Una voce dal lago
eBook - ePub

Una voce dal lago

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Nell'America del 1906 si cresce in fretta. A soli sedici anni Mattie ha una famiglia da mandare avanti e decisioni difficili da prendere: sposarsi o studiare per diventare scrittrice? Sarà proprio nelle amate parole che Mattie troverà la forza per affermarsi e dare voce anche a chi non l'ha più.

Come Grace Brown che, prima di morire, le ha affidato le sue lettere piene di vita e di speranza.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Una voce dal lago di Jennifer Donnelly, Egle Costantino in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
Print ISBN
9788804669272
eBook ISBN
9788852075742

prin-ci-pian-te, e-le-men-ta-re

Se la primavera ha un sapore, è quello dei germogli di felce. Verdi, freschi e croccanti. Brillanti, come il sole che li ha fatti spuntare. In teoria ero lì per raccoglierli, insieme a Weaver. Avevamo intenzione di prenderne due secchi, poi uno ce lo saremmo diviso noi due e l’altro l’avremmo venduto al cuoco dell’Eagle Bay Hotel. Però io ero troppo occupata a mangiarli per ricordarmi di metterne un po’ nel secchio. Era più forte di me: morivo dalla voglia di qualcosa di fresco dopo mesi e mesi di patate vecchie e fagioli in scatola.
A papà e Abby i germogli piacciono fritti nel burro e conditi con sale e pepe, ma secondo me sono perfetti così, appena spuntati dal terreno.
«Scegli una parola, Weaver» dissi. «Chi vince legge e chi perde raccoglie.»
«Cosa fate voi due? Bisticciate di nuovo?» chiese Minnie. Era seduta vicino a noi su un grosso masso. Era incinta, e ormai era molto grossa e goffa.
«Questo è un duello, non una lite, signora Compeau» le rispose Weaver. «Si tratta di una cosa molto seria, e gradiremmo il più assoluto silenzio.»
«Allora passatemi un secchio. Sto morendo di fame.»
«No. Saresti capace di mangiarti tutti i germogli che abbiamo raccolto» protestò Weaver.
Minnie mi rivolse uno sguardo da cane bastonato. «Per favore, Mattie» piagnucolò.
Scossi il capo. «Il dottor Wallace dice che devi fare movimento. Alzati e raccogli un po’ di germogli anche tu.»
«Ma, Matt, oggi ho già fatto movimento: ho camminato fin quassù dal lago. Sono stanca…»
«Minnie, se non ti dispiace, qui sta per cominciare un duello» sbuffò Weaver.
Lei borbottò qualcosa e sospirò. Si alzò a fatica dal masso e si accovacciò tra i germogli. Li strappò uno dietro l’altro, in fretta. Li mangiò velocemente, ficcandoseli in bocca col palmo della mano, senza nemmeno darsi il tempo di assaporarli. Guardandola, mi venne da pensare che se mi fossi avvicinata, mi avrebbe ringhiato. A Minnie non piacevano nemmeno i germogli. Cioè, non le piacevano prima che rimanesse incinta e cominciasse a mangiare qualsiasi cosa di commestibile le capitasse a tiro. Mi aveva raccontato che una volta, mentre nessuno la guardava, aveva leccato un pezzo di carbone. E succhiato una lumaca.
Weaver aprì il libro che aveva portato con sé. I suoi occhi si fermarono su una parola. «Iniquo» disse, chiudendolo di scatto. Ci mettemmo schiena contro schiena, puntammo l’indice e il pollice a mo’ di pistola.
«All’ultimo sangue, signorina Gokey» disse lui con fare solenne.
«All’ultimo sangue, signor Smith.»
«Minnie, tu dai gli ordini.»
«No. È una stupidaggine.»
«Avanti. Fallo e basta.»
«Contate» sospirò Minnie.
Ci allontanammo l’uno dall’altra contando i passi. A dieci ci fermammo.
«Voltatevi» disse Minnie sbadigliando.
«Minnie, dai, fai uno sforzo. Questo è un duello all’ultimo sangue!» esclamò Weaver.
Minnie alzò gli occhi al cielo. «Voltatevi!» gridò.
Ci voltammo.
«Fuoco!» strillò Minnie.
«Cattivo!» urlò Weaver.
«Immorale!» gridai io di rimando.
«Ignobile!»
«Sbagliato!»
«Abietto!»
«Ingiusto!»
«Spregevole!»
«Vergognoso!»
«Turpe!»
«Turpe? Gesù, Weaver! Ehm… ehm… aspetta, ce l’ho…»
«Troppo tardi, Mattie. Sei morta» sentenziò Minnie.
Weaver sogghignò compiaciuto e si soffiò sulla punta dell’indice. «Comincia a raccogliere» disse. Si fece un cuscino con la giacca e si sistemò contro una roccia a leggere Il conte di Montecristo. Riempire un secchio era già un’impresa, due era proprio impossibile. E Minnie non sarebbe stata di alcun aiuto. Era già tornata a sedersi sulla roccia. Avrei dovuto pensarci prima di sfidare Weaver a un duello di parole. Vinceva sempre lui.
Raccogliere germogli di felce era soltanto una piccola parte del mio piano per fare soldi. Poi sarebbero venute le fragoline di bosco, i mirtilli, la resina d’abete. Dieci centesimi per una cosa, un quarto di dollaro per un’altra. Una volta, quando tutto ciò che volevo era un sacchetto di cioccolatini o una stringa di liquirizia, venticinque centesimi per me erano praticamente una fortuna, ma quei tempi erano passati. Avevo bisogno di soldi. Molti soldi. New York, diceva la gente, era terribilmente costosa. Fino allo scorso novembre avevo addirittura cinque dollari, tutti miei. In pratica un biglietto del treno fino alla Grand Central Station, meno un dollaro e novanta. La signorina Wilcox aveva spedito una mia poesia a un concorso letterario indetto dallo “Utica Observer”. La poesia era stata pubblicata, col mio nome sotto, e avevo vinto cinque dollari.
Non erano durati molto, però. Avevamo dovuto usarli per pagare la lapide di mamma.
Mentre Weaver leggeva a voce alta, frugavo lì intorno con un bastone alla ricerca delle piccole gemme che uscivano dalle foglie bagnate e putride, ognuna ripiegata su se stessa come l’estremità di un violino. Crescono soltanto in zone umide e ombreggiate, e sebbene all’inizio spuntino con lentezza, poi esplodono. Questa zona, su una collina di aceri e pini, un quarto di miglio a ovest della casa di Weaver, è un buon posto. Nessuno lo conosce tranne noi. Ci sono abbastanza germogli da riempire due secchi oggi e due domani. Ma noi non li raccogliamo mai tutti. Ne lasciamo indietro molti, in modo che diventino felci.
Avevo riempito per un terzo il mio primo secchio, quando la raccolta cominciò a scemare mentre ascoltavo le avventure di Dantès e Danglars. Uscii da me stessa, come mi succede sempre davanti a una bella storia, e mi dimenticai dei germogli, dei secchi, dei soldi e di tutto il mondo, attenta soltanto alle parole di Weaver.
«Ehi! Raccogli i germogli, Matt! Mattie, mi senti?»
«Eh?»
Me ne stavo lì in piedi, immobile, come in trance, il secchio ai miei piedi, ad ascoltare le parole diventare frasi e le frasi diventare pagine e le pagine diventare sentimenti e voci e luoghi e persone.
«Devi raccogliere germogli, non startene lì con quell’aria da svampita.»
«Va bene» sospirai.
Weaver chiuse il libro. «Ho capito, ti aiuto, altrimenti non finiremo mai. Dammi una mano ad alzarmi.»
Allungai una mano, lui la afferrò e si tirò su, facendomi quasi cadere. Ormai sono dieci anni che conosco Weaver Smith: è il mio migliore amico. Anzi, lui e Minnie sono i miei migliori amici. Eppure ogni volta che vedo le nostre mani congiunte mi viene da sorridere. La mia pelle è così chiara da essere quasi trasparente, e la sua è scura come il tabacco. In realtà le differenze tra Weaver e me sono pochissime, mentre sicuramente molti sono i punti in comune. I palmi delle sue mani sono rosa come i miei. E ha gli occhi marroni come me. E dentro, Weaver è esattamente uguale a me. Anche lui ama le parole, e non c’è niente al mondo che farebbe più volentieri di leggere un libro.
Weaver è l’unico ragazzo nero di Eagle Bay. E di Inlet, del lago Big Moose, di Big Moose Station, Minnowbrook, Clearwater, Moulin, McKeever e anche Old Forge. Forse di tutti i North Woods. Non ne ho mai visto un altro. Qualche anno fa alcuni uomini di colore erano arrivati fin quassù a lavorare alla costruzione della ferrovia di Webb, la nuova linea che va da Mohawk a Malone e su dritto fino a Montreal. Alloggiavano al Buckley’s Hotel a Big Moose Station – un centro abitato poche miglia a ovest del lago Big Moose – ma partirono non appena l’ultimo arpione fu fissato alle rotaie. Uno di loro raccontò a mio papà che il Bowery, il tratto di strada più malfamato di tutta New York City, non era niente paragonato a Big Moose Station di sabato sera. Disse che né le zanzare, né il whisky di Jerry Buckley e nemmeno i taglialegna attaccabrighe ce l’avevano fatta a ucciderlo, ma che sicuramente ci sarebbe riuscita la cucina della signora Buckley e che quindi se ne andava prima che succedesse.
La mamma di Weaver si trasferì quassù con il figlio dal Mississippi quando il padre di Weaver fu ucciso davanti ai loro occhi da tre uomini bianchi soltanto perché non era sceso dal marciapiede per lasciarli passare. La mamma di Weaver aveva deciso che più a nord si spostavano e meglio sarebbe stato per loro. «Il caldo rende la gente cattiva» aveva detto al figlio, e poiché aveva sentito parlare di un posto chiamato Great North Woods, un nome che prometteva freddo e sicurezza, decise che si sarebbero trasferiti lì. Andarono ad abitare sulla Uncas Road, soltanto un po’ più in giù degli Hubbard, in una vecchia casa di legno che qualcuno aveva abbandonato anni prima.
La mamma di Weaver faceva la lavandaia. Gli alberghi e gli accampamenti dei taglialegna della zona le procuravano un sacco di lavoro. In estate lavava lenzuola e tovaglie, e in inverno maglie di lana, mutande e mutandoni che erano stati usati per mesi di fila. Faceva bollire la biancheria in un’enorme pentola di ferro che stava nel cortile sul retro. E faceva bollire anche i taglialegna: dovevano entrare in una tinozza di acqua bollente e strofinarsi finché la pelle tornava rosa come quella di un bambino, prima che permettesse loro di indossare i panni puliti. Quando ne arrivava un’intera squadra, era meglio non trovarsi sotto vento. «La mamma di Weaver oggi cucina zuppa di mutande» era solito dire Lawton.
E poi allevava polli. Un’infinità di polli. Durante i mesi più caldi ne friggeva quattro o cinque ogni sera, oltre a preparare torte e biscotti. Il giorno seguente caricava tutto sul suo carro e andava giù alla stazione di Eagle Bay ad aspettare i treni di passaggio. Tra macchinisti, controllori e turisti affamati, in poche ore vendeva tutto. Metteva ogni singolo centesimo guadagnato in una vecchia scatola di sigari sotto il letto. Si ammazzava di lavoro per poter mandare Weaver all’università. Alla Columbia University di New York City. La signorina Wilcox, la nostra insegnante, l’aveva spinto a presentare la domanda di ammissione, così Weaver aveva ottenuto una borsa di studio. Voleva studiare storia e scienze politiche, per poi entrare un giorno alla facoltà di legge. Era il primo maschio nato libero della sua famiglia. I nonni erano schiavi e perfino i suoi genitori erano nati schiavi, anche se poi, grazie al presidente Lincoln, erano stati liberati già da bambini.
Weaver dice sempre che la libertà promette molto più di quello che poi realmente dà. Dice che in fondo per lui essere libero significa soltanto poter scegliere tra i lavori peggiori, quelli che nessuno vuole fare, negli accampamenti dei taglialegna, negli alberghi e nelle concerie. Finché la sua gente non potrà occupare gli stessi posti di lavoro dei bianchi, esprimere liberamente quello che pensa e scrivere libri che vengano pubblicati, finché ci saranno bianchi condannati per aver impiccato un nero, nessun nero sarà veramente libero.
A volte avevo paura per Weaver. Anche tra noi c’erano individui simili a quelli che davano loro fastidio nel Mississippi – gente ignorante che non vede l’ora di dare a qualcun altro la colpa della propria vita insulsa – e Weaver non scendeva mai dal marciapiede, né si toglieva il cappello. Si azzuffava con chiunque lo chiamasse “negro”, e non aveva mai paura di nessuno. «Se tieni la coda tra le gambe come un cane» diceva «la gente ti tratterà come un cane. Comportati da uomo e ti tratteranno come un uomo.» Il che era perfetto per Weaver, ma io a volte mi chiedevo com’era possibile comportarsi da uomo essendo una ragazza.
«Il conte di Montecristo è davvero un bel libro, giusto, Mattie? E siamo soltanto al secondo capitolo» disse Weaver.
«Più che giusto» risposi, chinandomi su una grossa chiazza di germogli.
«E tu scrivi ancora quei tuoi racconti?» mi chiese Minnie.
«Non ho tempo. E nemmeno carta. Ho riempito il mio quaderno fino all’ultima pagina. Però leggo un sacco. E imparo a memoria la parola del giorno.»
«Dovresti usarle le parole, non collezionarle. Devi scriverle. Quello è il loro scopo: ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. stiz-zo-so
  4. prin-ci-pian-te, e-le-men-ta-re
  5. op-po-si-to
  6. so-po-ri-fe-ro
  7. svi-go-ri-re
  8. e-san-gue
  9. la-men-to-so
  10. fe-ten-te, fa-co-ce-ro
  11. xe-ro-fi-lo
  12. mo-no-cro-ma-ti-co
  13. ri-cor-trion-fa-re
  14. fur-ti-vo
  15. Se-squi-pe-da-le
  16. fur-be-sco
  17. pre-di-re
  18. spi-go-la-re
  19. dei-scen-za
  20. ma-le-di-zio-ne
  21. ab-scis-sio-ne
  22. i-spi-do
  23. i-co-sa-e-dro
  24. tur-bo-len-to
  25. li-mi-co-lo
  26. gra-vi-da
  27. sal-ta-re
  28. e-spi-a-re
  29. fu-ga-ce
  30. tre-no-di-a
  31. con-fa-bu-la-re
  32. i-de-a-le
  33. do-lo-re
  34. le-po-ri-no
  35. ter-gi-ver-sa-re
  36. lu-ci-fe-ri-no
  37. Nota dell’autrice
  38. Ringraziamenti
  39. Copyright