Prima famiglia
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Prima famiglia

  1. 432 pagine
  2. Italian
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Prima famiglia

Informazioni su questo libro

Frank e Sal Palermo sono i due figli maggiori di una famiglia di emigrati siciliani nella New York dei primi del Novecento. Frank, il più grande, ha ereditato la schiena dritta del padre, vuole lavorare e studiare sodo per diventare un grande uomo di legge ed essere rispettato come un americano vero. Sal è l'esatto contrario, pensa che non sarà mai accettato dagli americani ed è mosso da un'ambizione e un'energia incrollabili, che lo porteranno a diventare il mafioso più potente degli Stati Uniti. Tra loro resterà solo il legame del sangue, mentre la vita e le scelte che compiranno li porteranno a combattersi senza tregua: Frank schierato con la legge, Sal a guida della criminalità organizzata.

Prima Famiglia è un romanzo avvincente e ricco di colpi di scena, che racconta la lotta senza quartiere di due fratelli alla conquista di un posto al sole nella terra dove tutti i sogni possono realizzarsi. Accanto a loro vivremo le emozionanti vicende degli altri membri della famiglia Palermo, in un paese pieno di pregiudizi verso gli emigranti italiani, dove li aspettano la miseria e le umiliazioni da cui credevano di essere fuggiti. Seguiremo personaggi indimenticabili come il padre Luigi, pronto a ogni sacrificio per dare un futuro ai suoi cari, ma senza scendere a compromessi con la Mano Nera, l'organizzazione criminale che gestisce la vita degli italiani a New York, o la madre Carmela, che cercherà disperatamente di preservare l'unione della famiglia. E poi i due figli minori: Nina, affascinata dal carisma di Sal ma troppo fragile per reggere la violenza di un mondo spietato, e Tony, destinato a diventare un grandissimo regista a Hollywood. Il primo film che girerà sarà proprio la storia dei Palermo: attraverso il suo sguardo scopriremo i segreti più inconfessabili della famiglia.

Pietro Valsecchi ha scritto un grande romanzo, l'affresco epico di un tempo mitico e perduto, la New York tra il 1910 e gli anni del Proibizionismo, la nascita della mafia e la lotta della polizia per arginarne il potere. Prima Famiglia è struggente, appassionante, coinvolgente, un grande libro che parla degli unici temi che valga la pena raccontare: l'amore, la morte, i sogni, il destino.

Pietro Valsecchi è nato a Crema nel 1953. Dopo gli studi universitari al DAMS di Bologna, nel 1977 si trasferisce a Roma, dove muove i primi passi nel mondo dello spettacolo come attore. Dopo pochi anni lascia la recitazione e diventa un produttore cinematografico. Tra i film prodotti per il grande schermo: La condanna di Marco Bellocchio e Un eroe borghese di Michele Placido. Nei primi anni '90, insieme a Camilla Nesbitt con cui ha fondato la Taodue Film, inizia a ideare e produrre miniserie e serie per la televisione: tra i maggiori successi Ultimo, Distretto di polizia, RIS (Delitti imperfetti), Paolo Borsellino, Karol – Un uomo diventato Papa, Maria Montessori, Il capo dei capi, Squadra Antimafia. Negli ultimi anni è tornato a produrre per il cinema, realizzando, tra gli altri, i film di Checco Zalone.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804659853
eBook ISBN
9788852070167

1

Quella mattina, a New York, sebbene fosse la fine di maggio, c’era freddo. Luigi Palermo andò in cucina, scostò la tenda che nascondeva lo scarico del lavandino, prese un pezzo di sapone, lo bagnò e cominciò a lavarsi la faccia. L’acqua era talmente gelida che per un attimo gli mancò il respiro, ma andava bene così: “L’acqua calda è per gente senza coglioni” pensò.
Spalancò la finestra. C’erano ancora stelle nel cielo e si udiva qualche grillo cantare. Che aveva da cantare? Giornata di merda era, giornata di quelle che è meglio se non vengono mai! Chiuse i vetri costringendosi alla calma. Era preoccupato. Non aveva soldi, manco un centesimo, e quel giorno sarebbero passati a riscuotere: “Niente piccioli? Uh, amico mio! Ma così mi dai un dolore grande, così mi sfasci il cuore”. Gli avrebbero battuto la mano sopra la spalla e avrebbero fatto partire lo sfascio vero: suo e della sua casa. Li conosceva, non sentivano ragioni: “O paghi o sei fottuto, compare!”. Il pensiero che Carmela sarebbe rimasta sola ad affrontarli gli fece andare il sangue alla testa. Ma doveva uscire per forza, era giorno di paga, e siccome la paga non sarebbe bastata a saldare il debito, avrebbe dovuto vendere per forza il clarinetto. Quella decisione, a lungo rimandata, era ormai indifferibile, ma lo stesso gli graffiò il cuore. “Non importa” si disse, “avanti, Luigi Palermo, avanti!” Pensò ancora a Carmela: non avrebbe dovuto aprire a nessuno, guai a lei se l’avesse fatto! Se ne sarebbero andati, sarebbero tornati un’altra volta, e allora i soldi ci sarebbero stati. Pensò pure ai suoi figli, soprattutto Sal gli dava dispiaceri, così diverso dagli altri, così inquieto: una ne faceva e cento ne pensava. Avrebbe dovuto fargli assaggiare la cinghia, ma non ne aveva il coraggio: troppo quel figlio gli stava nella carne, troppo cosa sua era.
Girava per la casa come se avesse il fuoco addosso. S’avvicinò alla fruttiera, prese un limone, l’addentò con tutta la buccia. L’aspro gli riempì la bocca dandogli un piacere forte. Masticò e inghiottì. Agra e amara la vita, come questo limone. Ma la vita una ruota è, e la ruota gira per tutti: oggi è così, e domani chi lo sa?
Tornò in camera, s’avvicinò al letto dove Carmela ancora dormiva: «Lu suli è già spuntatu di lu mari, e vui bidduzza mia durmiti ancora» le sussurrò a fior di bocca come tutte le mattine.
Carmela si girò, a occhi chiusi si offrì al bacio di suo marito che le dava il buongiorno in siciliano, la lingua della terra che era la loro infanzia e la nostalgia, ma anche la fame da cui erano dovuti scappare. Si sollevò. I capelli lunghi, neri, che più tardi s’acconciava in un tuppo, le scivolarono sulle spalle e sul seno che si manteneva colmo; nel buio la sua bocca si schiuse in un sorriso. Luigi s’intenerì.
Anche Tony s’intenerisce nel ricordarla: «Mia madre era molto bella» dice a Mister Warner che l’ascolta con le braccia conserte e l’aria di uno che non sa se cacciarti a pedate o restare a sentire per due minuti ancora. «Eravamo innamorati di lei. Ci sembrava una regina. Quando mio padre la chiamava “Reginella mia”, lei faceva finta di contrariarsi: “Ma quale reginella, la serva di tutti sono!”. “Serva in casa tua, gioia mia” precisava lui, “dove nessuno ti comanda a bastonate.” Lei storceva la bocca per non dargliela subito vinta, poi, con un mezzo sorriso: “Ti devo dire che hai ragione, Luigi Palermo?”. “Che forse ho torto?”»
Per un attimo la mente di Tony si perde tra le parole di quel tempo felice e suo padre all’improvviso è vicino a lui, giovane, vigoroso e dotato di una forza, in quel suo corpo smilzo, che avrebbe sorpreso chiunque.
«Mio padre lavorava come un mulo» riprende a dire al produttore, «anche se gli davano una paga da fame non si lamentava mai. Doveva darci da mangiare e accettava qualunque occupazione, purché onesta. E gli piaceva suonare.» Si ferma, poi, come per caso, aggiunge: «Anche a Sal piaceva suonare».
«Ma davvero?» si stupisce il Mister.
«Sì» risponde Tony. «Al tempo in cui comincia la storia, Frank aveva tredici anni, Sal dodici, Nina dieci e io solamente sette. Sono l’unico a essere nato in America», lo dice con una specie di rammarico, come se il fatto di non avere respirato alla nascita la stessa aria dei suoi fratelli l’avesse privato di un vantaggio inestimabile.
«Dunque Sal somigliava a tuo padre?»
«No» Tony scuote vigorosamente la testa, «amavano entrambi suonare, per il resto non avrebbero potuto essere più diversi: la fatica a Sal non è mai piaciuta.»
«E l’altro tuo fratello?»
«Frank era come mio padre: tosto, schiena dritta. Voleva studiare, diventare un americano vero.»
«Tua sorella?»
Involontariamente sorride: «Una bambina piena di sogni». Tossisce per levarsi dagli occhi un’immagine di Nina che non gli piace, si fruga nelle tasche alla ricerca di una sigaretta. L’accende. Soffia lentamente il fumo che si spande nell’aria, il suo sguardo pesca tra i fotogrammi del passato. Rintraccia voci e nomi, figure, dettagli di un tempo che brucia ancora nel ricordo.

2

Warner percorre velocemente il breve tragitto dal suo ufficio agli Studios. Gli attori, già vestiti e truccati, si trovano in una delle sale di posa del primo piano. La segretaria dal décolleté vistoso lo rincorre per fargli firmare alcuni fogli. «E poi...» aggiunge.
«E poi mi lasci in pace» l’interrompe il produttore accelerando il passo. Quel Tony Palermo gli ha messo una pulce non nell’orecchio, ma nel cervello: “La storia della Prima Famiglia mafiosa di New York. Sarà il solito film infarcito di scazzi, sparatorie e ammazzamenti, o questo ragazzo in erba sarà capace d’altro?”. Ha provato a immaginarli, i personaggi di questa storia, gli sono venute in mente figure smilze, tutte ossa e occhi, che la fame ha scavato con le sue unghie ingrate.
Quando apre la porta, la stanza è affollata di attori. Tony gli va incontro con l’espressione seria di chi è ormai entrato nel ruolo e non tollera errori, né da sé, né tantomeno dagli altri.
«Questo è il cast del film» dice.
Warner annuisce sbrigativo. Il regista ha saputo selezionare il giusto tipo mediterraneo per impersonare i componenti della sua famiglia, e gli sembra già un buon inizio.
«Lui è mio padre, Luigi Palermo» dice Tony presentando Jack Friday, un uomo sulla sessantina che fa un piccolo inchino stringendo la coppola tra le mani. Ha un baffetto dritto e nero sopra il labbro, rughe attorno alla bocca, occhi di un nero vivido, altezza media, magrezza non esagerata.
«E questa è mia madre.»
Warner non può che apprezzare. La donna è bella, gran seno in una figura sottile, lo sguardo ombreggiato da lunghe ciglia, un collo da dea e una bocca che pare un bocciolo di rosa.
«E questo sono io da piccolo» dice poggiando la mano sulla spalla di un ragazzino dall’aria timida, di costituzione gracile, «Tony Palermo.»
«Io sono Sal» dice un giovanotto facendo un passo in avanti. A differenza degli altri è ben vestito, ha i capelli di un biondo chiaro e gli occhi d’un azzurro che, a guardarlo, crea disagio.
«Lei è Lucia» dice il regista indicando una giovane donna dallo sguardo fiero e dal colorito roseo, i lunghi capelli legati in una coda, vestita di un abito blu che la fa sembrare ancora più slanciata.
«Io sono Nina» dice una ragazza facendo un passo avanti.
Anche stavolta Warner annuisce convinto. Le due attrici che interpreteranno la madre e la figlia si somigliano fisicamente: stesso colore degli occhi e stessa consistenza dei capelli – morbidi, d’un castano che tende al mogano –, ma la bocca, pur essendo molto simile, nella ragazza è più voluttuosa, intrisa di una malizia che la madre non conosce.
«E io sono Frank» si presenta un giovane alto, dalle spalle dritte, il portamento dignitoso e un’espressione che saprà virare dalla più grande tenerezza al più profondo disprezzo.
Warner li squadra freddamente, cerca di individuare elementi che potrebbero risultare incongrui: un certo modo di atteggiarsi, una certa supponenza o eccessiva timidezza. Nulla di tutto questo.
«Dunque?» gli chiede Palermo.
Warner fa una piccola smorfia di soddisfazione: «Vuoi l’applauso?» domanda beffardo.
«Dopo» mormora Tony, «quello del pubblico, quando avrà visto il film e ne sarà rimasto contento.»
«Dunque?» lo sbeffeggia bonario il produttore.
«Non vedo l’ora di iniziare» risponde.
«Quante settimane ti occorrono?»
«Un paio, tre al massimo.»
«Bene. Fra tre settimane si comincia» dichiara Warner, e si allontana col passo svelto di chi ha un impegno improrogabile.

3

In quella mattina fredda, Luigi passò dalla camera dove dormivano i suoi figli. S’accostò al letto di Frank, parlò a tutti ma fu come se parlasse specialmente a Sal: «Allora» disse, «la strada per la scuola è dritta, mi sono spiegato? Dritta e senza stazioni, senza confidenza a nessuno. Mi capiste? Se per caso vi venisse lo sfizio di fermarvi, di rispondere a quegli sfaccendati che si grattano la pancia in piazza, fatevelo passare, ché se lo vengo a sapere la vita vi levo. Capiste?».
I suoi figli risposero un «Sissignore» che avrebbe dovuto confortarlo: non si sarebbero fermati, non avrebbero parlato con i bastardi della malavita di Little Italy: italiani vili che ammazzavano, rapinavano, gettavano il discredito sugli italiani onesti.
Ma Luigi era troppo preoccupato per accontentarsi dell’assonnato “Sissignore”, e alzando la voce: «Mi sentiste? Mi capiste?» tornò a domandare.
«Sì» risposero, «sì!»
«Tu, Sal, capisti?»
«Sì.» A differenza degli altri Sal era ben sveglio, gli occhi chiarissimi aperti nel buio fissavano la figura del padre, il viso senza barba, le mani mai immobili che più delle parole esprimevano il suo tormento.
Poi lo sentirono andare in cucina, aprire il cassetto, prendere un pezzo di pane, qualche oliva che non aveva il sapore – lo ripeteva sempre – di quelle della terra sua. E, mentre mangiava, di nuovo s’addormentarono o, come Sal, finsero di farlo.
Luigi finì il pane, raccolse le briciole ch’erano rimaste sul tavolo e se le portò alla bocca. Si strinse nella giacchetta. La stufa era ancora spenta e si gelava. “E siamo a maggio!” si disse. In Sicilia non l’aveva mai sentito tutto quel freddo. Chiuse gli occhi e gli vennero alla mente i ricordi di quando era bambino: la casa, le pecore da portare al pascolo, sua madre che prima di uscire gli metteva in mano un fagotto col pane, le olive e due fichi secchi. Quei fichi lui se li scioglieva lentamente in bocca, facendo durare il sapore per tutta la mezza giornata, e quando li aveva finiti cercava con la lingua, tra i denti, i semi che vi si erano incastrati per trarne un altro poco di sapore. La dolcezza di quei due fichi fu la sua unica dolcezza, fino a quando non ne conobbe una maggiore. Un giorno Carmela Infantino lanciò verso di lui sguardi lesti come lucertole, e lui sentì sopra la pelle quelle guardate: più che carezze, spinte, scossoni, prepotenze. Il giorno dopo successe la stessa cosa, e pure il giorno dopo ancora. Allora comprese che in quelle occhiate c’era già il sentimento, il senso di una vita che avrebbero potuto passare assieme. Una volta l’attese dietro al pozzo: “Aspetta” la fermò, e le mise il fico tra le mani. Lei sorrise, gli disse: “Vi ringrazio”. Aveva tredici anni, e capelli lunghi fino alle cosce.
Luigi si alzò dal tavolo mandando i ricordi a farsi fottere, quella giornata s’annunciava nera e pericolosa, di quelle che, quando finalmente sono passate, ringrazi Domineddio. Andò verso l’armadio, prese il clarinetto.
Carmela giunse silenziosa alle sue spalle, vestita di tutto punto, vide lo strumento e s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prima Famiglia
  4. Prologo
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. Otto Anni Dopo
  20. Copyright