Le guide del tramonto
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Le guide del tramonto

  1. 264 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Le guide del tramonto

Informazioni su questo libro

Fine del XX secolo: una razza aliena giunge sulla Terra. Gigantesche astronavi occupano i cieli del pianeta ma i Superni – così gli uomini chiamano i misteriosi visitatori che per decenni non si mostrano e limitano quanto più possibile i contatti – non hanno intenti bellicosi. Usano i loro straordinari poteri non per conquistare il nostro mondo, ma per imporre la fine di ogni ostilità. Tutte le risorse precedentemente destinate agli armamenti vengono così dirottate verso il progresso e inizia una vera Età dell'Oro. Un lungo periodo di pace e prosperità durante il quale però i Superni non consentono viaggi ed esplorazioni spaziali: «Le stelle non sono per l'uomo» avvertono. Solo Jan Rodricks, inquieto astrofisico, continua a chiedersi cosa ci sia oltre l'atmosfera e cerca un modo per aggirare il divieto. In tutta la narrazione fantascientifica di Arthur C. Clarke il tema di fondo è l'avventura della razza umana fra i misteriosi fondali dell'universo, l'enigma del nostro destino fra gli astri. Nelle Guide del tramonto, pubblicato originariamente nel 1953, particolarmente intensa e struggente risuona la nota metafisica, personificata da queste misteriose figure dall'aspetto di demoni giunte sulla Terra con un progetto più alto per l'umanità che non la mera sopravvivenza.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
Print ISBN
9788804664765
eBook ISBN
9788852075551
Parte terza

L’ULTIMA GENERAZIONE

15

«Guarda qui!» esplose George Greggson, lanciando il giornale verso Jean al di sopra del tavolo. Nonostante gli sforzi di lei per prenderlo al volo, il foglio cadde ad ali spiegate nel bel mezzo della loro colazione. Ripulitolo pazientemente della marmellata, Jean lesse il brano incriminato, facendo del suo meglio per dimostrare la sua disapprovazione. Non che fosse molto brava in questo, dato che anche troppo spesso era d’accordo con i critici. Di solito teneva per sé quelle opinioni eretiche, e non solo per spirito di pace e di armonia. George era dispostissimo ad accettare le sue lodi (o quelle di chiunque altro), ma appena Jean accennava a una minima critica a una sua opera, si vedeva infliggere una lezione massacrante sulla sua ignoranza estetica.
Lesse la critica due volte e infine rinunciò a capire. Era una critica del tutto favorevole, e lo disse.
«A quanto pare lo spettacolo è piaciuto. Che cosa c’è da brontolare?»
«Qui» ringhiò George, battendo il dito al centro della colonna. «Rileggi qui.»
«“Specialmente riposanti per gli occhi i delicati verdi pastello dello sfondo nella sequenza del balletto”» lesse Jean. «Ebbene?»
«Ma non erano verdi! Non so quanto tempo ho sciupato per arrivare a quella precisa sfumatura azzurrina! E che cosa succede? O qualche maledetto tecnico della cabina di controllo sconvolge il bilanciamento dei colori, o quel cretino d’un critico ha un televisore difettoso. A proposito, che colore sembrava sul nostro apparecchio?»
«Oh… non me lo ricordo» ammise Jean. «La cucciola ha cominciato a strillare proprio in quel momento, e sono dovuta correre di là a vedere che cos’era successo.»
«Capisco» disse George, tornando a ribollire in silenzio. Jean capì che un’altra esplosione poteva verificarsi da un momento all’altro. Quando giunse, però, fu piuttosto mite.
«Ho inventato una nuova definizione di televisione» riprese lui in un mormorio cupo. «È uno strumento per ostacolare i contatti fra l’artista e il suo pubblico.»
«E che cosa vorresti fare? Ritornare al teatro dal vivo?»
«Perché no? È esattamente quello che pensavo di fare. Ti ricordi della lettera che ho ricevuto da quelli di Nuova Atene? Mi hanno scritto ancora. Questa volta ho deciso di rispondere.»
«Davvero?» disse Jean, lievemente preoccupata. «Secondo me, sono una manica di svitati.»
«Be’, c’è un solo modo per scoprirlo. Ho intenzione di andarli a trovare tra una quindicina di giorni. Bisogna riconoscere che la loro propaganda è delle più equilibrate e convincenti. E ci sono uomini eccellenti tra loro.»
«Se speri che un giorno o l’altro io mi metta a cucinare su un fuoco di sterpi, o che mi presenti vestita di pelli, dovrai…»
«Non dire sciocchezze! Sono tutte storie. La colonia ha tutto quello che serve per vivere in modo civile. Il loro sistema esclude i fronzoli e le sovrastrutture inutili, ecco tutto. Del resto, sono almeno due anni che non vedo più il Pacifico. Sarà una bellissima gita per tutti e due.»
«Su questo sono d’accordo con te» disse Jean. «Ma non voglio che la cucciola e Junior crescano come due selvaggi della Polinesia.»
«Non cresceranno come due selvaggi. Te lo prometto.»
Aveva ragione, ma non nel senso che intendeva lui.
«Come avrete osservato arrivando via aria» disse l’ometto sull’altro lato della veranda, «la colonia consiste di due isole, collegate da una striscia di terra su cui passa la strada. Questa è Atene, l’altra l’abbiamo battezzata Sparta. È un’isola selvaggia, rocciosa, un luogo ideale per praticare lo sport e ogni specie di esercizi fisici.» Il suo sguardo si soffermò momentaneamente sul girovita del visitatore, e George si mosse a disagio sulla sua poltrona di vimini. «Sparta è un vulcano spento, tra l’altro. Almeno, i geologi dicono che sia spento.
«Ma, per tornare ad Atene, scopo della Colonia è fondare un gruppo culturale, stabile e indipendente, con le sue tradizioni artistiche. Sarà meglio dire subito che molte ricerche sono state effettuate prima che noi intraprendessimo questa iniziativa. Si tratta in realtà di ingegneria sociale applicata, che si basa su una matematica così complessa che non fingerò di averla capita. So però che i sociologi matematici hanno calcolato quanto dovrebbe essere numerosa la Colonia, quanti tipi di persone dovrebbe contenere, e soprattutto quale dovrebbe essere la sua costituzione per una stabilità di lunga durata.
«Siamo diretti da un consiglio di otto direttori, che rappresentano produzione, energia, ingegneria sociale, arte, economia, scienza, sport e filosofia. Non c’è un presidente stabile: la carica è ricoperta a turno da ognuno dei direttori per un anno alla volta.
«La nostra popolazione attuale è di poco superiore alle cinquantamila unità, cifra inferiore all’optimum desiderato. Ecco perché siamo sempre alla ricerca di reclute. E, naturalmente, c’è un minimo di dispersione: non siamo del tutto autosufficienti in alcune delle capacità più specializzate.
«Qui, su quest’isola, ci impegniamo per salvare qualche cosa dell’indipendenza dell’uomo: le sue tradizioni artistiche. Non abbiamo alcuna ostilità nei riguardi dei Superni, vogliamo soltanto essere lasciati in pace e proseguire per la nostra strada. Quando hanno cancellato le antiche nazioni e il modo di vita che l’uomo conosceva dagli inizi della storia, hanno spazzato via, insieme con le cattive, molte cose buone. Il mondo ora è in pace, senza caratteristiche proprie, culturalmente morto. Niente di nuovo è stato creato dall’avvento dei Superni. La ragione è evidente. Non è rimasto niente per cui valga la pena di lottare, e ci sono troppi svaghi, distrazioni e divertimenti. Vi rendete conto che ogni giorno qualcosa come cinquecento ore di programmi radio e tv si riversano su di noi dai vari canali? Se smetteste di dormire e non faceste altro, sareste in grado di seguire meno di un ventesimo dell’intrattenimento a vostra disposizione con un tocco di telecomando! Ci credo che tutti si trasformano pian piano in spugne ambulanti, che assorbono senza mai creare. Sapevate che in media ogni persona guarda tre ore di televisione al giorno? Presto la gente non avrà più una vita propria, tenersi in pari con le mille serie tv per famiglie sarà un lavoro a tempo pieno!
«Qui ad Atene lo svago ha le sue giuste proporzioni. Inoltre, è una cosa viva, non prefabbricata. In una comunità delle nostre dimensioni è possibile avere una partecipazione quasi completa del pubblico, con tutto ciò che questo implica per attori e artisti. A proposito, abbiamo anche un’orchestra sinfonica di eccezionale valore, probabilmente tra le cinque migliori al mondo. Ma non voglio che mi prendiate in parola. Di solito i candidati alla cittadinanza della Colonia si fermano per qualche giorno ad assorbire l’atmosfera del posto. Se decidono di unirsi a noi, li sottoponiamo al fuoco di sbarramento degli esami psicologici, che rappresentano la nostra vera linea di difesa principale. Un terzo circa dei candidati di solito viene respinto, quasi sempre per motivi che non hanno riflessi su di loro e che, fuori di qui, non avrebbero alcuna importanza. Coloro che superano la prova, di solito tornano a casa giusto il tempo per sistemare i loro affari, poi tornano qui. Talvolta cambiano idea in questa fase, ma avviene molto di rado, e quasi sempre per motivi personali indipendenti dalla loro volontà. I nostri esami sono praticamente sicuri al cento per cento adesso: coloro che li superano sono le persone che proprio desiderano venire tra noi.»
«E se qualcuno cambiasse idea più tardi?» domandò Jean ansiosa.
«Sono liberi di andarsene. Non esiste alcuna difficoltà. Si è già verificato un paio di volte.»
Seguì un lungo silenzio. Jean guardò George, che si accarezzava pensoso le folte basette, tornate in gran voga negli ambienti artistici. Se non c’era bisogno di tagliarsi i ponti alle spalle, lei non si preoccupava più del necessario. La Colonia sembrava un posto interessante, e certamente non pareva il rifugio di svitati che aveva temuto. E i ragazzi ci si sarebbero trovati benissimo. Questa, in definitiva, era la cosa che contava di più.
Si trasferirono a Nuova Atene sei settimane dopo. La casa a un solo piano era piccola, ma del tutto adeguata a una famiglia che non aveva intenzione di allargarsi oltre i quattro componenti. Tutti i congegni fondamentali per risparmiare fatiche casalinghe inutili erano in bella vista: almeno, come Jean dovette riconoscere, non c’era pericolo di ripiombare nelle tenebre medievali delle sfacchinate domestiche. Ma sconvolgeva un po’ scoprire che c’era una cucina. In una comunità così numerosa, normalmente ci si sarebbe aspettati di poter telefonare alla centrale ristoranti, attendere cinque minuti e ricevere qualunque portata si fosse scelta per pranzo o cena. L’autonomia individuale era una gran bella invenzione, ma questo, pensò Jean, era uno spingere le cose un po’ troppo in là. Si chiese cupa se per caso non le sarebbe anche toccato produrre gli indumenti di tutta la famiglia, oltre che preparare i pasti. Ma non si vedeva un arcolaio tra la lavapiatti automatica e lo schermo del radar, per cui la situazione non si annunciava poi tanto terribile…
Certo, il resto della casa sembrava ancora molto essenziale e spoglio. Erano i suoi primi occupanti, quindi sarebbe passato qualche tempo prima che tutta questa asettica novità iniziasse a sembrare una vera casa umana con il suo calore. Di sicuro i bambini avrebbero velocizzato il processo per bene. Nel bagno c’era già (benché Jean non lo sapesse ancora) una sfortunata vittima di una espirazione di Jeffrey, risultato dell’ignoranza del giovanotto circa la differenza fondamentale tra acqua dolce e salata.
Jean si avvicinò alla finestra ancora senza tendine e lasciò errare lo sguardo sulla Colonia. Era un posto stupendo, non c’era dubbio, la casa sorgeva sulle pendici occidentali della bassa montagna che dominava, senza rivali, l’isola di Atene. Due chilometri a nord si scorgeva una lingua di terra, una lama sottile lungo le acque, che portava a Sparta. Quell’isola rocciosa, col suo tetro cono vulcanico, faceva un tale contrasto con la serena Nuova Atene da metterle paura, a volte. Jean si chiese come facessero gli scienziati a dirsi tanto sicuri che il vulcano non si sarebbe risvegliato per seppellirli tutti.
Una figura vacillante che risaliva il pendio tenendosi attentamente all’ombra delle palme, in aperta polemica col codice della strada, catturò il suo sguardo. George stava tornando dalla sua prima conferenza. Basta sognare a occhi aperti, era ora di darsi da fare in casa.
Un rumore metallico annunciò l’arrivo della bicicletta di George. Jean si chiese quanto tempo sarebbe occorso a entrambi per imparare a usarle. Questo era un altro aspetto inatteso della vita sull’isola. Le auto private non erano permesse, e in effetti non erano necessarie, dato che la massima distanza che si potesse percorrere in linea retta era meno di quindici chilometri. C’erano numerosi veicoli di servizio pubblico, di proprietà della Colonia: autocarri, ambulanze, autopompe, tutti tenuti, salvo casi eccezionali, a non superare i cinquanta chilometri all’ora. Di conseguenza, gli abitanti di Atene facevano molto moto, disponevano di strade non congestionate dal traffico, e pertanto non conoscevano gli incidenti stradali.
George diede alla moglie un bacio frettoloso e si lasciò cadere con un sospiro di sollievo sulla sedia più vicina.
«Uff!» fece, asciugandosi la fronte. «Mi sono lasciato sorpassare da tutti sulla salita della collina, quindi è probabile che col tempo migliori perfino io. Secondo me ho già perso almeno dieci chili.»
«Com’è andata la giornata?» domandò Jean da brava moglie. Si augurava che George non fosse così stanco da non poterla aiutare a disfare le valigie.
«Molto stimolante. Non riesco a ricordarmi nemmeno la metà della gente che ho conosciuto, ovviamente, ma sembrano tutti molto cordiali e gentili. E il teatro è proprio buono, esattamente come me lo aspettavo. Cominceremo a lavorare la settimana prossima con Torniamo a Matusalemme di Shaw. Mi è stata affidata tutta la scenografia. Sarà un bel cambiamento non avere più tra i piedi una mezza dozzina di persone che mi dicono tutto quello che non posso fare. Sì, credo proprio che finiremo per trovarci bene qui.»
«Nonostante le biciclette?»
George trovò energia sufficiente per un sorriso divertito.
«Sì» rispose. «Tra un paio di settimane non mi accorgerò più nemmeno di questa nostra insignificante collinetta.»
Non ci credeva fino in fondo, e invece fu proprio così. Ma a Jean ci volle almeno un mese per smettere di rimpiangere l’automobile e scoprire tutte le cose che si possono fare con una cucina propria.
Nuova Atene non era nata spontaneamente da un primo agglomerato come la città di cui portava il nome: tutto, nella Colonia, era stato progettato, voluto e realizzato, risultato degli anni di studio di un gruppo di uomini capaci. Aveva avuto inizio come una cospirazione aperta contro i Superni, una sfida implicita, se non alla loro potenza, alla loro politica. Dapprima gli esponenti della Colonia erano stati quasi certi che Karellen li avrebbe ostacolati apertamente, invece il Supercontrollore non aveva fatto niente, assolutamente niente. Cosa che non era parsa rassicurante come ci si sarebbe potuti aspettare. Karellen aveva a disposizione tutto il tempo che voleva: magari stava preparando un contrattacco molto ritardato. Oppure era così certo del fallimento del progetto, da non avere bisogno di intraprendere niente contro la Colonia.
Molti avevano predetto che la Colonia sarebbe stata un fallimento. Eppure anche nel passato, molto prima che si raggiungesse qualunque vera conoscenza delle dinamiche sociali, erano esistite parecchie comunità con un loro specifico scopo religioso o filosofico. Era vero che la percentuale di simili comunità andate in rovina era altissima. Qualcuna però era sopravvissuta. E le fondamenta di Nuova Atene erano sicure grazie alla scienza moderna.
I motivi per la scelta di un’isola come sede della comunità erano numerosi. I più importanti erano psicologici. In un’epoca in cui le distanze erano abolite dalla facilità dei trasporti aerei, l’oceano non era più una barriera materiale, ma serviva ancora a dare una sensazione di isolamento. Inoltre, le dimensioni limitate di un’isola rendevano impossibile accettare nella Colonia più di un certo numero di persone. La popolazione massima era stata fissata in centomila abitanti, di più avrebbe significato la perdita dei vantaggi possibili invece a una piccola comunità affiatata. Uno degli scopi dei fondatori di Nuova Atene era che ogni membro della Colonia conoscesse tutti gli altri cittadini che avevano i suoi stessi interessi, e possibilmente l’uno o il due per cento anche degli altri.
L’uomo che aveva voluto Nuova Atene era un ebreo. E, come Mosè, non aveva vissuto tanto da mettere piede nella sua terra promessa, perché la Colonia era stata fondata tre anni ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prologo
  4. Parte prima. LA TERRA E I SUPERNI
  5. Parte seconda. L’ETÀ DELL’ORO
  6. Parte terza. L’ULTIMA GENERAZIONE
  7. Copyright