Bionda. Occhi azzurri. Alta. Una dea. Dio santo. L’universo rideva di me mentre me ne stavo lì imbambolata a guardare quella specie di modella dalla testa ai piedi. Avrebbe potuto essere la sorella perfetta di Rachel, e Rachel era già uno schianto. E no, era tutto sbagliato.
La donna stava in piedi vicino a una Porsche Boxster nera fiammante e sembrava parecchio nervosa. Faceva tamburellare le dita a ritmo frenetico sul cartello con sopra il mio nome. Un movimento per spostare il peso da un tacco vertiginoso all’altro non fece che aumentarne la furia. D’altra parte, il caldo torrido di Miami non aiutava. Era davvero opprimente, eppure quella donna era impeccabile, come se fosse appena uscita da un video rock. Jeans così attillati che si vedeva la curva sensuale del sedere. La sua canottiera mi faceva impazzire: la scritta sopra le tette, enormi, era invitante: ABBRACCIAMI E MUORI. Attorno al collo sottile portava almeno una decina di collane di varie lunghezze, dimensioni e perline. Aveva degli assurdi capelli da rockstar intrecciati con un complesso sistema di chignon e ciocche sciolte che le donavano una certa eleganza underground.
Dopo averla osservata per alcuni minuti, lei fissò su di me il suo sguardo d’acciaio. Sbuffò, buttò il cartello nell’auto e si avvicinò baldanzosa. Mi squadrò, dai riccioli ribelli all’abitino estivo, fino alle semplici ballerine che indossavo. «Così non va.» Scosse la testa, esasperata. «Andiamo, il tempo è denaro» mi disse, sbrigativa. Il baule si aprì, e vi riposi la valigia.
«Comunque, sono Mia.» Porsi la mano mentre lei si infilava un paio di occhiali da sole all’ultima moda girandosi per guardarmi al di sopra della montatura.
«So chi sei. Sono stata io a sceglierti.» In quel tono risuonava un malcelato disgusto: accese subito il motore e premette sull’acceleratore, senza nemmeno aspettare che mi fossi allacciata la cintura. Il mio corpo sobbalzò in avanti e mi appoggiai al cuoio liscio del cruscotto.
«Ho fatto qualcosa per farti arrabbiare?» Mi misi la cintura e guardai il suo profilo.
Fece un lungo sospiro. «No» brontolò. «Mi spiace. È stato Anton a farmi arrabbiare. Stavo facendo una cosa importante quando mi ha detto di venirti a prendere perché lui aveva bisogno del nostro autista per potersi scopare un paio di groupie sul retro della Escalade.»
Feci una smorfia. Fantastico, a quanto pareva il mio nuovo capo del mese era uno stronzo viscido. “No, un altro no.” «Che palle.»
Fece una brusca svolta a destra sull’autostrada. «Possiamo ricominciare da capo?» La sua voce adesso era sincera, colpevole. «Sono Heather Renee, l’assistente personale di Anton Santiago. L’artista hip-hop più figo del Paese.»
«Davvero?» Cavolo. Non avevo realizzato che fosse così importante. Non ascoltavo molto l’hip-hop. Preferivo il rock.
Heather annuì. «Sì, ogni album che ha inciso ha vinto il disco di platino. È l’astro nascente, e purtroppo per noi ne è ben consapevole.» Sorrise. «Anton vuole incontrarti subito, ma non puoi andarci vestita così.» Il suo sguardo si abbassò sul semplice prendisole verde che indossavo. Sottolineava il colore dei miei occhi e faceva sembrare i miei capelli stupendi. E poi, era comodo per viaggiare.
«Perché no?» Giocherellai con l’orlo del vestito, di colpo imbarazzata.
«Anton si aspetta uno schianto di modella tutta curve.» I suoi occhi tornarono sul mio look. «Le curve le hai, ma quello è un vestito troppo Sandra Bullock, da ragazza della porta accanto. Mettiti uno di quelli che ti ho comprato. A casa, hai un armadio pieno di vestiti che ti aspettano. Indossa quelli. Una delizia per gli occhi, lui si aspetta di vederti così, sempre.»
Preoccupata, concentrai l’attenzione sul paesaggio, mentre percorrevamo Ocean Drive. Gli edifici art déco affacciati sull’Atlantico sfilavano in una distesa infinita.
«Quindi, c’è il mare su entrambi i lati?» osservai, dopo aver attraversato uno dei ponti principali.
Heather fece un gesto della mano. «Sui lati della strada ci sono la laguna di Biscayne Bay e l’Atlantico. Come puoi vedere» indicò «la maggior parte di questi palazzi sono hotel, come il Colony e altri alberghi famosi. Poi c’è la gente che può permettersi di vivere qui, come Anton.»
Mentre mi passavano davanti agli occhi quegli edifici enormi, e il vento entrava dai finestrini scompigliandomi i capelli, notai una miriade di colori sgargianti, toni che non vedevo spesso. A Las Vegas, tutto sembrava marrone o color terracotta. A Los Angeles c’era di tutto, dal bianco brillante a una varietà di toni pastello che si adattavano allo stile di vita californiano. Qui, i colori sembravano esplodere in arancioni solari, blu e rosa mischiati al bianco.
«Li vedi quelli?» Indicò il Colony Hotel e il Boulevard Hotel con un movimento della mano. Io annuii e mi sporsi in avanti per vedere meglio. «Di notte sono tutti illuminati dalle luci al neon. Un po’ come a Las Vegas.»
Las Vegas. Sbarrai gli occhi, mentre il cuore sobbalzava. Una fitta di nostalgia mi strinse il petto. Avevo bisogno di chiamare Maddy e Ginelle. Cacchio, Ginelle se la sarebbe presa parecchio sentendo quello che era successo a Washington. Forse potevo evitare di raccontarglielo? Era un’idea da considerare. «Fantastico. Io vengo proprio da Las Vegas, quindi sarà bello vedere i palazzoni illuminati.» Mi rilassai sul sedile e mi godetti la brezza, lasciando che si dissipasse la tensione che avevo accumulato a Washington e a Boston, quando avevo dovuto lasciare Rachel e Mason.
Tirai fuori il telefono e lo accesi. Mi arrivarono diverse notifiche. Un messaggio di Rachel che mi chiedeva di scriverle quando sarei arrivata. Un messaggio di Tai che chiedeva se il nuovo cliente era un gentiluomo o se doveva salire di nuovo su un aereo. E un messaggio da Ginelle. “Oh, merda. E ora?”
Il mio stomaco sembrava un abisso profondo quanto il Grand Canyon, uno spazio immenso riempito di terrore infinito.
A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Ti hanno aggredita? Sei finita all’ospedale? Perché devo venirlo a sapere da un messaggio del fratello di Tai! Se non sei già morta, t’ammazzo io!
Trattenendo il fiato, digitai una risposta.
A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
Solo un piccolo contrattempo. Niente di che. Sto benissimo. Non preoccuparti per me. Ti chiamo dopo, quando sarò sistemata con il Latin Lover.
A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Latin Lover? Fai poco la furba. È tipo il tizio più famoso nel mondo dell’hip-hop, ed è supersexy.
A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
Ho sentito dire che è uno che ti sbava addosso.
A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Magari sbavasse addosso a me qualche volta… tra le gambe, già che c’è!
A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
Sei una pervertita!
A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Vorrei essere il riso e fagioli del suo contorno. Il churro alla fine della sua cena. Il budino flambé su cui soffia per poi leccarselo tutto.
A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
Piantala! Stupida troietta! Mi fai sembrare una santarellina.
A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Almeno so che se andrò all’inferno ci sarai tu a darmi un passaggio!
Scoppiai a ridere e Heather chiese: «Lavoro?», indicando il telefono. Premetti un pulsante per togliere la suoneria prima di infilarmelo in borsa.
«Scusami. La mia migliore amica. Voleva sapere come stavo.» Sospirai e mi sistemai i capelli su una spalla. Il caldo iniziava a darmi sui nervi. Regolai il bocchettone perché mi scaricasse addosso un soffio di aria gelida. Ah, così andava meglio. Tanto Heather non si preoccupava di sprecare l’aria condizionata tenendo i finestrini abbassati.
«Siete molto amiche?» Strinse le labbra mentre svoltava in un parcheggio sotterraneo.
Evidentemente non aveva sentito che avevo detto “migliore amica”. «Certo, la migliore per me e io per lei. Ci conosciamo da sempre.»
Lei sbuffò e parcheggiò con una manovra brusca. «Sei fortunata. Io di amici non ne ho.» Le sue parole mi colpirono come una scossa elettrica.
«In che senso? Tutti hanno degli amici.»
Heather scosse la testa. «Io no. Troppo lavoro per coltivare relazioni. Anton ha sempre la precedenza su tutti. Anche se sono solo la sua assistente personale, devo mandare avanti io la baracca. E poi ho studiato per diventare manager. Forse un giorno prenderò decisioni per conto di un artista. Se voglio che i miei sogni si avverino, devo lavorare sodo.»
«Immagino.» Alzai le spalle e la seguii mentre camminava a passo di marcia verso l’ascensore, superando una fila di auto decisamente di lusso.
«Cavolo» mormorai, vedendo Mercedes, Range Rover, Escalade, BMW, Bentley, Ferrari e tante altre auto europee che non avevo fatto in tempo a catalogare. Quello che invece vidi – e che mi paralizzò, incollandomi al cemento – erano le sei due ruote più spettacolari su cui avessi mai posato lo sguardo.
C’erano una BMW HP2 Sport, bianca con il bordo blu e 1170 di cilindrata, e già per quella avrei potuto bagnarmi. Poi c’era una MV Agusta F4 1000, l’unica moto al mondo che avesse un motore a valvole radiali. Mi girai, lasciai cadere la valigia e toccai il sellino irresistibile della terza moto: una Icon Sheene, tutta nera, con le cromature scintillanti. La accarezzai come avrebbe fatto un amante, con la punta del dito, ricalcando le sue curve lascive e le sue linee filanti. Quella moto costava più di centocinquantamila dollari! “’fanculo. Devo scopare su questa moto, a tutti i costi!”
Aria, mi mancava l’aria! Ansimai e mi accovacciai, senza riuscire a staccare gli occhi da quella meraviglia. “Tesoro, vieni dalla mamma.” Sarei stata felice di vivere in quel garage, immersa nella contemplazione delle moto dei miei sogni.
«Mmh, pronto? Terra chiama Mia? Che diavolo stai facendo?»
La sua voce mi arrivò, ma non risposi. Era come una zanzara fastidiosa, che per quante volte la scacci lei continua a tornare.
Mi alzai piano, feci un respiro ristoratore e ammirai ancora una volta la sfilza di moto. L’ultima era un’incredibile KTM Super Duke nera e arancione personalizzata. Forse la più accessibile della serie, senza dubbio si trovava sulla lista delle moto fantastiche che un giorno mi sarei potuta permettere.
«Di chi sono queste moto?» chiesi. La mia voce era scesa di un’ottava, alla vista di quel puro sesso su due ruote.
«Di Anton. Questo palazzo è suo. C’è il suo studio di registrazione, il suo club, la sua palestra, e naturalmente l’attico, dove vive. Anche gli altri membri dello staff hanno un appartamento qui. Tu avrai un loft tutto per te, quello che di solito usiamo per le celeb in visita o per quelli che lavorano ai suoi dischi.»
«Le guida lui queste moto?»
Sorrise. «Sei un’appassionata, eh?»
«Si potrebbe dire di sì.» Dovetti sforzarmi di far uscire le parole, anche se non ero ancora riuscita a staccare gli occhi da quel concentrato di bellezza.
«Magari ti porterà a fare un giro.»
Questo attirò la mia attenzione. «Mi porterà a fare un giro?»
Annuì, con un sorriso così accattivante che avrebbe potuto essere usato per una pubblicità.
«Col cavolo. Io non mi faccio portare da nessuno, cara mia. Io guido.»
Heather mi diede un quarto d’ora per darmi una rinfrescata prima di portarmi da Anton. Mi buttai sotto la doccia, mi lavai via lo sporco del viaggio e guardai gli abiti che mi aveva preparato. Abiti era una parola grossa. Sul letto c’era una strisciolina di stoffa, un paio di shorts striminziti e sandali alla schiava con tacchi a spillo. Mi infilai gli shorts e controllai l’orlo nello specchio. A un occhio attento non sarebbe sfuggito che rimaneva scoperto un bel pezzo di natica. Che cavolo. Mi guardai davanti. I pantaloncini erano tagliati così in alto che spuntava la fodera delle tasche. Il top era carino. Era legato da due minuscoli fiocchi su ogni spalla. Chiusi gli occhi, contai fino a dieci...