Lo so, ho raccontato questa storia in modo così sconnesso da rendere forse difficile la possibilità di orientarsi in quella specie di dedalo che ne è scaturito. Non ho potuto farne a meno. Sono rimasto saldo nell’intento di immaginarmi in un cottage di campagna assieme a un ascoltatore silenzioso il quale, fra le raffiche di vento e il fragore del mare in lontananza, prestasse orecchio al racconto, così come questo usciva. E quando ci si occupa di una vicenda, di una vicenda lunga e triste, si finisce per andare un po’ avanti e un po’ indietro. Si ricordano passaggi dimenticati e li si spiega quanto mai nel dettaglio; si riconosce infatti di non averli menzionati al momento giusto e, omettendoli, si teme d’aver trasmesso un’impressione errata. Ma avete davanti una storia vera e non è una consolazione da poco: e poi le storie vere è forse bene raccontarle spontaneamente, proprio come ci viene. In tal modo appariranno ancora più vere.
In ogni caso, nel dirvi la mia storia credo di essere arrivato fino alla morte di Maisie Maidan; ossia, ho spiegato ogni cosa accaduta prima e ho fornito i vari punti di vista necessari: di Leonora, di Edward, e in parte anche il mio. Avete i fatti, basta cercarli. Avete i punti di vista, almeno per come sono riuscito a verificarli e riportarli io. Lasciatemi allora tornare col pensiero a me stesso e al giorno della morte di Maisie; o meglio, alla dissertazione di Florence sulla Protesta e il protestantesimo, in cima al vecchio castello della città di M. Consideriamo il punto di vista di Leonora riguardo a Florence. Ovviamente quello di Edward non ve lo posso presentare, poiché non mi parlò mai della sua relazione con mia moglie. È naturale. (Nelle prossime pagine potrei risultare un tantino duro nei confronti di quest’ultima, ma si tenga presente da quanto ormai sto scrivendo questa storia. Sei mesi durante i quali ho pensato e ripensato a queste vicende.)
E più ci penso, più mi convinco che Florence ha esercitato un’influenza nefasta e contagiosa: mortificò e logorò il povero Edward; logorò irrimediabilmente quella sventurata di Leonora. Sì, fu senza dubbio lei a logorarne il carattere. Se in esso si trovava qualcosa di buono, questo era l’orgoglio e la capacità di tacere. Ma quell’orgoglio e quel silenzio si spezzarono entrambi con la scenata senza precedenti, prima nella stanza in penombra di fronte alla Protesta, e poi sul piccolo balcone sospeso sul fiume. Non aveva torto, non mi si fraintenda. Fece bene a mettermi in guardia rispetto agli occhi dolci con cui Florence si rivolgeva a suo marito. Ma pur facendo la cosa giusta, la stava facendo nel modo sbagliato. Forse avrebbe dovuto pensarci di più. Se proprio doveva parlarmi, avrebbe potuto farlo dopo un’adeguata riflessione. O forse avrebbe fatto ancora meglio ad agire, ad esempio accompagnando sempre Florence in modo da rendere impossibile qualsiasi comunicazione fra lei ed Edward; oppure origliando o spiando attraverso la serratura delle camere da letto. È odioso, lo so, ma va fatto. Avrebbe dovuto portarsi via Edward quando morì Maisie Maidan. No, ha agito male…
E tuttavia, povera creatura, sta a me condannarla? Alla fin fine cosa sarebbe cambiato? Se non fosse stata Florence, ne sarebbe arrivata un’altra… Chi lo sa, magari una donna migliore di mia moglie. Perché lei era volgare, un flirt come tanti altri, soltanto incapace di lâcher prise, lasciar perdere. E inoltre era una chiacchierona incallita. Non la potevi fermare in nessun modo. Edward e Leonora avevano per lo meno la dignità delle persone orgogliose e riservate. L’orgoglio e la riservatezza non sono tutto nella vita, e forse nemmeno le cose migliori. Ma se per accidente rappresentano le tue virtù più importanti, allora rischi di crollare nel momento stesso in cui te le lasci scappare. E Leonora se le lasciò scappare. Le vide fuggir via prima ancora del povero Edward. Pensate al suo stato d’animo quando ebbe quello scatto davanti alla Protesta di Lutero… pensate a quanto soffrì…
Non dimenticatelo: il grande desiderio della sua vita era riprendersi Edward. E fino ad allora non aveva mai desistito un solo istante. Potrà sembrarvi ignobile, ma dovreste anche ricordarvi di come la pensava Leonora: qualora fosse riuscita a riprenderselo, non avrebbe ottenuto una vittoria per sé soltanto, bensì per tutte le mogli e per la sua chiesa. Per lei i termini del problema erano questi. Certe cose vanno al di là della ragione. Io non riesco proprio a capirlo perché riconquistare Edward avrebbe comportato una vittoria per tutte le mogli, per la società e per la sua chiesa. O forse una vaga idea me la sono fatta.
Leonora guardava alla vita come a una battaglia perenne fra i sessi, uno scontro fra il desiderio dei mariti di tradire le mogli e quello delle mogli di riconquistare i mariti. Una visione triste e mediocre del matrimonio. L’uomo per lei era un selvaggio bisognoso di concedersi i propri svaghi, gli eccessi, le nottate fuori e, diciamolo pure, i periodi di calore. Aveva letto ben pochi romanzi, per cui l’idea di un amore immacolato e imperituro, capace di protrarsi oltre lo scampanio della cerimonia nuziale, non le appartenne mai veramente. Quando sbigottita e spaventata si recò al convento della sua infanzia per raccontare alla madre superiora le infedeltà di Edward con la ballerina spagnola, la vecchia suora – da lei ritenuta immensamente saggia, profonda e venerabile – non fece altro che scuotere triste la testa e dirle:
«Gli uomini sono fatti così, ma con la benedizione del Signore alla fine si sistemerà tutto.»
Ecco il progetto di vita ideato per lei dai suoi consiglieri spirituali, o quanto meno ecco in cosa si concretizzarono quegli insegnamenti. Era questa, secondo lei, la lezione appresa da loro. Io non so con esattezza cosa le insegnarono. Il destino delle donne era pazientare, pazientare e ancora pazientare – ad maiorem Dei gloriam – fino al giorno in cui, a Dio piacendo, avrebbero riscosso la propria ricompensa. E quand’anche alla fine fosse riuscita a riprendersi Edward, sarebbe accaduto a certe condizioni oltre le quali, in virtù del suo stato di moglie, non poteva pretendere niente. Quegli eccessi negli uomini erano naturali, le dissero, da perdonare, quasi fossero dei bambini.
Ma la vera cosa importante era evitare qualsiasi scandalo di fronte alla comunità cattolica. Pertanto lei si aggrappò con una passione smodata, prossima a un’agonia, all’idea di riavere Edward. Voltò le spalle a tutto per concentrarsi esclusivamente su quel proposito: il proposito di vederlo riapparire – quando fosse ritornato – in salute, con la magnificenza conferitagli dalle sue proprietà, e con la schiena dritta. Allora avrebbe dimostrato come, in un mondo di infedeltà, una donna cattolica potesse riuscire a conservare la fedeltà del marito. Si vide prossima alla realizzazione dei propri desideri.
Il suo piano riguardante Maisie sembrò funzionare a meraviglia. Edward pareva si stesse raffreddando nei suoi confronti. Aveva smesso di smaniare al pensiero di trascorrere ogni singolo minuto del soggiorno a Nauheim a fianco di quella bambina sempre coricata. Andava alle partite di polo, la sera giocava a bridge, era allegro e brillante. Non stava tentando di sedurre la povera piccola, Leonora non aveva dubbi, e iniziava addirittura a convincersi che non ci avesse mai provato. Nei riguardi di Maisie parve persino tornare a occupare il suo ruolo di prima: un alto ufficiale del reggimento, gentile, premuroso e capace di alcune attenzioni galanti verso una giovane sposa. I loro scambi, quantunque civettuoli, erano innocenti come la luce del mattino. Anche lei non dava più l’idea di struggersi, quando noi quattro andavamo in gita. Al pomeriggio doveva stendersi sul letto per molte ore e neppure in quei momenti sembrava fremere per la compagnia del capitano.
Da parte sua Edward iniziava ad avvicinarsi timidamente a Leonora. Una volta o due, le disse in privato (in pubblico lo faceva spesso): «Come stai bene!», e ancora: «Che vestito delizioso!». Era andata con Florence a Francoforte, dove confezionano abiti della stessa qualità di Parigi, e aveva acquistato uno o due vestiti da sera. Poteva permetterseli, e in materia di abbigliamento Florence dispensava consigli preziosi. Leonora sembrava aver trovato il bandolo della matassa.
Già, Leonora sembrava aver trovato il bandolo della matassa. Capì allora di aver sbagliato non poco in passato. Ad esempio, rispetto ai soldi, non avrebbe dovuto sottoporre Edward a un controllo così stretto. Ritenne di aver fatto bene a restituirgli il controllo delle sue rendite, sebbene avesse preso tale decisione fra mille paure e incertezze. Lui stesso fece un passo in quella direzione e le diede credito spontaneamente di aver fatto la cosa giusta, a risparmiare per tutti quegli anni. Un giorno le disse:
«Hai fatto un ottimo lavoro, cara ragazza. Niente mi diverte quanto buttare due soldi in qualche sfizio. E se adesso posso farlo è grazie a te.»
Fu il momento più bello della sua vita, mi raccontò in seguito; e intanto lui, rendendosene conto, osò persino toccarle con delicatezza una spalla. Era entrato nella sua stanza col pretesto di chiederle una spilla da balia.
E l’episodio del pugno all’orecchio di Maisie, quando ormai era finito, le diede la certezza che l’amica non avesse nessuna tresca con Edward. Da quel momento in poi non doveva fare altro, le venne in mente, che rifornirlo abbondantemente di soldi, e farlo divertire con delle ragazze carine. Lo sentiva tornare da lei, ne era certa. Nel corso di quel mese non respinse più i suoi timidi tentativi di riconciliazione, sebbene questi non si spingessero mai troppo lontano. In effetti, lui qualche modesto passo avanti lo stava facendo: le toccava una spalla, le sussurrava all’orecchio alcune battute sugli strani personaggi incontrati al club. Non erano tanto le sue facezie, ma quel sussurro a rappresentare un prezioso segnale di intimità…
Ma poi – bum! – più niente. Crollò tutto nel preciso momento in cui Florence posò la mano sul braccio di Edward, a sua volta appoggiato al vetro della teca con dentro il manoscritto della Protesta; lassù, in cima all’alta torre, con le persiane da dove entravano rivoli di luce. O forse finì quando Leonora colse lo sguardo con cui il marito aveva reagito all’occhiata di Florence. Quello sguardo lei lo conosceva.
Lo sapeva fin dal loro primo incontro, fin dall’istante in cui ci eravamo seduti a tavola per la cena; si avvide subito degli occhi dolci rivolti da Florence a Edward. Ma del resto l’aveva visto fare a così tante donne: a centinaia e centinaia ancora, negli scompartimenti dei treni e negli hotel, sulle navi da crociera e agli angoli della strada. Era addirittura giunta alla conclusione che le donne da cui riceveva quegli sguardi a suo marito non piacessero granché. All’epoca aveva sviluppato una casistica piuttosto attendibile dei fattori scatenanti e dei comportamenti metodici di Edward nelle sue avventure. Fino ad allora il tutto si era limitato, ne era convinta, alla breve passione per La Dolciquita, all’amore verace per Mrs. Basil e al corteggiamento platonico di Maisie Maidan. D’altro canto, disprezzava Florence al punto da non riuscire a contemplare la possibilità che gli risultasse affascinante. Inoltre, con Maisie gli aveva eretto intorno una specie di baluardo.
Ma intendeva comunque vigilare su Florence, e quest’ultima, d’altro canto, sapeva del pugno all’orecchio di Maisie. Per questo Leonora desiderava tantissimo far apparire la sua unione con Edward un’intesa perfetta. Ma poi più niente…
Scorse la fine di tutto proprio nello sguardo d’intesa con cui Edward si rivolse agli occhi blu e semichiusi di Florence. Quello sguardo tradiva le lunghe conversazioni che si erano già tenute fra i due e le confidenze già scambiate sulle loro simpatie e antipatie, sui loro caratteri, sulle opinioni riguardo al matrimonio. Capì allora il motivo per cui, passeggiando tutti e quattro insieme, lei si ritrovava puntualmente al mio fianco, mentre Edward e Florence restavano dieci passi indietro. Ritenne che non fossero andati oltre quegli scambi sulle simpatie e le antipatie, i caratteri e l’istituzione matrimoniale. Eppure, avendo osservato suo marito per tutta una vita, non le sfuggì la fine ineluttabile indicata da quella mano sulla mano e da quegli occhi. In queste cose Edward mostrava una certa serietà.
Qualsiasi tentativo di separare quei due, capiva bene, avrebbe solo fomentato la passione ormai irreversibile del marito. Fra gli aspetti più originali del carattere di Edward spiccava la convinzione che ho già descritto, in base alla quale la donna sedotta sviluppava su di lui un potere irrevocabile, destinato a durare tutta la vita. E quello sfiorarsi di mani, Leonora ne era consapevole, assegnava a Florence di diritto lo status, anch’esso irrevocabile, di donna sedotta. Leonora la odiava al punto da preferire una cameriera al suo posto. Molte cameriere, infatti, sono persone assai rispettabili.
Poi, all’improvviso, si ricordò della passione travolgente di Maisie Maidan per Edward e presagì che quanto era appena accaduto le avrebbe spezzato il cuore. E lei, Leonora, ne sarebbe stata responsabile. Per un attimo sembrò uscir di senno. Mi afferrò per il polso e mi trascinò giù per le scale, schivando i mormorii della Rittersaal, coi suoi alti pilastri affrescati e l’enorme focolare dipinto. Ma il senno non lo perse del tutto, mi pare di capire.
Avrebbe dovuto dirmi:
“Tua moglie è una sgualdrina e sarà l’amante di mio marito…”
Questo doveva fare. Ma persino in quel frangente di follia, la paura la trattenne dall’osare tanto. Era la paura che, se me lo avesse detto, Edward e Florence avrebbero tagliato la corda, portandole via per sempre ogni speranza di poter alla fin fine riconquistare suo marito. Nei miei confronti si comportò malissimo.
Del resto era un’anima tormentata, incline ad anteporre la propria chiesa agli interessi di un quacchero di Philadelphia. Comprensibile, e fra le due cose immagino sia più importante la Chiesa di Roma.
Una settimana dopo la morte di Maisie Maidan, seppe che Florence era divenuta l’amante di Edward. Attese fuori dalla porta di mia moglie e ne vide uscire Edward, il quale si limitò a grugnire. Leonora non disse nulla, ma non dubito sia stata una circostanza terribile per suo marito.
Sì, il logorio mentale cui Florence costrinse Leonora fu impressionante. Le distrusse la vita e spazzò via tutte le sue aspettative. In primo luogo la privò di ogni speranza: ormai, all’indomani di quanto successo – dopo quella tresca volgare con una donna volgare – un ritorno di Edward da lei era impensabile. La relazione con Mrs. Basil, l’unica fra le precedenti in grado di giustificare un eventuale rancore verso il marito, non riusciva nemmeno a definirla una vera relazione. Era stata una storia d’amore, sì, ma a modo suo un’avventura quasi innocente. Questa invece le sembrava un orrore, qualcosa di licenzioso e riprovevole. Perché lei detestava a morte Florence. E per giunta, non c’era modo di azzittirla…
Eccolo l’aspetto più terribile di tutta la faccenda: Florence, voglio dire, Florence e quella situazione tutta costrinsero Leonora ad abbandonare la sua nobile riservatezza. Apparentemente mia moglie non sapeva decidere se confessarsi con me o con la stessa Leonora. Di sicuro, di confessarsi sentiva l’urgenza. E alla fine optò per lei; se avesse scelto me, avrebbe dovuto raccontare un po’ troppe cose. O quanto meno, immagino ne avrei intuite un po’ troppe io, magari proprio riguardo alla malattia al cuore e al suo Jimmy. Dunque un giorno si recò da Leonora e cominciò a lanciarle allusioni su allusioni; la fece arrabbiare finché questa non perse le staffe e sbottò:
«Mi stai dicendo che sei l’amante di Edward? Puoi esserlo. Io con lui non ci faccio niente.»
Quell’episodio si rivelò una vera calamità per Leonora. Una volta aperto bocca non ebbe più modo di chiuderla. Ci provò, ma poi non le sembrò il caso. Siccome col marito non parlava più, trovava necessario mandargli dei messaggi attraverso Florence. Ad esempio, ci teneva a fargli sapere che, se solo io fossi venuto a conoscenza della loro relazione, lo avrebbe rovinato per bene. E per complicare ulteriormente il tutto, per l’occasione Edward si riscoprì davvero un po’ innamorato di sua moglie. Sapeva di averla trattata malissimo, mentre lei era...