Poterti parlare ancora
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Poterti parlare ancora

Messaggi di speranza dall¿Aldilà

  1. 132 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Poterti parlare ancora

Messaggi di speranza dall¿Aldilà

Informazioni su questo libro

Esiste una vita dopo la morte? Potremo mai rivedere i nostri cari, riabbracciare le persone che abbiamo amato?

Da più di vent'anni Ginella Tabacco, in seguito a un grave lutto personale, ha scoperto di possedere particolari facoltà medianiche che le consentono di entrare in contatto con l'Aldilà. Di ricevere messaggi da chi sta "dall'altra parte".

Dopo il successo di Con te sempre accanto, Ginella ha preso di nuovo in mano "carta, penna e cuore" per offrire un messaggio di speranza e consolazione a tutte le persone che soffrono il distacco e il dolore del lutto.

Con una fiducia tenace e contagiosa, perché dettata dal cuore, Ginella Tabacco ci garantisce che tutta questa tristezza è ben comprensibile, ma i nostri cari ci supplicano di non nutrire eccessivi rimpianti, né rimproveri; ci assicurano che il bello vissuto insieme rimane. Il resto va allontanato: i rimorsi, la desolazione emotiva, il pensiero troppo frequente alla malattia sono "pesi" di cui ci dobbiamo liberare.

Con delicatezza e pudore, e tramite esempi concreti tratti dalla sua esperienza, Ginella Tabacco invita tutti coloro che si sentono vinti dalla disperazione a non abbandonarsi a un presente e a un futuro di solitudine. Li convince a ritrovare se stessi, a far pace con la Morte e con Dio, a recuperare la Speranza, a credere che esiste una dimensione nella quale i nostri cari defunti continuano a vivere.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804643869
eBook ISBN
9788852066092

Medianità

La medianità è un’occasione in cui Dio manifesta la sua tenerezza.
Molte persone ritengono che la medianità sia un dono ereditario, altri sostengono che sia una facoltà latente in ognuno e che, per qualche motivo, una grande gioia o un grande dolore, a un tratto “esploda” e porti l’interessato a trovarsi nelle condizioni di mettersi in contatto con l’Oltre.
Francamente non ho alcuna certezza in merito, sono però sicura che chi “scopre” questa facoltà dovrebbe usarla con cautela, con prudenza, con amore.
Si tratta davvero di un dono ereditario? Non sono in grado di pronunciarmi in merito. So tuttavia che per molte persone quella della medianità è stata un’esperienza assolutamente positiva, rassicurante e consolatoria. Ne ho avuto conferma moltissime volte mediante scritti, mail, telefonate di tanta gente che ha visto progressivamente cambiare la propria vita.
Riguardo alla mia medianità, trovo utile raccontare un fatto a tal punto straordinario da non averlo citato nel mio primo libro per il timore di perdere la credibilità e la fiducia acquisite attraverso gli anni.
Ora mi sono decisa a raccontarlo alle tante persone che hanno avuto occasione di conoscermi e che hanno creduto alla serietà con cui parlo delle mie esperienze.
La vicenda riguarda la mia bisnonna materna, che non ho mai conosciuto, ma di cui ho sentito spesso parlare dalle sue figlie, le mie prozie, e dal figlio, il mio nonno materno. Essendo loro tutte persone serie e credibili, dedite a fare del bene e per me da sempre esempio di rettitudine e di onestà, anche intellettuale, ho ritenuto giusto credere al loro racconto.
I miei bisnonni sono nati a metà del 1800; lei, Luigia, era casalinga, abilissima ricamatrice; usava in maniera veramente magistrale l’uncinetto, con il quale realizzò tende, copriletti e tovaglie. Era, quella, l’occupazione di molte donne della media borghesia dell’epoca. Alcuni di questi “capolavori” li conservo ancora in casa mia, altri si trovano in quelle dei miei fratelli.
Lui, Benedetto Teobaldo, fu tra gli ideatori della galleria elicoidale tra l’Italia e la Francia in Valle Vermenagna. Ricordava quando con il megafono avvisava la popolazione dell’imminente scoppio delle mine. In quegli anni, sia Benedetto sia Luigia abitavano a Limone Piemonte, proprio in Valle Vermenagna.
La mia bisnonna aveva conosciuto Benedetto, persona molto stimata e che lei stessa stimava e amava; lui l’aveva chiesta in sposa. Però... c’era un però: quell’uomo era vedovo con quattro figli.
Erano proprio questi figli a renderla esitante e preoccupata. Arrivò il giorno importante (all’epoca era così) della presentazione ufficiale della fidanzata alla famiglia. Quel giorno lei si stava recando a casa del promesso sposo, quando, per le scale, si imbatté in una signora che non conosceva e che la salutò con cordialità. Le disse poi, senza essere interpellata: “Sposi pure con tranquillità il signor Teobaldo, perché è un brav’uomo che saprà amarla e darà un’impronta importante alla sua vita... nonostante i quattro figli”.
La mia bisnonna, come è facile immaginare, rimase sbalordita da queste parole e, prima che potesse riprendersi dallo stupore, la signora non c’era più. Forse aveva già guadagnato l’uscita o... chissà.
Comprensibilmente turbata, raggiunse la porta della casa in cui era attesa. Fu fatta accomodare in salotto.
Guardandosi intorno, alle pareti, tra vari ritratti di uomini e donne, verosimilmente antenati della famiglia, ne vide uno che le fece gelare il sangue: sembrava proprio quello della signora incrociata poco prima per le scale. Poi ci fu l’incontro e tutto andò bene. Prima di congedarsi, lei chiese al fidanzato chi fosse la donna ritratta nel quadro e la risposta fu: “È la mia prima moglie”. Dopo quell’incontro, ogni indugio fu rotto e, a distanza di poco tempo, venne celebrato il matrimonio.
Capisco bene i dubbi e le perplessità che si possono avvertire di fronte a fatti all’apparenza così inverosimili e inconsueti. Molti potrebbero considerarli racconti di pura fantasia.
Una curiosità: nacquero altri quattro figli. Una delle figlie ereditò dalla mamma un vero e proprio “sesto senso”, che portava entrambe ad avvertire la morte di persone a loro care poche ore prima che l’evento si manifestasse. La mia bisnonna, una sera si era sentita “chiamare” distintamente dal figlio che abitava a Roma, mentre lei viveva in Piemonte. Il fatto la impressionò, proprio perché aveva sperimentato altre volte il significato di questi “avvertimenti”. Il giorno successivo giunse la triste notizia del decesso del figlio.
Fatti del genere si ripeterono altre volte.
La medianità è ereditaria? Può darsi!
I sogni possono essere segni di una medianità latente?
Anche a questa domanda non so dare una risposta precisa. Mi limito perciò a raccontare due episodi, credo significativi.
Avevo otto anni e una notte sognai una carrozza trainata da due cavalli bianchi. Io e mio nonno eravamo fermi su un marciapiede... la carrozza si fermò proprio davanti a noi. Non ho mai conosciuto la nonna paterna, ma l’avevo vista più volte in fotografia con gli abiti lunghi che usavano allora e con collettini di pizzo che mi facevano fantasticare.
Si aprì la porticina della carrozza, la nonna si sporse, tese la mano al marito e lo fece salire. Anch’io avrei voluto seguirlo, ma lei, sorridente, con un gesto affettuoso mi fece capire che non potevo entrare.
Alcuni giorni dopo, mio nonno, già molto anziano ma ancora in buona salute, si ammalò e in pochi giorni si spense.
Quel mio sogno fu forse un presagio?
In tempi più recenti, mentre ero seduta in poltrona e sonnecchiavo, come al solito, davanti al televisore, mi successe di svegliarmi di soprassalto, dicendo con un certo turbamento: “Gianni ha avuto un incidente”. Soltanto due ore dopo, mia madre e mia sorella, che erano uscite in auto con mio cognato Gianni, rientrarono e mi confermarono l’incidente: auto gravemente danneggiata. Loro, per fortuna, illesi.
Questi sogni e altri fatti simili successi prima che emergessero le mie “doti” medianiche potrebbero essere considerati i presupposti di tali facoltà? Forse sì.
Nel mio precedente libro ho avuto modo di parlare del lutto che mi ha colpito ventidue anni fa, la morte improvvisa del mio compagno Giorgio.
Lo avevo conosciuto a teatro con un gruppo di amici; non avevo provato alcun trasporto anche se lui, invece, quella sera mi trattò subito con galanteria e gentilezza.
Quando lo incontrai, facevo ancora l’insegnante di scuola media, il mio lavoro, la mia passione di tanti anni.
Ho sempre amato il mio mestiere e i miei alunni. Con alcuni di loro, anche con quelli più terribili e difficili da gestire e nonostante il tempo trascorso, ho mantenuto un rapporto di vera amicizia e di affetto. Oltre che insegnante, sono la mamma di due brave figlie che mi hanno regalato la gioia di quattro nipoti.
L’unico neo, che ha segnato una parte significativa della mia esistenza, un matrimonio mal riuscito, pieno di sofferenza e conclusosi con un doloroso divorzio e un nuovo matrimonio da parte di mio marito.
La solitudine, già tante volte sperimentata, da quel momento mi avvolse, quasi mi stordì, ma era necessario andare avanti, soprattutto per le mie figlie.
Dopo parecchi anni, all’orizzonte ecco profilarsi il cambiamento della mia vita: Giorgio.
Era il 1990, avevo quarantasette anni, lui cinquantotto; entrambi abitavamo a Cuneo. L’inizio del nostro rapporto non fu per nulla facile. Lui, come mi confidò una delle sue figlie in una lettera che mi scrisse dopo la morte del papà, “era da ricostruire, anzi era da costruire!”.
Giorgio stesso riconosceva la mia grande pazienza nel farlo uscire dallo stato di rabbia contro tutti e anche contro Dio, che gli “aveva procurato tanto dolore” (si riferiva alla lunga malattia e poi alla morte di sua moglie).
In effetti, stando con me, Giorgio man mano era radicalmente cambiato. Mi disse che, fin dall’inizio, lo aveva colpito il mio modo responsabile e al tempo stesso “leggero” di vivere... nonostante tutto.
Era stato conquistato dall’affetto con cui lo trattavo sempre, anche quando, nelle prime fasi della nostra relazione, aveva mostrato modi un po’ bruschi, che a tratti mi fecero pensare di lasciar perdere. Evidentemente, però, il nostro percorso doveva essere quello: i nostri tre anni insieme, la sua morte, il mio dolore cocente, la mia medianità. Durante il periodo in cui ci frequentammo ero ancora molto lontana dall’esperienza medianica, non sapevo neppure di che cosa si trattasse. Le mie “doti”, come avrò modo di spiegare, si svilupparono soltanto dopo la sua morte. Proprio Giorgio, in uno dei suoi primi messaggi dall’Oltre, fece riferimento al cambiamento sostanziale che aveva conosciuto la sua vita grazie al nostro incontro, all’amore che ne scaturì e che lo mutò.
Quando, finalmente, riprese la voglia di vivere e di amare, la nostra vita recuperò l’entusiasmo e gli slanci che non conoscevamo da tempo. In un altro messaggio dopo la sua morte mi disse:
Alle tue delicatezze devo donare il merito dell’uomo nuovo che ero diventato e amo il fedele tuo ponte che mi dà la possibilità di entrare in quella tua casa che è stata portatrice di gioia da quando tu mi hai fatto capire che cosa è e che cosa può donare l’amore elargito con entusiasmo e disinteresse.
I suoi occhi, come mi ero riproposta, avevano ripreso espressione e sorridevano di nuovo. Gli piaceva parlare di noi, di me, delle mie “gaffe”.
Una sera, al Teatro Toselli di Cuneo – lo frequentavo da oltre vent’anni con un gruppo di amici – successe un fatto che mi creò un incredibile imbarazzo. Contrariamente al solito, io e Giorgio non ci eravamo alzati dal nostro posto durante l’intervallo, perché ci avevano trattenuto alcuni conoscenti che si erano avvicinati per salutarci.
A un tratto, quando già stava per iniziare il secondo tempo dello spettacolo, mi rammaricai di non aver preso il consueto caffè. Giorgio mi disse che non era un problema, che mi avrebbe accompagnata. Io rifiutai, perché non mi sarebbe piaciuto rientrare a spettacolo cominciato. Lui però mi rassicurò, mi disse che non ero “sola” e così mi lasciai convincere. Rientrammo a spettacolo iniziato. Piena di soggezione e di vergogna com’ero, non mi accorsi, nel buio della platea, di un enorme treppiede che sosteneva un faro. Inciampai, cadendo a ginocchia unite e rimbalzando subito in piedi.
Gli attori in scena allungarono un momento il collo per vedere cosa fosse successo e io ritornai al mio posto con il cuore in gola, mortificatissima. Giorgio, senza perdere la sua consueta calma, assistette allo “spettacolo” nello spettacolo e, ritornato a sedere, se la rise lungamente insieme alla figlia e a un’amica di lei. Ancora oggi la scena viene ricordata con allegria.
Un’altra volta, io e Giorgio eravamo alla tavola calda di un ipermercato, dove ci recavamo ogni tanto, prima di fare la spesa. Lui amava mangiare sempre le stesse cose e anche in quell’occasione c’erano sul suo vassoio un piatto di rigatoni al sugo, un altro con patate fritte e della carne. C’erano poi la frutta e, naturalmente, le posate, la bottiglietta dell’acqua e il bicchiere. Dalla parte opposta stavo arrivando io con la mia solita insalata e l’immancabile macedonia. Quando fummo quasi vicini, Giorgio, chissà come, sbilanciò il vassoio e ne rovesciò il contenuto per terra. Agitatissima, mi avvicinai ancora di più, pensando di aiutarlo, ma riuscii soltanto a sbilanciare anche il mio di vassoio, che rovinò rumorosamente sul pavimento. Ai nostri piedi c’erano cocci di piatti e di bicchieri, posate e tutto il cibo che avevamo ordinato. Ricordo che lui, “quell’incosciente”, rideva, mentre io mi sentivo il viso paonazzo e me ne rimanevo immobile, senza sapere che cosa fare... Con tutta quella gente seduta ai tavoli che si divertiva e ci guardava con simpatia.
A Giorgio piaceva tanto ricordare questo episodio e ogni volta diceva: “Pazienza che sia successo a me, ma tu cosa c’entravi?”.
Io gli rispondevo che era stato per... solidarietà.
Piccole cose che rinnovano il ricordo e anche il rimpianto. In un altro messaggio Giorgio mi disse:
Provo pena nel vederti lì portata più a reggere i carichi altrui che a domandare appoggio opportuno per i tuoi carichi. Facesti così anche con me e adesso porto dentro amarezza per non averti donato tutto quanto meritavi per le tue continue gentilezze ... Presto ho dovuto abbandonare le tue dolcezze e rinunciare a quella festa che avrebbe coronato il nostro amore. Mi dicono che qui c’è un inimmaginabile giardino, lieto giardino nel quale Dio va offrendo nettare a quanti hanno il palato pronto per assaporarne le delizie. E io prego ora, come non feci prima, per diventare degno veramente di quel giardino ... Il nostro amore assai mi ha fatto dono della possibilità di entrarvi. Io porterò anche te là dentro e ci saranno proprio tutti i tuoi fiori amati ... Fertili i cammini nell’Amore e fertile il tuffo nel cuore del Padre che, ora l’ho capito, risponde sempre a chi lo chiama.
Dopo avermi invitata ad amare di più la Madonna, a non attardarmi nel cammino, a usare il tempo con cura, mi disse:
Ci sarò io quando busserai alla porta dell’Eterno; sarò pronto a portarti nuvole sulle quali tu possa gustare tutta la leggerezza del tuo essere e sentirti spinta piacevolmente oltre ogni nuvola verso la Luce del vero Mondo.
Molti dei nostri ricordi sono legati al mare, in particolare alla cittadina di Mentone, dove eravamo soliti trascorrere i fine settimana. Alloggiavamo da tempo nello stesso albergo e la padrona ci guardava con affetto e una certa tenerezza. Con lei eravamo diventati buoni amici.
In un pomeriggio di meraviglioso sole e con un mare incantevole, scegliemmo di rimanere in camera.
Quando verso sera scendemmo per la cena, la padrona ci guardò con una cer...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione di Roberto Giacobbo
  4. Poterti parlare ancora
  5. Introduzione
  6. Il ponte
  7. Medianità
  8. La morte
  9. “Perché mi hai abbandonato?”
  10. Segni e sogni
  11. Il Cielo ci chiede meno lacrime
  12. Messaggi d’amore dall’Aldilà
  13. Comunicazioni particolari
  14. Casi a sé
  15. Gli Angeli
  16. Il Salotto
  17. Piccolo florilegio
  18. Conclusione
  19. Copyright