Tiro al piccione
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Tiro al piccione

Storie della mia vita

  1. 324 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Tiro al piccione

Storie della mia vita

Informazioni su questo libro

"Ho cercato di fare del mondo segreto che un tempo conoscevo un palcoscenico per i mondi più ampi in cui viviamo. Prima viene l'immaginazione, poi la ricerca della realtà. E infine il ritorno all'immaginazione e alla scrivania dove mi trovo ora." Dagli anni trascorsi al servizio dell'Intelligence britannica durante la Guerra Fredda, alla carriera di scrittore che lo ha portato dalla Cambogia dilaniata dalla guerra a Beirut sull'orlo dell'invasione israeliana, alla Russia prima e dopo la caduta del Muro di Berlino, John le Carré ha sempre raccontato storie partendo dall'attualità, leggendo negli avvenimenti di cui è stato testimone la stessa ambiguità morale di cui sono permeati tutti i suoi romanzi.

In questo suo primo mémoir, tanto brillante quanto incisivo, l'autore narra, a volte facendoci ridere, a volte invitandoci a rivedere le nostre convinzioni, di un pappagallo in un hotel di Beirut in grado di imitare perfettamente una raffica di mitra o intonare la Quinta di Beethoven, il suo omaggio ai morti non sepolti del genocidio in Ruanda, il festeggiamento del Capodanno del 1982 con Yasser Arafat, la saggezza del grande fisico dissidente e Premio Nobel Andrej Sacharov, Alec Guinness impegnato nella preparazione del ruolo di George Smiley per i leggendari adattamenti televisivi della BBC. Ma, più di ogni altra cosa, John le Carré ci offre il suo personale, straordinario viaggio di scrittore lungo più di cinquant'anni, alla costante ricerca della scintilla di umanità che ha dato tanta vita e tanto cuore ai suoi personaggi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
Print ISBN
9788804665083
eBook ISBN
9788852076060
1

NON FARE LA CAROGNA CON I SERVIZI SEGRETI DEL TUO PAESE

“Lo so cosa sei” grida Denis Healey, ex ministro della Difesa di appartenenza laburista, durante un ricevimento privato a cui eravamo stati invitati entrambi, mentre si precipita verso di me con la mano tesa. “Sei una spia comunista. Ammettilo.”
Naturalmente lo ammetto, come si usa fare in situazioni del genere. Tutti ridono, compreso il padrone di casa, che non nasconde una certa sorpresa. Anch’io scoppio a ridere, perché sono un tipo di buon carattere che sa stare allo scherzo, e perché Denis Healey sarà anche un pezzo grosso dei laburisti e un grande impiccione, ma è anche un eminente studioso, un umanista che ammiro, e ha già bevuto un paio di bicchieri più di me.
“Ehi, Cornwell, bastardo” mi grida dall’altra parte della stanza un agente dell’Intelligence, un tipo di mezz’età che è stato mio collega, a un ricevimento organizzato dall’ambasciatore inglese a Washington. “Figlio di buona donna.” Non si aspettava di incontrarmi, ma ora che mi vede è contento dell’opportunità di potermi spiattellare quello che pensa di me per aver insultato l’onore dei Servizi segreti – i nostri fottuti Servizi, maledizione! – e per aver ridicolizzato uomini e donne che si spendono per il loro paese e non hanno modo di rispondermi. Mi sta di fronte, leggermente piegato in avanti come se stesse per aggredirmi, e se un paio di mani diplomatiche non l’avessero fatto retrocedere di un passo, il giorno successivo la stampa avrebbe avuto un bel po’ di cose da raccontare.
Le chiacchiere riprendono gradualmente, ma riesco comunque a capire che il libro a cui si riferisce non è La spia che venne dal freddo, ma Lo specchio delle spie, la storia cupa di un agente per metà inglese e per metà polacco mandato in missione nella Germania Est e lasciato lì a marcire. Disgraziatamente la Germania Est era stata una delle zone controllate dal mio accusatore nei giorni in cui avevamo lavorato insieme. Mi viene in mente di dirgli che Allen Dulles, ex direttore della CIA recentemente andato in pensione, ha dichiarato che il libro è molto più vicino alla realtà del suo predecessore, ma temo che questo non faccia altro che aumentare la sua furia.
“Siamo spietati, è così? Spietati e incompetenti. Grazie mille!”
Il mio ex collega non è l’unico a essere furibondo. In toni meno accesi lo stesso rimprovero mi è stato mosso ripetutamente nel corso degli ultimi cinquant’anni, non in modo concertato e sinistro, ma come protesta individuale da parte di uomini e donne feriti, che ritengono di svolgere un lavoro necessario.
“Perché prendersela con noi? Conosci benissimo la verità!” O, con accenti più sgradevoli: “Ora che hai fatto un sacco di soldi alle nostre spalle, forse ci darai un attimo di respiro”.
E comunque mi veniva sempre ricordato che i Servizi non possono rispondere, che non hanno modo di difendersi dalla pubblicità negativa, che i loro successi non possono essere strombazzati e che sono solo i fallimenti a emergere.
“Non siamo affatto come il nostro ospite ci descrive” dice in tono grave Sir Maurice Oldfield a Sir Alec Guinness durante un pranzo.
Oldfield è un ex capo dei Servizi segreti che in seguito Margaret Thatcher ha mandato allo sbaraglio, nominandolo coordinatore dell’Intelligence nell’Irlanda del Nord, ma all’epoca del nostro incontro non è che una vecchia spia in pensione.
“Ho sempre voluto incontrare Sir Alec” mi aveva detto con la sua voce amichevole dall’inflessione settentrionale quando l’avevo invitato. “Una volta, in treno, ero seduto di fronte a lui, ma non ho avuto il coraggio di rivolgergli la parola.”
Guinness sta per interpretare il mio George Smiley nell’adattamento televisivo prodotto dalla BBC de La talpa e vuole godere della compagnia di una vera spia. Ma il pranzo non procede tranquillamente come avevo sperato. Fin dall’antipasto Oldfield si lancia in un’apologia degli standard etici dei Servizi di un tempo, insinuando, nel modo più educato possibile, che “il nostro giovane David” ha infangato il loro buon nome. Guinness, che è un ex ufficiale di marina e che, dal momento in cui ha incontrato Oldfield, si è autopromosso ai vertici dei Servizi segreti, si limita ad annuire con aria saggia. Arrivati alla sogliola, Oldfield sviluppa ulteriormente la sua tesi.
“Sono quelli come il giovane David” dichiara guardando Guinness e ignorandomi completamente, nonostante io gli sia seduto accanto, “che rendono così difficile reclutare agenti in gamba e fonti attendibili. La gente legge i suoi libri e viene dissuasa. È naturale.”
Al che Guinness abbassa lo sguardo e scuote il capo in un gesto di deplorazione, mentre io pago il conto.
“Dovresti iscriverti all’Athenaeum, David” mi dice Oldfield in tono gentile, quasi a suggerire che frequentare il club potrebbe rendermi una persona migliore. “Ti presenterò io. Vedrai, ti piacerà.” Poi, rivolto a Guinness, quando ormai siamo usciti dal ristorante: “È stato un piacere, Alec. Anzi, un onore. Sono sicuro che ci rivedremo presto”.
“Certamente” risponde Guinness con riverenza, mentre si stringono la mano.
Come se fosse incapace di separarsi mentalmente dalla nuova conoscenza che ci ha appena lasciati, Guinness lo segue con uno sguardo affettuoso mentre si allontana lungo il marciapiede: un uomo piccolo e vigoroso che cammina deciso puntando avanti l’ombrello a ogni passo fino a sparire nella folla.
“E se ci facessimo un altro cognac, giusto per prepararci alla strada?” propone Guinness. Appena seduti, inizia l’interrogatorio.
“Hai visto i gemelli ai polsini? Assolutamente volgari. Ma tutte le spie portano roba del genere?”
No, Alec, penso che Maurice se li metta perché gli piacciono.
“E quei vistosi polacchini scamosciati color arancio con le suole di gomma increspata? Servono a muoversi senza far rumore?”
Penso che li abbia scelti perché sono comodi. Quelle suole cigolano.
“Adesso rispondi a questo.” Ha in mano un bicchiere vuoto. Lo inclina e gli dà un colpetto con la punta del suo grosso dito. “Ho visto persone che facevano così.” E, guardando con aria meditabonda all’interno del bicchiere, lo colpisce di nuovo leggermente. “E ne ho viste altre fare questo gesto” e prende a girare il dito sul bordo con lo stesso atteggiamento contemplativo. “Ma quest’altra cosa non l’ho mai vista fare a nessuno.” A questo punto inserisce il dito dentro il bicchiere e strofina il bordo dalla parte interna. “Stava forse verificando che non ci fossero residui di veleno?”
Mi chiedo se stia scherzando, ma il bambino che è in lui non è mai stato più serio in vita sua. Be’, se erano residui di veleno quelli che stava cercando, se li è certamente scolati insieme con il drink, commento. Ma lui preferisce ignorarmi.
Può essere divertente segnalare che i polacchini di Oldfield, suola di gomma increspata o meno, e l’ombrello arrotolato lanciato in avanti a ogni passo come per tastare il terreno, sono diventati due aspetti caratteristici del ritratto di George Smiley lasciatoci da Guinness: una vecchia spia che ha fretta. Riguardo ai gemelli, non ho controllato di recente, ma a quanto ricordo il regista, che li riteneva un po’ eccessivi, convinse Guinness a sostituirli con qualcosa di meno vistoso.
Un’altra conseguenza del nostro pranzo fu molto meno divertente anche se, da un punto di vista artistico, più creativa. La repulsione di Oldfield per il mio lavoro – e, a quanto sospetto, per la mia persona – si radicò così a fondo nell’animo di Guinness che questi non si faceva scrupolo di ricordarmelo quando sentiva il bisogno di insistere sul presunto senso di colpa di Smiley e quindi, implicitamente, sul mio.
Per gli ultimi cent’anni, se non di più, le nostre spie hanno avuto un rapporto di odio-amore, piuttosto agitato e a volte anche divertente, con i romanzieri indisciplinati che si sono occupati di loro. Come accade agli scrittori, anche le spie ci tengono a proiettare un’immagine di sé ricca di fascino, ma non chiedete loro di accettare critiche o prese in giro. All’inizio del Novecento, gli scrittori di spionaggio più diversi, da Erskine Childers a William Le Queux, fino a E. Phillips Oppenheim, riuscirono a scatenare un tale furore antitedesco da poter sostenere a buon diritto di aver collaborato alla nascita di servizi di sicurezza organizzati. Fino ad allora i gentiluomini non erano autorizzati a leggere le lettere di altri gentiluomini, anche se in realtà molti di loro lo facevano. Nella guerra del 1914-18 il romanziere Somerset Maugham diventò un agente segreto britannico, anche se, a detta di molti, non eccelse mai nel settore. Quando Winston Churchill si lamentò che Ashenden trasgrediva l’Official Secrets Act,1 la legge che garantisce il segreto di Stato, Maugham, su cui pendeva la minaccia di uno scandalo legato alla sua omosessualità, bruciò quattordici racconti non ancora pubblicati e sospese la pubblicazione degli altri fino al 1928.
Compton Mackenzie, romanziere, biografo e sostenitore dell’indipendenza scozzese, non si lasciò intimidire così facilmente. Congedato dall’esercito per invalidità durante la Prima guerra mondiale, fu trasferito all’MI6 e diventò un abile agente del controspionaggio inglese in Grecia, all’epoca neutrale. E tuttavia, trovando spesso assurdi i suoi superiori e gli ordini che impartivano, come molti scrittori se ne prese gioco. Nel 1932 fu processato sulla base dell’Official Secrets Act e dovette pagare una multa di cento sterline per il libro autobiografico Greek Memories, che era effettivamente pieno di indiscrezioni oltraggiose. Lungi dall’aver imparato la lezione, l’anno dopo si vendicò con un’altra opera satirica, Water on the Brain. Ho saputo che all’MI5, nella pratica a lui intitolata, c’è una lettera scritta a caratteri cubitali, inviata al direttore generale e firmata con il tradizionale inchiostro verde dal capo dei Servizi segreti.
“Il peggio” così scrive quest’ultimo al suo corrispettivo, situato dall’altro lato di St James’s Park “è che Mackenzie ha rivelato i simboli utilizzati nella corrispondenza dei Servizi segreti,2 alcuni dei quali sono tuttora in uso.” Sono sicuro che il fantasma di Mackenzie si frega le mani dalla soddisfazione.
Ma il detrattore dell’MI6 più significativo in campo letterario è sicuramente Graham Greene, anche se dubito che sapesse di essere andato molto vicino a seguire Mackenzie all’Old Bailey. Uno dei ricordi a cui sono più affezionato è la volta in cui, sul finire degli anni Cinquanta, ho preso un caffè con l’avvocato dell’MI5 nei locali dell’ottima mensa dei Servizi. Era un uomo affabile, incallito fumatore di pipa, più simile a un legale di famiglia che a un burocrate. Quel mattino però era profondamente turbato. Gli era stata recapitata una copia staffetta de Il nostro agente all’Avana, che aveva iniziato a leggere, arrivando quasi a metà. Quando gli dissi che invidiavo la sua fortuna, scosse il capo con un sospiro. Quel tipo, Greene, avrebbe dovuto essere denunciato. Servendosi di informazioni acquisite durante la guerra, quando era al servizio dell’MI6, aveva accuratamente descritto la relazione tra il capo dell’Intelligence di un’ambasciata britannica e un agente sul campo. Sì, Greene avrebbe dovuto finire in galera.
“Il guaio è che è un buon libro” commentò tristemente. “Un ottimo libro.”
In seguito setacciai i giornali in cerca della notizia dell’arresto di Greene, ma non la trovai. Forse i baroni dell’MI5 avevano deciso che dopotutto era meglio riderci sopra. In segno di gratitudine per il loro atto di clemenza Greene li premiò vent’anni dopo con Il fattore umano, in cui venivano rappresentati non più come degli idioti, ma come degli assassini. Ma l’MI6 doveva avergli mandato un avvertimento. Nell’introduzione a Il fattore umano Greene si premura di assicurarci che non ha infranto l’Official Secrets Act, e basta recuperare una delle prime copie de Il nostro agente all’Avana per trovare una dichiarazione simile.
La storia, però, ci insegna che alla fine i nostri peccati verranno dimenticati. Mackenzie finì i suoi giorni con il titolo di baronetto e a Greene fu conferito l’Order of Merit.
“Nel suo nuovo romanzo” mi chiese una volta un giornalista americano senza peli sulla lingua “c’è un personaggio che, riferendosi al protagonista, sostiene che non sarebbe diventato un traditore se fosse stato capace di scrivere. Può dirmi che fine avrebbe fatto lei, se non fosse stato capace di scrivere?”
Mentre cerco una risposta sicura a questa domanda pericolosa, mi domando se dopotutto i nostri Servizi segreti non dovrebbero essere grati ai loro membri che li hanno lasciati per dedicarsi alla letteratura. Rispetto all’inferno che avremmo potuto scatenare percorrendo altre strade, scrivere è un’attività innocua come giocare con le costruzioni. Sono sicuro che le nostre povere spie avrebbero preferito che Edward Snowden avesse scelto la carriera letteraria.
Che cosa avrei dovuto rispondere al mio furibondo ex collega che, a quel ricevimento in ambasciata, sembrava pronto a prendermi a pugni? Penso che sarebbe stato inutile fargli presente che in alcuni libri ho dipinto l’Intelligence britannica come un’organizzazione più competente di quanto non sia mai stata. O che uno dei suoi superiori ha definito La spia che venne dal freddo “l’unica operazione di doppio gioco che abbia mai funzionato”. O che, nel descrivere i nostalgici giochi di guerra di un dipartimento britannico isolato nel romanzo che tanto l’aveva indignato, forse avevo cercato di fare qualcosa di un po’ più ambizioso di una semplice aggressione ai suoi cari Servizi. E guai a me se mi venisse in mente di sostenere che, volendo esplorare la psiche del mio paese, non è poi così insensato dare un’occhiata ai Servizi segreti. Prima ancora di finire la frase, qualcuno mi avrebbe già steso.
Quanto al fatto che i Servizi non possano rispondere, be’, credo che non esista un’agenzia di spionaggio nel mondo occidentale così viziata dai media del suo paese come la nostra. Il termine “embedded” rende a malapena l’idea. I nostri metodi di censura, siano essi volontari o imposti da una legislazione al tempo stesso vaga e draconiana, la nostra abilità nel procurarci amicizie e appoggi e la sottomissione degli inglesi a un sistema di sorveglianza di dubbia legalità fanno l’invidia degli spioni di tutto il mondo.
Inutile anche citare le molte biografie “autorizzate” che ritraggono i Servizi con gli abiti con cui amano essere rappresentati, o le “storie ufficiali” che stendono un velo pietoso sui loro più atroci misfatti, o gli innumerevoli articoli fantasiosi comparsi sulla stampa nazionale, conseguenza di pranzi assai più intimi di quello a cui ho invitato Maurice Oldfield.
Si potrebbe anche suggerire al mio collerico amico che se uno scrittore tratta le spie di professione da esseri fallibili come siamo tutti, svolge in un certo senso un servizio sociale, persino una funzione democratica, visto che i nostri Servizi raccolgono il meglio della nostra élite politica, sociale e industriale?
Questa, mio caro ex collega, è l’essenza della mia infedeltà, e questi, caro Lord Healey, anche se non sei più su questa terra, sono i limiti del mio essere comunista, ben diversi da quelli che caratterizzavano te quando...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. PREFAZIONE
  4. INTRODUZIONE
  5. 1. NON FARE LA CAROGNA CON I SERVIZI SEGRETI DEL TUO PAESE
  6. 2. LE LEGGI DEL DOTTOR GLOBKE
  7. 3. VISITA UFFICIALE
  8. 4. IL DITO SUL GRILLETTO
  9. 5. A CHI DI COMPETENZA
  10. 6. COSÌ FUNZIONA LA GIUSTIZIA BRITANNICA
  11. 7. LA DEFEZIONE DI IVAN SEROV
  12. 8. UN’EREDITÀ DEL PASSATO
  13. 9. L’INNOCENZA DI MURAT KURNAZ
  14. 10. RICERCA SUL CAMPO
  15. 11. QUANDO SONO INCAPPATO IN JERRY WESTERBY
  16. 12. SENTIRSI SOLI A VIENTIANE
  17. 13. IL TEATRO DELLA REALTÀ: DANZANDO CON ARAFAT
  18. 14. IL TEATRO DELLA REALTÀ: VILLA BRIGITTE
  19. 15. IL TEATRO DELLA REALTÀ: UN PROBLEMA DI SENSI DI COLPA
  20. 16. IL TEATRO DELLA REALTÀ: SCAMBI DI AFFETTUOSITÀ
  21. 17. IL CAVALIERE RUSSO STA MORENDO NELLA SUA ARMATURA
  22. 18. IL SELVAGGIO EST: MOSCA 1993
  23. 19. SANGUE E SOLDI
  24. 20. STORIE DI ORSI RUSSI
  25. 21. TRA GLI INGUSCI
  26. 22. IL PREMIO DI IOSIF BRODSKIJ
  27. 23. L’ESPERTO INESISTENTE
  28. 24. IL CUSTODE DI SUO FRATELLO
  29. 25. QUEL PANAMA!
  30. 26. SOTTO MASSIMA COPERTURA
  31. 27. A CACCIA DEI SIGNORI DELLA GUERRA
  32. 28. RICHARD BURTON HA BISOGNO DI ME
  33. 29. ALEC GUINNESS
  34. 30. CAPOLAVORI PERDUTI
  35. 31. LA CRAVATTA DI BERNARD PIVOT
  36. 32. A PRANZO CON I PRIGIONIERI
  37. 33. IL FIGLIO DEL PADRE DELL’AUTORE
  38. 34. A REGGIE, CON TANTI RINGRAZIAMENTI
  39. 35. WANTED
  40. 36. LA CARTA DI CREDITO DI STEPHEN SPENDER
  41. 37. CONSIGLIO A UN ASPIRANTE ROMANZIERE
  42. 38. L’ULTIMO SEGRETO UFFICIALE
  43. FONTI
  44. Copyright