quanti giorni mancavano al suo compleanno.
Le grotte erano fredde; Adara poteva quasi immaginare che non fosse estate ma inverno.
Il suo drago di ghiaccio sarebbe arrivato presto a prenderla, e insieme sarebbero volati nella terra dell’inverno perenne, dove grandi castelli di ghiaccio e cattedrali di neve si stagliano in eterno in bianche distese sconfinate, in una pace e un silenzio assoluti.
Sembrava quasi inverno, mentre se ne stava lì distesa. La grotta pareva diventare sempre più fredda. Questo le dava un senso di sicurezza. Si appisolò. Al risveglio, la temperatura si era ulteriormente abbassata. Un candido strato di brina rivestiva i muri della grotta, e lei giaceva su un letto di ghiaccio.
Adara balzò in piedi e guardò in direzione dell’imboccatura della grotta, da cui trapelava la pallida luce dell’alba. Un vento gelido le carezzò la pelle. Proveniva dall’esterno, dal mondo dell’estate, non dal fondo della grotta.
Emise un gridolino di gioia, scalò le rocce ricoperte di ghiaccio.
Fuori, il drago di ghiaccio la aspettava.
Aveva soffiato sull’acqua, e adesso il fiume era gelato, almeno in parte, anche se si stava sciogliendo rapidamente, man mano che sorgeva il sole estivo. Aveva soffiato sull’erba che cresceva lungo la riva, alta quanto Adara, e adesso gli steli sottili erano bianchi e friabili, e q...