Non ci sono solo storie d’amore, c’è anche una storia dell’amore. Certo non è facile pensare che questo sentimento così assoluto, così eterno e apparentemente immutabile abbia avuto un’evoluzione nel corso del tempo. Eppure è importante sapere che nelle varie epoche vi sono stati diversi modi di amare, corrispondenti al ruolo, e quindi al prestigio, assegnato a ciò che chiamiamo “amore”. Ripercorrendo la storia di questo sentimento saremo stupiti di scoprire che il significato stesso di questa parola è mutato nei secoli, in quanto è stato associato a valutazioni e a funzioni molto differenti, legate alle forme culturali (sociali, religiose, politiche) in cui si iscrive. Per esempio il sesso, componente decisamente importante dell’amore, non è sempre stato associato al piacere, almeno nel senso che attribuiamo oggi a questa parola. Il godimento nel rapporto sessuale è stato a lungo negato e colpevolizzato, come continua a esserlo ancora in molte culture, specialmente per quanto riguarda le donne.
Certo, il desiderio sessuale è stato più o meno lo stesso in tutte le epoche, in tutte le società, in tutte le aree geografiche e in tutti i ceti sociali, in quanto corrisponde allo scopo, consapevole o inconsapevole, di procreare e perpetuare la specie: l’umanità, come ogni altro essere vivente, animale o pianta che sia, tende infatti all’autoconservazione. Quelle che sono cambiate sono le strategie con cui la sessualità si è articolata nelle relazioni tra i generi, mirate a orientare, a controllare, a organizzare e istituzionalizzare il desiderio per renderlo funzionale alla sopravvivenza di una comunità, alla conservazione di una determinata struttura sociale. È da questa esigenza che sono nati i diversi modi di rappresentare e di ritualizzare l’amore, attraverso costruzioni simboliche che ne hanno di volta in volta fissato le forme nell’immaginario collettivo, nel tessuto sociale e nel vissuto individuale. La storia dell’amore è precisamente la storia di queste costruzioni simboliche, di queste narrazioni che nel corso del tempo sono diventate sempre più complesse e sempre meno facili da riconoscere.
La relazione amorosa come fondamento dell’identità culturale
Le pratiche sessuali delle scimmie bonobo e dei primi uomini apparsi sulla Terra sono sostanzialmente le stesse. Ma, a differenza dalle altre specie animali, l’uomo ha formalizzato le relazioni tra i generi, creando così le basi della struttura sociale. Come scrive Jacques Attali:
La specie umana è la prima a iscrivere i rapporti tra i sessi in una concezione globale del mondo. A tal punto che fece dell’amore e delle sue interdizioni uno dei pilastri fondanti delle prime civiltà, le quali stabilirono che le leggi di quei rapporti fossero eterne perché fissano le condizioni della sopravvivenza e dell’identità culturale.1
È per questo che l’amore può anche essere considerato un’astuzia della società, anzi delle società, una specie di “trappola” utilizzata per disciplinare il desiderio sessuale e renderlo funzionale alla sopravvivenza non soltanto della specie, ma anche della struttura della società stessa.
Una delle possibili cause di questa specificità della specie umana può essere riconducibile al fatto che le donne sono le sole femmine di mammifero a non avere una fase fertile evidente, in quanto la loro ovulazione non è associata a segnali visibili. È probabilmente tale caratteristica umana ad avere accentuato la componente mentale, e quindi sentimentale, dell’attrazione sessuale, e ad aver enfatizzato il ruolo della seduzione, il cui rituale si è evoluto con l’ampliarsi della corteccia cerebrale, ma anche con la crescente complessità sociale.
La promiscuità sessuale delle origini
Gli antropologi e i paleontologi presumono comunque che le prime comunità di Homo sapiens sapiens, la cui comparsa viene fatta risalire a circa 180.000 anni fa, siano state caratterizzate dalla ginocrazia (potere delle donne) e dalla messa in comune dei beni e dei partner sessuali, uomini e donne. Questa usanza è stata ancora riscontrata nel V secolo a.C. dallo storico greco Erodoto, secondo il quale alcune popolazioni dell’Europa orientale e dell’Asia praticavano la promiscuità sessuale. Per esempio presso i Massageti, tribù nomade della Persia, all’uomo che desiderava una donna bastava esporre la faretra sul suo carro per accoppiarsi con lei senza bisogno di altre formalità. Presso i Nasamoni, popolo che abitava nella zona corrispondente all’attuale Libia, l’uomo doveva invece piantare un bastone davanti alla porta della donna designata per segnalarle il proprio desiderio. Dal resoconto di Erodoto emerge la necessità di un rituale (esposizione di faretra o di bastone) per rendere esplicita la volontà di avere rapporti sessuali con una persona, anche se lo stesso storico segnala, con una certa indignazione, che certi popoli del Caucaso “si accoppiano in pubblico come bestie”, cioè rispondendo solo a un istinto naturale, non mediato da formalismi culturali e socialmente condivisi.2
La pratica che oggi chiameremmo di “amore libero” è probabilmente connessa all’ignoranza del ruolo maschile nella procreazione, ignoranza che in alcune società si è protratta a lungo, tanto da persistere ancora, presso alcuni popoli, fino agli anni recenti. Nel momento in cui gli uomini non sono consapevoli del loro ruolo di padre, non sentono la necessità di rivendicare il controllo della prole e delle donne, le quali hanno la stessa libertà di accoppiamento dei maschi.
La promiscuità sessuale non va comunque confusa con la poligamia (dal greco polýs, “molto”, e gàmos, “matrimonio”), intesa sia come poliandria (polýs, “molto”, anèr, “uomo”), cioè unione di una donna con più uomini, sia come poliginia (polýs, “molto”, gynè, “donna”), cioè unione di un uomo con più donne. Infatti, nella poligamia, è già presente una forma di istituzionalizzazione dell’accoppiamento che ha lo scopo di dare una valenza sociale ed economica alle unioni, di disciplinare il desiderio e di regolare l’andamento demografico della comunità.
Il ruolo dei tabù nella codificazione delle relazioni sessuali
Tra la promiscuità e la poliandria vi è infatti un passaggio importante: la comparsa dei tabù e la codificazione della scelta del partner sessuale attraverso forme rituali più o meno istituzionalizzate, che diventano il fondamento dell’ordine sociale e segnano la transizione dalla natura alla cultura, come hanno evidenziato Sigmund Freud (Totem e tabù) e numerosi antropologi (James Frazer, Claude Lévi-Strauss, Marvin Harris).
Il tabù è una forma di interdizione sacralizzata (in genere tramandata dagli antenati, elevati a divinità) volta a proibire comportamenti pericolosi per la comunità. In ambito sessuale i primi tabù hanno riguardato il divieto dell’incesto (l’interdizione di rapporti sessuali tra persone legate da stretti vincoli di parentela) e l’obbligo dell’esogamia (la scelta del partner al di fuori dei membri della tribù). La sfera di proibizione dell’incesto non è omogenea: se l’interdetto di accoppiamento tra madre e figlio è universale, quello tra padre e figlia, tra fratello e sorella e tra nonno (o zio) e nipote non è presente ovunque: per gli antichi Egizi, per esempio, l’unione tra padre e figlie e tra fratello e sorella è ammessa. Diverse sono inoltre le conseguenze della trasgressione del tabù: in alcuni casi provoca solo discredito sociale e vergogna, in altri viene sanzionata con pene severe.
Contrariamente a quanto può apparire, la motivazione del tabù dell’incesto non sembra essere di tipo eugenetico, cioè finalizzato dalla protezione biologica della specie, ma piuttosto sociale: l’accoppiamento comincia infatti a essere considerato un fatto sociale, uno scambio tra gruppi diversi (esogamico) che serve a creare alleanze tra potenziali nemici e a ridurre i rischi di guerre.
Sacralizzazione e socializzazione del legame sessuale: il matrimonio
Nel momento in cui diventa un elemento decisivo per la stabilità della comunità, l’unione sessuale viene regolamentata dalle leggi e istituzionalizzata con riti più o meno complessi e quasi sempre sacralizzati,3 che ne sottolineano appunto la valenza sociale: è così che nasce il matrimonio, inteso come vero e proprio contratto, più o meno duraturo, tra due o più partner a fini riproduttivi, accettato e codificato dalla comunità. L’atto sessuale, in questo modo, cessa di essere un fatto individuale per diventare un fatto sociale, un elemento di coesione e di rafforzamento del gruppo di appartenenza.
Le norme del contratto variano nelle diverse civiltà e corrispondono al loro sistema di potere, alla loro gerarchia sociale e di genere, alle loro necessità economiche e alle loro credenze religiose. Il Codice di Hammurabi, la più antica raccolta di leggi composta in Mesopotamia attorno al 1770 a.C., stabilisce una precisa casistica di tutte le vicende configurabili in un matrimonio (tradimenti, abbandoni, unioni miste, cause di nullità ecc.) e ci dà un’idea di cosa venisse permesso o vietato nella società mesopotamica del II millennio a.C. Sappiamo inoltre che nella Grecia antica il matrimonio era considerato valido solo se, dopo la consegna della sposa (che doveva avere almeno 12 anni) allo sposo, i due iniziavano a convivere; quando la coabitazione cessava, il matrimonio era sciolto; se invece i partner convivevano senza aver prima sottoscritto il contratto (engýesis), l’unione era ritenuta illegittima. I due elementi che definiscono il matrimonio nell’antica Grecia sono quindi il contratto e la convivenza.
I riti di iniziazione e l’idoneità al matrimonio
In molte società antiche un altro elemento decisivo per la formalizzazione del matrimonio è il rito di iniziazione, un insieme di prove di resistenza e di coraggio che sanciscono l’ingresso nell’età adulta e che i giovani devono superare per essere socialmente pronti a sposarsi.
Le cerimonie iniziatiche possono essere differenti, perché diversi sono i valori culturali delle varie società e quindi diverse le capacità che i giovani devono dimostrare di possedere. Quello che hanno in comune è l’esigenza di una specie di “patentino” che garantisca la maturità dei giovani e la loro capacità di affrontare le responsabilità della vita relazionale adulta, quella garanzia di cui spesso si lamenta la mancanza nella società contemporanea.
I riti di iniziazione testimoniano come la dimensione del sacro sia intervenuta a disciplinare la sessualità, dandole una valenza simbolica, oltre che sociale. Ciò è confermato anche dalla prostituzione sacra, pratica molto diffusa e totalmente legittimata nell’antichità in tutte le aree geografiche, che, attraverso la ritualizzazione, permette di disciplinare la sessualità femminile. Presso alcune popolazioni vige addirittura l’usanza per le ragazze di prostituirsi per procurarsi la dote necessaria a sposarsi.
Un elemento centrale del matrimonio monogamico è infatti la dote, cioè il prezzo della sposa, che la famiglia della giovane deve versare a quella del futuro marito in base alla propria ricchezza. In caso di mancato pagamento, totale o parziale, la sposa può essere ripudiata, consuetudine, questa, che si è protratta a lungo anche nella cultura europea e che è ancora vigente in India, benché sia stata vietata dalla legge nel 1960.
Un altro aspetto caratteristico dell’unione monogamica è l’importanza del rito che ne sancisce la rilevanza a livello sociale. Per questo il matrimonio è spesso celebrato da esponenti autorevoli della comunità, siano essi religiosi (più spesso) o laici. In questo modo i contraenti si impegnano non solo di fronte alla comunità di cui fanno parte, ma anche di fronte alla divinità.