Mentre ero a Miami, senza progetti concreti per il futuro, mi giunse voce di un’opportunità allettante dall’altra parte del Paese. Il Colony Beach and Tennis Resort di Longboat Key − una delle isole che congiungono la costa sul golfo tra Sarasota e Bradenton − stava considerando l’idea di assumere un nuovo direttore per il suo programma di tennis. Longboat Key, Bradenton, Sarasota? Ne conoscevo a malapena i nomi. Quel poco che sapevo di quella parte del Paese lo dovevo a Mike De Palmer Sr, un ex allenatore di basket e football, che a quel tempo era direttore del programma di tennis al Bradenton Country Club.
Mike e io eravamo diventati amici quando i suoi due figli, Michelle e Mike jr, entrambi giocatori formidabili, vennero a Beaver Dam. Divennero poi due tennisti professionisti. Michelle arrivò tra le top 100 prima che una serie di infortuni stroncasse, purtroppo, la sua promettente carriera. Il fratello Mike giocò anche lui nel circuito dei professionisti, poi lavorò per me come insegnante e per un periodo fu coach di Boris Becker. Anche i suoi figli più piccoli, David e Joe, hanno lavorato per me come allenatori. Insomma, una vera famiglia di sportivi talentuosi, con cui sono sempre rimasto in stretto contatto. In quel periodo, Mike Sr mi aiutò a ottenere un appuntamento con Murf Klauber, il proprietario del Colony.
Julio Moros e io saltammo a bordo della mia Cadillac viola – un sacco di gente mi prendeva in giro per il colore, ma non m’importava –, attraversammo Alligator Alley e ci dirigemmo verso nord sulla I-75. Arrivammo al resort giusto in tempo per un tramonto mozzafiato. Julio mi guardò e disse: «Io da qua non me ne vado più».
Il mattino seguente incontrammo il «dottor» Klauber. Era originario di Buffalo, New York, dov’era stato un ortodontista di successo, ed era matto come me: sregolato, impetuoso e patito di tennis. Al Colony era proprietario dei diritti di gioco, dei campi, del negozio specializzato e dei ristoranti, ma non delle duecentotrentadue unità tra ville e appartamenti. Questo divenne un problema quando, nel corso degli anni, la direzione dell’hotel da una parte e i proprietari delle unità abitative dall’altra cominciarono a pensarla in modi diversi, finché l’intero resort non venne chiuso. Una struttura splendida caduta tristemente in disuso.
A quei tempi, tuttavia, il Colony era un luogo di tendenza. Klauber e io parlammo in breve di quello che stava cercando e della possibilità che fondassi una mia accademia di tennis mentre gestivo i programmi per gli ospiti. Era felice di appoggiare i miei progetti purché i bisogni dei clienti e delle loro famiglie fossero sempre al primo posto. Gli diedi la mia parola, ci stringemmo la mano e ottenni il lavoro. Non ci fu mai una sola discussione durante l’intero arco della nostra collaborazione, e nel tempo siamo rimasti ottimi amici. L’esperienza al Colony si rivelò per me un’altra opportunità più unica che rara, e sarò sempre grato al «dottore» per avermela offerta.
Mike DePalmer Sr conosceva praticamente tutti nella zona, e questo ci diede una forte spinta a inizio carriera. Il mio staff e io davamo lezioni agli ospiti dell’hotel durante il giorno. Diverse sere a settimana tenevo anche dei seminari al Bradenton Country Club. Ben presto aggiungemmo dei corsi anche per i giocatori juniores locali prima e dopo che i clienti del Colony occupassero i campi. Gli ospiti adoravano guardare i bambini giocare e vedere i giovani battere, spesso e volentieri, gli adulti.
Chiedevamo trentacinque dollari a weekend per le sessioni giovanili, e davo l’intera somma ai miei collaboratori per quegli extra. Non tenevo neanche un centesimo per me. Sia le lezioni per giovani sia quelle per adulti riscossero molto successo, e sono orgoglioso di affermare che il Colony, nei cinque anni in cui vi lavorai, divenne il resort di tennis numero uno al mondo.
Molte persone che conobbi a Dorado Beach mi seguirono al Colony, dove venivano a trovarmi per Natale o durante le vacanze in altri periodi dell’anno. Mr Marx e la sua famiglia erano tra quelle. Tempo dopo, acquistò una casa a Casey Key e ci costruì un campo privato dove trascorreva quasi tutti i fine settimana insieme ai figli per giocare a tennis con me e il mio staff (oggi a Casey Key abitano persone benestanti e famose che hanno a cuore la propria privacy, come lo scrittore Stephen King e l’attrice Rosie O’Donnell.)
Tra quelle persone c’era anche Charlie Reed, un caro amico di Mr Marx, che frequentò i campi nello stesso periodo dei suoi figli e alloggiava in una casa vicino alla mia a Longboat Key. Sua madre Annette ha sposato lo stilista Oscar de la Renta ed è la madrina di mia figlia Nicole. Hanno sostenuto tutti generosamente la mia famiglia e la mia carriera.
Un giorno si presentarono sui campi del Colony una ragazzina, Carling, e suo padre, John Bassett. Non avevo la minima idea di chi fossero, ma su richiesta di John feci qualche scambio con la figlia. Poi mi chiese cosa ne pensavo di lei e gli dissi che aveva molto talento. Se ne andò via, lasciando la figlia lì con me, e non si fece vedere per due settimane. Quello stesso pomeriggio Carling mi spiegò che il padre voleva che lei restasse con me, e così diventò la mia prima studentessa «coinquilina»: venne infatti ad abitare nella mia casa a Shinbone Alley all’estremità nord di Longboat Key.
Si dà il caso che la famiglia della madre di Carling avesse fondato i birrifici Carling in Canada (anche se non ne era più proprietaria). John divenne in seguito uno dei più grandi benefattori dell’accademia. Comprò un pullman per quando volevamo portare i nostri giocatori in trasferta, costruì un campo in terra verde a casa mia e volle coinvolgermi nello sviluppo di una comunità residenziale adiacente all’accademia. Amava lo sport e fu determinante per la nascita della World Football League.
Carling fu sempre un’atleta dotata di artigli. Il suo motto era «attenzione gente, sto arrivando». Ha vinto moltissimi tornei juniores e si è qualificata alle semifinali degli US Open del 1984 a soli sedici anni, appena un anno dopo l’esordio nella categoria professionisti. Fu fortunata ad avere una grande agente, Sara Fornaciari, la prima donna nei panni di procuratore sportivo. Sara era andata a lavorare per la ProServ dopo una serie di tentativi falliti come giornalista sportiva – non c’erano giornaliste sportive a quei tempi – e seguì invece la carriera di avvocato. Tracy Austin divenne la sua prima cliente, finché non entrò nel consiglio di amministrazione della Women’s Tennis Association, e fu poi nominata direttore esecutivo dell’associazione che riunisce le giocatrici professioniste di tennis. Diventammo buoni amici quando iniziò a rappresentare Carling. Ammiro la sua passione per il tennis e le qualità da pit bull che sfodera in difesa dei suoi clienti – non alza mai bandiera bianca! Ed è una miniera di notizie e pettegolezzi sui tennisti.
Carling arrivò all’ottavo posto nel ranking WTA a soli diciassette anni. Nello stesso periodo intraprese una carriera come modella e si dilettò anche nel cinema. Nel 1987 sposò il suo collega tennista Robert Seguso, da cui ha avuto cinque splendidi figli. Nel 2007 le fu conferito un posto nella Canadian Tennis Hall of Fame. Siamo molto legati ancora oggi. Non parlate male di me in sua presenza. Vi becchereste un ceffone dritto dritto sul naso!
Un’altra studentessa che soggiornò per un po’ nella mia casa in Florida fu Kathleen Horvath. Era una ragazza di grande talento e fu la mia prima pupilla a entrare nella top 10 della classifica WTA. Un giorno la vidi penzoloni a testa in giù da un albero vicino alla piscina. Quando le chiesi perché lo stesse facendo, mi rispose che secondo suo padre in quella posizione si sarebbe allungata e ne avrebbe guadagnato in altezza. Dubito fortemente che quella pratica abbia in qualche maniera contribuito al suo successo. Tuttavia vinse diversi campionati juniores, entrò nel circuito professionisti a quindici anni e due anni dopo stracciò Martina Navrátilová al Roland Garros del 1983 – l’unica a battere Martina quell’anno! Ma la sua carriera giunse a un punto morto e Kathleen abbandonò il tennis appena ventenne, per fare carriera in banca, alla Merrill Lynch a New York.
Nel frattempo, i giovani iscritti al nostro campo di Beaver Dam erano così numerosi che nell’estate del 1977 comunicai a diverse famiglie che stavano da noi che, a breve, avrei aperto un collegio per giovani tennisti a Sarasota. Ricordo ancora la sorpresa sulla faccia di Julio Moros quando gli dissi che c’erano già tra i quindici e i venti bambini prenotati per settembre.
«E dove pensi di metterli?» mi chiese. A quel tempo non avevamo strutture adeguate, così finimmo per ospitare tutti gli studenti a casa mia e con gli altri professionisti dello staff.
Tra i nostri primi collegiali ci fu Anne White, un’incantevole ragazza del West Virginia, che arrivò tra le prime venti tenniste al mondo prima ancora di compiere vent’anni. Stava presso la famiglia di Mike DePalmer, e fece scalpore quando al torneo di Wimbledon del 1985 scese in campo al primo turno con una tutina bianca di lycra attillata fino ai piedi.
Poiché i programmi al Colony riscuotevano sempre più successo, cominciai a tenere lezioni di gruppo per i giocatori juniores. Non avevo scelta perché Julio e io avevamo sempre più ospiti da seguire e dovevamo incastrare le lezioni dei nostri giovani tennisti nei ritagli di tempo e di spazio che rimanevano. Così mettevo tra i venti e i quaranta studenti alla volta in uno stesso campo. Mentre uno giocava, gli altri si allenavano saltando la corda, correndo sul posto e migliorando la loro preparazione atletica. Quando qualcuno perdeva palla, scattavano le flessioni. Era un’idea rivoluzionaria e funzionava alla grande, anche se Kathleen Horvath non approvava e insistette perché tornassimo alle lezioni individuali. L’esperimento delle lezioni di gruppo riuscì a tal punto da lanciare una vera e propria tendenza, oggi all’ordine del giorno in tutti i club e le strutture sportive.
Nel 1987, quando i programmi al Colony si intensificarono così tanto che gli ospiti non riuscivano più a trovare un campo libero, acquistai un club a West Bradenton che aveva ventuno campi da tennis (nove in terra rossa e dodici in terra battuta, sedici dei quali illuminati). Chiamammo la nostra giovane accademia DePalmer Bollettieri Tennis Club e piovvero così tante iscrizioni che a un certo punto si rese necessario disporre di una struttura tutta nostra per dare alloggio agli studenti. Trovammo un motel fatiscente di venti camere in vendita in Manatee Avenue, a Bradenton. Mi rivolsi a Louis Marx per un finanziamento, e fu contento di darmi i cinquantamila dollari necessari.
Nel frattempo Carolina Murphy si era laureata ed era venuta a lavorare per noi, e uno dei suoi primi incarichi fu rimettere in sesto il motel. Si diedero tutti da fare, a sfregare i pavimenti, le vasche da bagno e i gabinetti, a strofinare e spazzare per terra, in modo che fosse tutto pronto per settembre. Quando Carolina ne parlò con sua madre al telefono, quella le disse: «È per questo che ti sei laureata? Vattene subito via da lì e torna a casa». Ma Carolina non seguì il suo consiglio. Si iscrisse per un anno e da allora non se ne è mai più andata: è rimasta con me per i successivi quaranta, ricoprendo i ruoli più diversi. Oggi è responsabile dei rapporti con i genitori presso l’International Media Group. Suo figlio John Ryan ha partecipato al programma di baseball dell’accademia ed è nella rosa dei New York Yankees.
Il motel aveva piccole camere da due persone, ma suddividemmo i ragazzi in modo da assegnarne da quattro a sei per ciascuna. Eric Korita, un metro e novantasei, era così alto che i piedi gli sbucavano fuori dal letto a castello. Le stanze erano così piccole che dovevamo tenere le racchette, i borsoni e gli effetti personali degli studenti tutti ammassati vicino al capanno della piscina. La cucina era pensata su misura per una famiglia poco numerosa e il ripostiglio fungeva da segreteria, così trasformammo due camere da letto nella mensa dell’accademia. Servivamo la colazione ai nostri studenti e li spedivamo su due pulmini a noleggio, uno in direzione della Bradenton Academy e l’altro della Saint Stephen’s Episcopal School. Poi preparavamo i panini per il pranzo, che gli studenti mangiavano nel parcheggio prima delle lezioni di tennis. Un cuoco preparava la cena al motel – spaghetti, bistecca alla Salisbury – niente di complicato. Seguiva poi il momento delle pulizie, dei compiti e delle ispezioni in camera. La domenica il cuoco non c’era, perciò cucinavamo per tutti bacon e uova strapazzate in un pentolone. Per cena ordinavamo da Kentucky Fried Chicken oppure la pizza – questo prima che prendessi a cuore il tema dell’alimentazione e i suoi effetti sulle prestazioni sportive.
Tra i giocatori che alloggiarono al motel ricordo Susan Smith, una tennista della categoria nazionale juniores, e Frank Falkenburg, poi campione di ultimate frisbee, il quale in seguito divenne procuratore e per un periodo fu il mio direttore tecnico all’accademia. O ancora, Paul Annacone. Paul era il tipico ragazzo americano, frequentò l’Università del Tennessee e giocò come professionista per dieci anni, durante i quali vinse un campionato di doppio agli Australian Open del 1985. Tempo dopo divenne allenatore e prese il posto di Tim Gullikson come coach di Pete Sampras quando Tim si ammalò nel 1994.
La morte di Tim, due anni dopo, fu una perdita enorme per il mondo del tennis. Per qualche tempo Paul ha allenato anche Tim Henman e Roger Federer. I suoi modi tranquilli si conciliavano alla perfezione con due giocatori così relativamente pacati. Oggi allena Sloane Stephens, che nel giro di qualche anno potrebbe diventare l’erede di Serena Williams. Chissà come se la caverà Paul ad allenare le donne. È un mondo completamente diverso, parola di Nick.
Alla nuova accademia procedevamo a ritmi serratissimi e improvvisavamo quando ce n’era bisogno. Tavoli da picnic erano disposti lungo il vialetto d’accesso e i ragazzi facevano i turni per mangiare. Non avevamo una sala studio, così chiudemmo la piscina e vi costruimmo sopra una struttura di circa cento metri quadrati che divenne la nostra aula di fortuna. I coach dell’accademia si improvvisavano cuochi, autisti di pullman e collaboratori domestici, e sì, facevano anche gli allenatori di tennis. Lavoravamo 365 giorni all’anno senza mai fermarci, ma condividevo sempre i guadagni con loro (ammesso che ce ne fossero). Non troverò mai le parole giuste per descrivere la dedizione dimostrata fin dall’inizio dal mio formidabile staff, tra cui Julio Moros, Chip Brooks, Ted Meekma, Greg Breunich, Steve Owens, Sammy Aviles e altri due raccattapalle da Dorado Beach, Piri ed Edwin Oyola. Molti di loro sono rimasti al mio fianco per decine di anni, lavorando sodo perché la mia idea di un’accademia di tennis divenisse realtà . E alcuni sono con me ancora oggi!
Vorrei a questo punto dedicare un pensiero speciale a Steve Owens, un allenatore che mi ha accompagnato per gran parte della mia carriera, da Dorado Beach al Colony, alla All-American Sports di Amherst, a Beaver Dam, fino alla Nick Bollettieri Tennis Academy. Steve ha avuto un ruolo fondamentale nella vita dei figli di Marx, Geoffrey, Pearson, Lindsay e il piccolo Louis jr. Per loro è stato come un secondo padre. Non di rado Marx teneva Steve in campo dalle dodici alle quattordici ore al giorno. Barbara Chin, la sua abile segretaria, che si occupava di controllare i rendiconto delle spese di Steve, un giorno notò che le stava «gonfiando». Marx ne era al corrente, e non gli importava. Sapeva che erano pochissimi in grado di sopravvivere giorno e notte insieme ai suoi figli.
Ho già detto che Steve è una forza della natura? Riuscirebbe a vendervi la vostra vecchia auto facendovi credere che sia nuova di zecca. Ed è anche un bel personaggio. C’è da premettere che io ho sempre vietato ai miei coach di fumare. Un giorno stavo aspettando di fronte al Colony Beach Hotel che qualcuno mi desse un passaggio a casa a Longboat Key – erano circa undici chilometri e non usavo mai la mia Mercedes rossa decapottabile per andare al lavoro perché si sarebbe sporcata di sabbia. Steve stava uscendo dall’hotel sul suo furgone, ignaro che io fossi all’entrata. Mi passò davanti con la sigaretta in bocca e, quando si accorse che lo stavo guardando, la ingoiò! Ringrazio Steve per tutto quello che ha fatto per me e con me. È quella che si dice una mosca bianca e per me sarà sempre un amico.
Mentre il mio staff si destreggiava con slancio e dedizione tra le mille incombenze, il mio terzo matrimonio non sopravvisse al vortice di impegni e alla mia implacabile smania di successo. Dopo più di dieci anni insieme, io e Jeri non andavamo più d’accordo e lei decise di chiedere il divorzio. Si trasferì a Cincinnati dove viveva sua sorella Janet e portò con sé le bambine.
Qualche tempo dopo, Danielle decise di ritornare in Florida per stare con me. Non ebbe nessun privilegio, né in casa né sui campi da tennis. Divenne un’eccellente tennista e vinse il campionato statale di doppio con la sua compagna di gioco, Mandy Stoll, che alcuni anni dopo perse la vita in un tragico incidente d’auto. Danielle ha sposato il mio collaboratore Greg Breunich e mi hanno regalato due splendide nipoti...