La strada del ritorno è sempre più corta
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La strada del ritorno è sempre più corta

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La strada del ritorno è sempre più corta

Informazioni su questo libro

L'estate in cui Vera ha cinque anni è una girandola di avventure. Vera è sfacciata e sognatrice: gioca a nascondino con l'amico immaginario Ringo Starr e da grande vuole fare la camionista, come il nonno, per scoprire dove finiscono tutte le strade del mondo. Oltre ai capelli rossi - della stessa tinta con cui i bambini colorano i cuori -, ha ereditato dal papà libraio la passione per le storie: riempie pile di fogli di una scrittura immaginaria per raccontare favole di calzini parlanti e piante grasse dimagrite. Quella dei suoi cinque anni è anche l'ultima estate che trascorre insieme al padre Giordano.

Oggi Vera ha trent'anni, ed è una celebrità della tv: inventa oroscopi irriverenti e graffianti, specie per i nati dello Scorpione, segno zodiacale dell'ex fidanzato che l'ha appena lasciata, mettendola di colpo davanti a tutte le sue fragilità. Perché Vera è cresciuta senza un genitore, ed è come se fosse a metà: ha avuto in dotazione un solo braccio e un solo orecchio, una sola gamba e un solo occhio, e ha riempito tutto quel vuoto di sarcasmo e finta imperturbabilità.

Di suo padre non sa nulla: la madre Lia, credendo di proteggerla e di proteggersi, ha preferito dimenticare. Ma quando riceve un centinaio di pagine scritte da Giordano durante gli ultimi mesi di vita e che parlano proprio di lei, dell'eccentrica Lia che si è ribellata alle leggi ancestrali della provincialissima Campobasso, e della nonna Santa, che ha consacrato la propria vita ai figli, Vera è investita da una sfida: il libro è senza finale. Lei adora gli inizi e odia la responsabilità della fine, eppure è la sola che potrebbe completarlo, è un'occasione unica per incontrare tra le pagine quel padre mancato, e per capire cosa accadde quell'estate in cui tutto è cambiato.

La strada del ritorno è sempre più corta è un romanzo pieno di luce e di ironia, che racconta l'amore, la perdita e la trasformazione. La giornalista Valentina Farinaccio, qui al suo folgorante esordio narrativo, racconta con una lingua cangiante come attraversare il dolore sia l'unico modo per uscire salvi e interi, dall'altra parte. Ma questa storia è anche una dichiarazione d'amore per i libri e le eredità che vi passano attraverso, un atto di fiducia nell'eternità della letteratura.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
Print ISBN
9788804661740
eBook ISBN
9788852075377

SECONDA PARTE

Il tempo moriva e lui restava.
LUIGI PIRANDELLO

Mercoledì

Vera, del segno dei Pesci

Diceva, Ennio Flaiano, che “le donne scrivono per vendicarsi”. La vostra vita va così, rarefatti, sfuggenti, incompiuti amici dei Pesci: scrivete, se siete donne, e fate in modo che non si scriva di voi, se siete uomini. Perché le parole sono sassi, pensate, come in quella canzone bella che ogni volta fate partire da capo, e voi le affilate e adoperate, oppure le schivate, abili, a seconda dell’occorrenza. Adesso, però, gli astri vi ordinano di rimettere il cappuccio alla penna, di chiudere Word, spegnere il cellulare, ficcare in tasca le vostre mani nevrotiche e andare a zonzo nella vita vera. Provate ad ascoltare soltanto, stando muti per una volta, quel che il futuro, di incantevole, ha da raccontarvi.
Mi chiama la mattina dopo, mia madre, come se già lo sapesse. Che sono stata sveglia tutta la notte. Che ho pianto tutta la notte. Che questo mezzo libro che mio padre ha scritto non mi è servito a niente, soltanto a rimestare.
Dice che una sua amica attrice le ha lasciato le chiavi della casa al mare. Quella in Puglia. Che partiamo per Torre Mozza nel primo pomeriggio, di farmi trovare pronta. Uno squillo e devo scendere.
Lia conosce due modi soltanto:
quello direttivo, quando intravede la fragilità altrui;
quello passivo, quando è stanca di combattere.
La cosa assurda è che squilla davvero e io scendo davvero. Con un borsone che mi cola dalla spalla e il look sciatto di chi fa controvoglia.
Non sopporto il modo in cui mia madre diventa dolce, lo fa sempre quando io, invece, mi sento crudele. Sta acchittata come una vetrina del centro. Mi dice tutta euforica che allora si parte e io mi do una settimana di tempo, massimo due, per chiudere questa faccenda inutile che non serve a nessuno, inclusa me.
Da Roma a Torre Mozza ci sono cinque ore di viaggio. Mia madre guida come un uomo. Frena all’ultimo momento, bestemmia contro lo specchietto retrovisore, sorpassa dove non può e dice mortacci tua a chiunque. Parla un italiano perfetto, Lia, nessun accento, nessun dialetto, a eccezione di qualche souvenir linguistico preso qua e là. Di Roma ha scelto il mortacci tua, di Campobasso si è tenuta il solo tic di chiedere tutt’a posto? invece di come stai.
Per il resto silenzio. Stiamo cinque ore così. Io non voglio parlare per prima e lei non si cura del fatto che ci sia tutto quel tacere. Infila un cd, canta Battisti, mette il radiogiornale, ricanta Battisti. Parla di lavoro al telefono, non usa auricolari, controlla WhatsApp, scrive su WhatsApp, registra dei messaggi vocali su WhatsApp, ma quelli che le arrivano, se ne arrivano, non li ascolta, non davanti a me. Prende un fazzoletto dalla borsa che sta sul sedile di dietro. Guida per un po’ senza mani mentre si soffia il naso ed è perfettamente autonoma, a suo agio, completa. Io guardo fuori, solo questo faccio. E se guardo un poco pure lei è per disapprovarla: perché non usa l’auricolare, scrive messaggi mentre guida, e per prendere un fazzoletto a momenti ci schiantiamo contro un furgone, e Battisti poi mi ricorda Fabrizio, che mi cantava Una giornata uggiosa, mentre guidava con una mano sul volante e l’altra sulla mia gamba. Battisti mi ricorda che con lui ero felice, mentre ora no.
Arriviamo alla casa sul mare che il sole sta quasi per mollare. Si è fatto arancione, stanco di tutto quel massacro stagionale. Penso che l’unica persona che vorrei con me, in questo momento, non c’è.
La casa è minuscola. Mi domando che senso abbia avere tutti i soldi che ha l’amica di mia madre se poi si spendono così male. Tanto male che dormiremo insieme, nello stesso letto matrimoniale. Scendiamo a comprare qualcosa, il negoziante mi riconosce e mi dice che sono la benvenuta in paese. Io sono scontrosa, come mio solito. Dicono che me la tiro, nell’ambiente, e hanno ragione.
Saliamo in casa, mamma cucina veloce una pasta con le zucchine. Mangiamo. Preparo un caffè. Mi dice che lei non lo beve.
Penso alla compostezza, ancora una volta.
Apro le danze.
«Era come immaginavo.»
«Cosa?»
«Il manoscritto.»
«Che cosa era come immaginavi?»
«Che non serve a niente.»
«Aspetta: cento pagine scritte da un padre che ha passato gli ultimi giorni di vita a raccontare la sua vita e tu non ti scomponi? Ma da dove sei uscita, figlia mia? Da un blocco di ghiaccio? Come fai a essere così cinica e... stronza?»
Mi fermo a pensare. Questa volta penso davvero. Perché se sono così incazzata un motivo ci deve essere. E mi carico, mi carico, mi carico, mi carico, mi carico.
«Mio padre non parla di sé, parla di te! Non racconta la sua vita, ma quella con te! E scrive di nonna Santa, e di me, ma non di lui! Ma come fai a non capire? Mi fai diventare matta. Questo cazzo di libro non mi serve a niente! Non avevo un padre prima e non ho un padre dopo. E ora io lo finisco, va bene. Faccio come mi ha chiesto di fare Gesualdo, ma non ho capito che cazzo voglia dire finire un libro a cui non manca un bel niente. Ok, papà smette di scrivere quando immagina di perdere la vista, di non vedere più la tua faccia. Io intanto sono stata spedita in viaggio con nonno e, scusami se mi permetto, ma io sul tir di nonno non ci sono mai salita, ed è evidente che fra poco Giordano Lorenzini morirà. Ecco fatto. Poi racconteremo la tua vita senza di lui, la vita di nonna Santa senza di lui, la mia vita senza di lui che però, e scusami se mi permetto ancora, di lui non ricordo un emerito cazzo, quindi facciamo che la mia parte la possiamo saltare, e ce ne torneremo a casa con un libro melenso che parla di due donne che hanno perso l’uomo della loro vita. Evviva, se ne sentiva un gran bisogno!»
«TRE donne.»
«DUE, mamma. Due! Io avevo cinque anni. Non ci ho capito niente. Mi ricordo solo che stavo sempre dai nonni e che poi un bel giorno mi hai preso e mi hai portato a Torino dicendomi che quella era la nostra nuova città. Da Campobasso a Torino, cristosanto!»
Ho urlato. Sono diventata rossa. Mi si è gonfiata la gola. Ho sputacchiato.
Ora torniamo zitte.
Io mi alzo pesantemente. Prendo la mia agenda. La sbatto sul tavolo e comincio.
Appunti per continuare il libro
Cazzate belle e buone che ha scritto mio padre:
- Giordano Lorenzini non era uno scrittore
- lavorava in una libreria, ma non era uno scrittore
- io non sono mai partita con mio nonno
- mio padre non l’ho mai salutato come si deve
Mia madre intanto si è appollaiata sul divano che sta alle mie spalle. La voce che mi arriva ora sembra senza corpo. La ascolto così, senza voltarmi.
«Le cose non sono mai come sembrano.»
Stacco le mani dall’agenda, appendo le braccia nel vuoto, e mi appoggio bene con la schiena alla sedia. Aspetto che continui. Ma ancora senza voltarmi.
«Tu non sai niente, Vera. E sai perché non sai niente? Perché quello che sai te l’ho raccontato io. Dovresti fare un figlio, prima o poi, solo allora potresti capire. Le madri non sono mai solo madri. Sono attrici, scrittrici, sceneggiatrici, revisioniste, cantastorie, cabarettiste e scenografe bravissime: sanno trasformare un cesso in una SPA. Io sono stanca, ora. Vado a letto. Fai piano quando vieni che se mi sveglio nelle prime tre ore di sonno non mi riaddormento più, lo sai.
Domande da fare a mamma per il libro:
- Papà ti ha tradito davvero?
- Perché siete rimasti a vivere a Campobasso?
- Che vuol dire che le cose non sono mai come sembrano?

Giovedì

Lia, del segno del Leone

Avete la pelle dura, la stazza, la grinta, il ruggito e pure l’eleganza dorata di chi nasce leader, e non deve fare altri sforzi. Sarebbe una vita esemplare, la vostra, se non fosse che siete un mastodontico, abbagliante, amarissimo spreco di talento e di energie. Siete la personificazione di quel proverbio che dice che fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Siete una vincita milionaria mai riscossa, siete Miles Davis che dimentica a casa la tromba, siete Marilyn prima di optare per il biondo e siete un romanzo bellissimo, che non avete mai il tempo di scrivere. E dunque, fausti Leoni, rintracciate nello specchio, prima che gli anni vi appassiscano per sempre, i desideri di quando eravate piccoli. Togliete la polvere da quel cuore coraggioso che avete e andate da soli nella foresta a conquistare, minuto per minuto, il tempo che fin qui avete perso. Le stelle mi dicono che appositamente vi cadranno davanti: dovrete solo aspettare, a quel punto, che ogni desiderio si esaudisca.
Mi sveglio che mia madre non c’è.
Faccio delle cose lentissime, come se dovessi allungare le distanze fra me e quel che sarà.
Preparo il caffè.
Verso il caffè.
Bevo il caffè.
Digerisco il caffè.
E lascio spento il cellulare, ché non voglio parlare, non voglio spiegare, non voglio fotografare, non voglio postare, non voglio ricevere mail. Scendo in spiaggia con questa specie di camicia da notte che ho indosso. Perché se ci sono dei soldi spesi bene, ora lo capisco, sono quelli per una casa al mare piccolissima, con una sola stanza da letto, ma con l’accesso privato al mare. Così non ti devi lavare, spalmare, preparare. Devi solo fare pochi passi e nuotare.
Mia madre mi bracca appena infilo il primo piede nella sabbia. Mi chiede se ho mangiato qualcosa, se mi sono lavata la faccia, se voglio del pesce per pranzo, se ho sentito nonna Clelia, se dopo vogliamo andare a fare un giro a Santa Maria di Leuca.
Rispondo facile: no, no, no, no e no.
Poi mi siedo a riva, da sola, e, fatto un rapido piano di lavoro, la consulto con una calma diabolica. È evidente che mi aspetto che faccia come le dirò:
«Vorrei chiudere questa cosa del libro oggi pomeriggio. Cioè: tu mi racconti la storia della morte, oggi pomeriggio, e io prendo appunti, anche se secondo me posso tenere benissimo tutto a mente, e poi in un paio di giorni trascrivo. Mettici una settimana per rileggere e correggere... dài, io dico che in quindici giorni sarà tutto sistemato. Ho pure degli amici che lavorano in editoria a cui proporre il libro, così siete tutti contenti.»
«Mi sembra un’ottima idea. Tu quando riprendi la trasmissione?»
«Registro le nuove puntate fra venti giorni.»
«Bene. Io però ora me ne vado a fare una passeggiata. Pranzo fuori, c’è un baretto sulla spiaggia a due o tre stabilimenti da qui. Tu arrangiati come vuoi o raggiungimi. Mangio presto, però, che ho fatto colazione alle sei.»
Mia madre si avvia col passo della donna adulta. C’è una differenza di camminata, fra me e lei. Lei sa sempre dove andare, io mai. Lei guarda dritto, io porto gli occhi bassi, tanto che la gente pensa sia per non farmi riconoscere mentre è solo per paura di guardare.
Faccio così da quando sono nata: evito bene le buche, ma mi perdo tutto quello che di bello ho di fronte.
Torno verso casa. Entro, mi faccio un altro caffè. Fabrizio diceva che ne bevevo troppi, io gli rispondevo che non mi doveva scocciare, che mi rilassava prepararlo, il caffè. Poi gli davo un bacio colpevole e gli chiedevo se ne voleva un po’, ma lui se ne andava nell’altra stanza a suonare, ripetendo a voce alta: «Quello è veleno!».
Lascio quasi tutto nella tazzina, ora, dopo appena un sorso. Mi risuona la voce di Fabrizio nella testa: ve-le-no! E svuoto quel che resta nel lavandino. Svuoto anche me, da quel ricordo. Che uno si dice addio, in un giorno d’ottobre che pare estate, e poi passa dei mesi lunghissimi a fare i conti con tutto quello che dell’altro ha imparato. Poi rovisto nel borsone, recupero il manoscritto di mio padre.
Cerco di trovare la forza di dimenticare l’uomo che amo, leggendo meglio il modo in cui Giordano e Lia si amarono.
Quante volte ci si lascia, pur restando insieme? Quante volte si ricomincia, pur essendosi lasciati? E per quanto ci si aspetta?
Quanto è bella Lia, scritta da Giordano.
Provo un senso di impagabile meraviglia, all’idea di essere nata da quei due. Ma mio padre aveva...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La strada del ritorno è sempre più corta
  4. PRIMA PARTE
  5. SECONDA PARTE
  6. Ringraziamenti
  7. Copyright