Yoga: potenza e libertà
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Yoga: potenza e libertà

Commenti ai "Sutra sullo Yoga" di Pantanjali

  1. 308 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Yoga: potenza e libertà

Commenti ai "Sutra sullo Yoga" di Pantanjali

Informazioni su questo libro

Oggi nel mondo lo Yoga si pratica per hobby, o come terapia in grado di lenire l'intera gamma di disagi frutto di una vita troppo sedentaria. Ma anche per necessità, in quanto aiuta a equilibrare l'immenso carico di stress che lo Spirito del tempo ha indotto in un quotidiano già di per sé frenetico. In Italia sembra non essere più il fenomeno di nicchia di qualche decennio fa e ha conquistato fasce culturali e generazionali sempre più ampie. Alla "normalità" dell'approccio fisico, si accompagna con il tempo l'esigenza di approfondire la visione sottesa agli esercizi. Un numero sempre maggiore di insegnanti ha iniziato a utilizzare il commento di Osho ai Sutra sullo Yoga di Patanjali - di cui questo libro rappresenta il quarto volume - come vero e proprio libro di testo in grado di introdurre vuoi allo spirito, vuoi alle prospettive esistenziali a cui l'attività fisica fa da trampolino di lancio. Infatti questo "metodo" è in realtà una "scuola di vita", come insegna lo stesso Osho: "Lo Yoga non è una religione né una filosofia. Non è qualcosa su cui si possa ragionare. È ciò che tu dovrai essere".

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804593645
eBook ISBN
9788852070365
1

I semi della sofferenza

Il Kriya Yoga è uno Yoga pratico e introduttivo, ed è costituito da austerità, osservazione di sé e abbandono a Dio.
La pratica del Kriya Yoga riduce la sofferenza e conduce al samadhi.
Le sofferenze sono causate da mancanza di consapevolezza, egoismo, attrazioni, repulsioni, attaccamento alla vita e paura della morte.
Qualora si fosse in uno stato di intorpidimento, di attenuazione, di alterazione o di espansione, è proprio attraverso la mancanza di consapevolezza che le altre cause di sofferenza sono in grado di operare.
L’umanità comune può essere divisa in due tipi fondamentali: uno è il sadico e l’altro è il masochista. Il sadico prova piacere a torturare gli altri, il masochista si diverte a torturare se stesso. Ovviamente il sadico è attratto dalla politica: in quell’ambito c’è la possibilità, l’opportunità di torturare gli altri. Oppure è attratto dalla ricerca scientifica, in particolare dalla ricerca medica: lì, in nome della sperimentazione, è possibile torturare animali innocenti, remissivi, corpi morti e vivi. Se la politica è oltre le sue capacità e non è così sicuro di se stesso, e se non è abbastanza intelligente per avvicinarsi alla ricerca, il sadico diventa un maestro di scuola: tortura i bambini. In ogni caso, consciamente o inconsciamente, il sadico si orienta sempre verso una situazione in cui può torturare. In nome del Paese, della nazione, della società, della rivoluzione; in nome della verità, della scoperta; in nome di riforme, della rieducazione degli altri, il sadico è sempre alla ricerca di un’opportunità per torturare qualcuno.
I sadici non sono molto attratti dalla religione; l’altro tipo, il masochista, ne è attratto. I masochisti sono in grado di torturare se stessi: diventano grandi mahatma, diventano grandi santi, e sono riveriti dalla società perché torturano se stessi. Un masochista perfetto si orienta sempre verso la religione, proprio come un sadico perfetto tende sempre alla politica. La politica è la religione del sadico; la religione è la politica del masochista. D’altra parte, se un masochista non è così saldo e determinato, può trovare vie traverse: può diventare un artista, un pittore, un poeta, e può permettersi di soffrire in nome della poesia, della letteratura, della pittura.
Di certo avrete sentito il nome di Vincent Van Gogh, il grande pittore olandese. Era il masochista perfetto. Se fosse nato in India sarebbe diventato un Mahatma Gandhi, invece divenne un pittore. Non aveva molto denaro, suo fratello gli dava quanto bastava a sopravvivere: su sette giorni della settimana, mangiava solo tre giorni e negli altri quattro digiunava per poter dipingere.
Era innamorato di una donna, ma il padre di lei non gli permetteva di vederla. Così pose una mano su una fiamma viva e disse: «Terrò la mano sulla fiamma finché non mi permetterai di vederla». Si bruciò la mano!
Una prostituta gli disse: «Le tue orecchie sono molto belle», perché non c’era altro da apprezzare del suo viso: era un uomo bruttissimo, aveva lineamenti orribili. La prostituta si doveva essere sentita in difficoltà con quest’uomo, così gli disse che le sue orecchie erano molto belle. Lui andò a casa, si tagliò un orecchio con un coltello, lo impacchettò, tornò da lei col sangue che gli scorreva a fiotti e offrì l’orecchio alla donna, dicendo: «Ti è piaciuto così tanto che vorrei dartelo in dono».
Van Gogh continuò a dipingere nella regione più calda della Francia, ad Arles, durante l’estate, sotto il sole cocente. Tutti gli dicevano: «Ti ammalerai, il sole è troppo forte». Ma per tutto il giorno, soprattutto quando il sole bruciava di più, stava nei campi e dipingeva. In venti giorni impazzì. Era giovane; quando si uccise, quando si suicidò aveva trentasette anni.
Ebbene, potete torturarvi in nome della pittura, dell’arte, della bellezza; e potete torturarvi in nome di Dio, in nome della preghiera, in nome della ricerca spirituale. Troverete che questa tipologia di persone è molto comune in India: sdraiati su letti di chiodi, di spine, in digiuno per mesi. Incontrerete persone che non hanno dormito per dieci anni: rimangono in piedi, lottando col sonno. Ci sono persone che sono state in piedi per anni, non hanno mai cambiato posizione; le loro gambe sono praticamente morte. Ci sono persone che vivono tenendo una mano alzata verso il cielo: l’intera mano se n’è andata, il sangue non circola più, sono rimaste solo le ossa. Costoro sono malati, hanno bisogno di essere curati; eppure migliaia di persone ne sono attratte.
Tutti i vostri politici, Adolf Hitler o Iosif Stalin o Mao Tse-tung, hanno bisogno di cure. E anche tutti i vostri mahatma ne hanno bisogno, perché un uomo portato a torturare se stesso o gli altri è malato, profondamente malato. Il bisogno di torturare – se stessi o gli altri – è un sintomo chiarissimo di malattia grave. Quando sei sano, non hai voglia di torturare gli altri né hai voglia di torturare te stesso; quando sei sano, sai gioire. Quando sei sano, ti senti così colmo di beatitudine che vorresti rendere tutti beati. Vorresti che la tua beatitudine fluisse dal tuo essere all’essere degli altri, all’intera esistenza: trabocchi di beatitudine. La salute è celebrazione. La malattia è una tortura, sia per l’altro che per te stesso.
Come mai dico queste cose, prima di iniziare a parlare di Patanjali? Ne parlo perché, finora, Patanjali è sempre stato commentato da masochisti. Laddove, qualsiasi cosa io stia per dire su Patanjali sarà completamente diversa da tutti gli altri commentari: io non sono un masochista, non sono un sadico. Io celebro me stesso e mi piacerebbe che voi partecipaste con me alla festa della vita. Il mio commento a Patanjali sarà fondamentalmente diverso da tutti i precedenti commentari: il mio commento sarà in assoluta sintonia con lui, come se fosse lo stesso Patanjali a farlo.
Egli non era né un sadico né un masochista. Era un uomo perfettamente integro, privo di qualsiasi malattia interiore, senza problemi psicologici, senza ossessioni: era sano, integro, completo. Qualsiasi cosa abbia detto può essere interpretata in tre modi. Un sadico potrebbe imbattersi in Patanjali, ma è molto raro perché i sadici non sono interessati alla religione: non si può immaginare Mao Tse-tung, Adolf Hitler o Iosif Stalin che si interessa a Patanjali, per niente. I sadici non sono interessati, perciò non l’hanno commentato. I masochisti sono interessati alla religione e hanno fatto commentari e dato la propria sfumatura a Patanjali: ne esistono milioni, e tutto ciò che hanno detto ha completamente distorto il messaggio di Patanjali, lo ha completamente distrutto. E adesso, dopo migliaia di anni, questi commentari si frappongono tra voi e Patanjali; e continuano ad aumentare.
I Sutra sullo Yoga di Patanjali sono tra i sutra più commentati; sono densi di significato, profondamente significativi. Ma dove si trova un Patanjali che li possa commentare? Dove trovare un uomo che non è in alcun modo malato? Poiché la malattia lo segna, diventa inevitabile: quando interpreti, tu partecipi a quell’interpretazione, devi esserne parte; non c’è altro modo di interpretare. Io sto per dire cose che non sono state dette e mi troverete sempre diverso da tutti gli altri commentatori.
Ricordatevelo, poiché io non sono né un sadico né un masochista. Non sono arrivato alla religione per torturare me stesso: è proprio il caso opposto. In effetti, io non sono mai arrivato alla religione: ho semplicemente gioito di me stesso e la religione è avvenuta in me, del tutto incidentalmente. È stata una conseguenza. Io non ho mai praticato nel modo in cui pratica la gente religiosa, non ho mai intrapreso quel tipo di ricerca: ho semplicemente vissuto in una profonda accettazione di qualunque cosa ci fosse. Ho accettato l’esistenza e me stesso, e non ho mai avuto alcuna voglia di cambiare me stesso. Inaspettatamente, più io accettavo me stesso, più accettavo l’esistenza e su di me discendevano un profondo silenzio, una beatitudine: in quella beatitudine, la religione è avvenuta in me. Pertanto io non sono religioso nel senso comune della parola. Se volete trovare un’affinità con me, dovete cercarla lontana dalla religione.
Io sento una profonda affinità con un uomo vissuto duemila anni fa in Grecia. Il suo nome era Epicuro. Nessuno lo considera religioso. La gente pensa che sia stato uno degli uomini più atei, più materialisti mai esistiti; infatti era proprio l’opposto di un uomo religioso. Ma questo non è il mio modo di vedere. Epicuro era un uomo naturalmente religioso. Ricorda le parole “naturalmente religioso”: la religione avviene in lui. Ecco perché la gente l’ha trascurato: non è mai stato un ricercatore. Il detto: «Mangia, bevi e sii felice» viene da Epicuro. E questa è diventata l’attitudine dei materialisti.
In realtà Epicuro visse una vita tra le più austere. Viveva in modo assolutamente semplice. Neppure Mahavira e il Buddha erano stati così semplici e austeri, perché la loro semplicità era studiata; avevano lavorato, e questo era diventato un esercizio. Ci avevano pensato e poi avevano eliminato tutto ciò che non era necessario. Si imposero una disciplina per essere semplici ma, ogni volta che subentra la disciplina, si crea complessità: sullo sfondo esiste una lotta, e quel conflitto sarà sempre presente dietro le quinte. Mahavira viveva nudo, aveva rinunciato a tutto; ma aveva dovuto rinunciare. Non era una decisione spontanea.
Epicuro viveva in un piccolo giardino che era noto come il giardino di Epicuro. Non aveva un’accademia come Aristotele o una scuola come Platone; aveva un giardino. Sembra semplice e bello. Un giardino appare più naturale di un’accademia. Viveva in questo giardino con alcuni amici: quella fu probabilmente la prima Comune. Vivevano semplicemente lì, senza fare niente di particolare: si lavorava nel giardino, avevano giusto quanto basta per vivere.
Si dice che il re andò a fargli visita e nella sua mente pensava che quest’uomo vivesse nel lusso, poiché il suo motto era: «Mangia, bevi e sii felice».
«Se questo è il messaggio» pensava il re «vedrò persone che vivono nel lusso, nei vizi.» Ma quando arrivò, vide persone molto semplici che lavoravano nel giardino, annaffiando le piante. Avevano lavorato tutto il giorno; e avevano veramente poche cose, solo quanto bastava per vivere. Alla sera, per cena, non c’era neanche un po’ di burro; solo pane secco con un po’ di latte. Ma se lo gustavano come se fosse un banchetto. E dopo cena, ballarono: il giorno era finito e quella gente offriva un ringraziamento all’esistenza.
A quel punto il re scoppiò a piangere, perché aveva sempre avuto l’intenzione di condannare Epicuro. Poi domandò: «Cosa vuoi dire con: “Mangia, bevi e sii felice?”».
Epicuro disse: «L’hai visto. Nell’arco delle ventiquattr’ore noi qui siamo felici. Se vuoi essere felice, devi essere semplice, perché più sei complicato, più diventi infelice; più la tua vita è complessa, più si crea sofferenza. Noi siamo semplici non perché stiamo cercando Dio, ma perché essere semplici è essere felici».
E il re disse: «Mi piacerebbe mandarti dei doni. Cosa desideri per il tuo giardino e per la tua comunità?».
Epicuro rimase perplesso. Pensa e ripensa, disse: «Non mi sembra che ci serva altro. Non sentirti offeso; tu sei un grande re, puoi donare qualunque cosa, ma noi non ne abbiamo bisogno. Se insisti puoi mandarci un po’ di sale e un po’ di burro». Era un uomo austero.
In questa austerità la religione accade in modo naturale. Non pensi a Dio, non ce n’è bisogno; la vita è Dio. Non preghi il cielo a mani giunte, è sciocco. Tutta la tua vita, dal mattino alla sera è una preghiera. Vivi la preghiera, non recitarla.
Epicuro avrebbe potuto comprendere Patanjali. Io posso comprenderlo, posso sentire cosa vuol dire. È per voi che sto dicendo tutto questo, in modo tale che non rimaniate confusi, visto che ci sono altri commentari che dicono proprio l’opposto.

Il Kriya Yoga è uno Yoga pratico e introduttivo, ed è costituito da austerità, osservazione di sé e abbandono a Dio.

La prima parola è “austerità”. I masochisti l’hanno trasformata in autoflagellazione: pensano che più torturi il tuo corpo, più diventi spirituale. Torturare il corpo è la via per diventare spirituali: questa è l’interpretazione dei masochisti.
Torturare il corpo non è una via, torturare è violenza. Sia che torturi gli altri o te stesso, è violenza; e la violenza non può mai essere religiosa. Qual è la differenza tra torturare il corpo di qualcun altro o torturare il tuo corpo? Che differenza c’è? Il corpo è “l’altro”: anche il tuo stesso corpo è l’altro. Il tuo corpo ti è un po’ più vicino, il corpo dell’altro è un po’ più in là, tutto qui. Poiché il tuo è più vicino, diventa più facilmente vittima della tua violenza: lo puoi torturare. E per migliaia di anni la gente ha continuato a torturare il proprio corpo con la falsa idea che questo è il modo per arrivare a Dio.
Prima di tutto, perché Dio ti avrebbe dato un corpo? Non ti ha fornito uno strumento per torturarlo; anzi, al contrario, ti ha dotato di sensazioni, di sensibilità, di sensi: per goderne e non per torturarlo. Ti ha fatto così sensibile perché, attraverso la sensibilità, cresce la consapevolezza. Se torturi il tuo corpo, diventerai sempre più insensibile: a forza di giacere su un letto di spine, diventerai sempre più insensibile. Il corpo dovrà diventare insensibile, altrimenti come potresti sopportare ininterrottamente quelle spine? Il corpo diventerà praticamente morto, perderà la sua sensibilità. Se stai continuamente in piedi sotto il solleone, il corpo proteggerà se stesso diventando insensibile. Se siedi nudo sull’Himalaya mentre cade la neve e l’intera catena di montagne è innevata, il corpo perderà progressivamente la sua sensibilità al freddo. Diventerà un cadavere!
E se il tuo corpo è morto, come puoi sentire le benedizioni dell’esistenza? Come puoi essere sensibile alla continua pioggia di benedizioni che accade in ogni istante? L’esistenza riversa continuamente milioni di benedizioni su di te, non puoi neppure contarle. In effetti, ci vuole una maggior sensibilità per diventare un uomo religioso; infatti, più sei sensibile, più sarai in grado di vedere il divino ovunque. La sensibilità deve diventare il tuo occhio, la tua capacità di penetrazione. Quando diventi totalmente sensibile, ogni piccola brezza ti sfiora e ti porta il messaggio; in quel caso anche una comune foglia, mossa dal vento, diventa un fenomeno straordinario proprio grazie alla tua sensibilità. Guardi una semplice pietruzza e ti sembra un Koh-i-Noor. Dipende dalla tua sensibilità.
La vita è più sconfinata, se tu sei più sensibile. La vita è meno vasta, se tu sei meno sensibile. Se il tuo corpo è rigido come legno, privo di qualsiasi sensibilità, la vita è niente, la vita scompare; sei già nella tomba: è ciò che hanno fatto i masochisti; la ricerca spirituale è diventata uno sforzo per far morire il tuo corpo e la tua sensibilità.
Per me, vale proprio l’opposto. Austerità non significa tortura; austerità significa una vita semplice, una vita sobria. E come mai è una vita semplice, perché non è una vita molto complicata? Perché più complicata è la vita, di nuovo, meno sarai sensibile. Un uomo ricco è meno sensibile di un povero, perché tutto il suo sforzo teso ad accumulare ricchezze lo ha reso insensibile: se hai intenzione di accumulare ricchezze, devi essere insensibile. Devi essere esattamente come un assassino e non preoccuparti di cosa accade agli altri. Tu continui ad accumulare tesori e gli altri stanno morendo; tu continui a diventare sempre più ricco e questo implica che altri ci rimettano la vita: un ricco dev’essere insensibile, altrimenti non potrebbe essere ricco; come farebbe a sfruttare? Sarebbe impossibile.
Ho sentito parlare di un uomo ricchissimo, Mulla Nasruddin andò a trovarlo. Voleva una donazione per un orfanotrofio di cui era direttore.
Il ricco disse: «Va bene, Nasruddin, ti darò qualcosa, ma a una condizione che nessuno ha mai soddisfatto. Guardami negli occhi: un occhio è falso e l’altro è vero. Se sai dirmi qual è quello falso e quale quello vero, ti farò una donazione».
Nasruddin lo guardò negli occhi e disse: «L’occhio sinistro è vero e l’o...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Premessa. Patanjali e il metodo dello Yoga
  4. Yoga: Potenza e Libertà
  5. 1. I semi della sofferenza
  6. 2. Tu sei l’ostacolo
  7. 3. Trascendere la schiavitù
  8. 4. Solo l’oceano esiste
  9. 5. Non aggrapparti alla vita
  10. 6. L’inizio di una nuova dimensione
  11. 7. Consapevolezza:. il fuoco che brucia il passato
  12. 8. La psicologia dei Buddha
  13. 9. La vita: un seme in te
  14. 10. L’alchimia della celebrazione
  15. Yoga: una via di risveglio
  16. Piano dell’opera
  17. Sull’Autore
  18. Per approfondire
  19. Copyright