L'abisso di Maracot
eBook - ePub

L'abisso di Maracot

  1. 168 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Nella fossa di Maracot una spedizione sottomarina trova i resti di un'antica civiltà preistorica. È forse la mitica Atlantide? Un avventuroso Conan Doyle inedito per il lettore italiano.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804408666

1

Comincerò col ricordare ai miei lettori, nel metter mano alle carte che mi sono state affidate per la pubblicazione, la triste scomparsa dello Stratford, partito un anno fa per una spedizione che aveva come obiettivo io studio delle varie forme di vita nelle profondità dell’oceano. La spedizione era stata organizzata dal dottor Maracot, il famoso autore di Formazioni pseudo-coralline e La morfologia dei lamellibranchi. Lo accompagnava il signor Cyrus Headley, già assistente all’Istituto Zoologico di Cambridge, Mass., e, all’epoca del viaggio, borsista a Oxford. Il capitano Howie, un navigatore molto esperto, aveva il comando del vascello. L’equipaggio era composto da ventitré uomini, tra i quali un meccanico americano che lavorava per la Merribank di Filadelfia.
L’intero equipaggio è purtroppo scomparso, e la sola notizia sulla sorte della sventurata imbarcazione la dobbiamo ad un brigantino norvegese, che vide affondare una nave del tutto simile allo Stratford nel grande fortunale che ebbe luogo nell’autunno del 1926. Furono in seguito trovati, nel punto in cui avvenne il fatale naufragio, un battello di salvataggio che portava la scritta Stratford, alcune grate di un ponte, un salvagente e una parte dell’alberatura. La tragica vicenda sembrava quindi giunta al suo epilogo. Nessun’altra notizia, infatti, si aggiunse a quelle già raccolte. Citerò più avanti uno strano messaggio radio che, pur incomprensibile in parte, lascia ben pochi dubbi sul destino del vascello.
All’epoca si parlò molto della spedizione dello Stratford, e in particolare dell’estrema riservatezza del dottor Maracot, la cui disistima e sfiducia nei confronti della stampa erano da tempo ben note. In quell’occasione, egli arrivò non solo all’eccesso di rifiutarsi di fornire informazioni ai giornalisti, ma negò loro il permesso di metter piede sullo Stratford durante la settimana in cui era ormeggiato al molo Albert. Si diceva che alla nave fossero state apportate modifiche molto particolari che l’avrebbero resa idonea ad un lavoro sul fondo dell’oceano. Tali voci vennero confermate dalla ditta Hunter & Co. di West Hartlepool, dove la nave avrebbe per l’appunto subito tali modifiche. Girava voce che, grazie a questi interventi, la carena della nave fosse staccabile, e il particolare provocò qualche inquietudine agli assicuratori dei Lloyd, che arrivarono a stipulare la polizza dopo parecchi tentennamenti. L’episodio, all’epoca dimenticato in fretta, ritrova ora la sua importanza, e del destino dello Stratford si torna a parlare con rinnovato interesse.
Siamo ora in possesso di quattro documenti che gettano una luce diversa sui fatti. Il primo consiste in una lettera scritta dal signor Cyrus Headley dalla capitale delle Gran Canarie al suo amico, Sir James Talbot del Trinity College di Oxford, durante l’unica occasione, per quel che ci è dato sapere, in cui lo Stratford toccò terra dopo aver lasciato il Tamigi. Il secondo è lo strano messaggio radio cui accennavo prima. Il terzo è una parte dei giornali di bordo della Arabella Knowles che parla della sfera di vetro. Il quarto e ultimo riguarda il contenuto di questa sfera di vetro, che può venire considerato o come la più abile delle mistificazioni, oppure come un nuovo e straordinario capitolo nell’ambito delle esperienze umane, la cui importanza non va certamente sottovalutata.
Dopo questo preambolo, renderò nota, grazie alla cortesia di Sir James Talbot, la lettera del signor Headley, mai pubblicata prima d’ora. Porta la data del 1° ottobre 1926.
«Ti scrivo, mio caro Talbot, da Porta de la Luz, dove abbiamo gettato gli ormeggi per poterci riposare qualche giorno. Il mio compagno di viaggio è diventato, per elezione, Bill Scanlan, il capo meccanico, il quale, oltre ad essere un compatriota, è anche un uomo dal carattere molto allegro, ed è stato facile trovare in lui un alleato naturale. Questa mattina, però, mi ha lasciato solo perché, mi ha detto, aveva un appuntamento “con una sottana”. Come vedi, parla proprio come gli inglesi pensano che parli un autentico americano. Sono sicuro che lo considererebbero un vero purosangue. Quanto a me, è solo grazie alla suggestione che riesco a dimenticare d’essere americano quando sono in compagnia di amici inglesi. Del resto, io credo che non capirebbero mai del tutto che lo sono, se non lo volessi. Con te, però, la questione è diversa e ti assicuro che troverai solo la pura lingua di Oxford nella lettera che ti sto scrivendo.
«Avevi già incontrato Maracot alla “Mitra”, sicché hai già un’idea di che tipo sia. Ti avevo parlato, credo, delle modalità del mio ingaggio. Maracot aveva preso informazioni su di me dal vecchio Somerville dell’Istituto Zoologico, e da questi si era fatto mandare il mio saggio più noto, quello sui granchi pelagici, e la cosa era fatta! Sarei naturalmente molto contento di prendere parte a questa missione, se non fosse per quella mummia semovente di Maracot. Trovo che il suo bisogno di isolamento e la sua devozione al lavoro siano disumani. “È il più duro dei duri” dice di lui Scanlan. Eppure, non si può non ammirare la sua passione. Non esiste niente altro, per lui, che la ricerca scientifica.
«Ricordo quanto avevi riso quando gli chiesi cosa avrei dovuto leggere per prepararmi all’impresa, ed egli mi aveva risposto che, se avessi voluto prepararmi con serietà, avrei dovuto leggere l’edizione completa delle sue opere, nonché, per rilassarmi, i Plankton-Studien di Haeckel! Posso dire che, per ora, non lo conosco meglio di quanto lo conoscessi a Oxford. Non parla mai e il suo viso emaciato e austero, il viso di un Savonarola o, meglio, di un Torquemada, non si distende mai nel buonumore. Il lungo naso, sottile e aggressivo, gli occhi grigi, piccoli e luminosi, le folte sopracciglia, l’espressione imbronciata, le guance incavate degli asceti e dei pensatori, tutto insomma contribuisce a renderlo un misantropo. È come se vivesse in cima ad una montagna, lontano dai comuni mortali. A volte penso che sia un po’ matto.
«Per esempio, questa apparecchiatura così straordinaria che ha costruito… ma ti racconterò le cose in modo ordinato, così che tu possa giudicare da solo. Ti parlerò del nostro viaggio dal principio.
«Lo Stratford è una bella barca degna di solcare il mare, e attrezzata di tutto. Duecento tonnellate di stazza, ampia, ponti puliti e tutto quanto serve per scandagliare, dragare, rimorchiare. È dotata, inoltre, di potenti argani per trainare le reti e di un numero indefinito di altri dispositivi, alcuni dall’aspetto familiare, altri invece molto strani. Sottocoperta, vi sono le nostre comode cabine e un laboratorio bene attrezzato per i nostri studi.
«Prima che partissimo, lo Stratford s’era già conquistato la fama di essere una barca misteriosa, ed io non ho tardato molto a capire che la cosa aveva qualche fondamento, anche se, all’inizio, non mi sembrava ci fosse nulla di particolare nel nostro modo di procedere. Ci siamo diretti, infatti, verso il Mare del Nord e lì abbiamo gettato le reti un paio di volte, ma ci siamo subito resi conto che si trattava di una perdita di tempo, perché il mare aveva una profondità media di poco superiore ai sessanta piedi, mentre noi eravamo attrezzati per profondità ben superiori. Com’era prevedibile, non abbiamo pescato niente di interessante, a parte un po’ di pesce da tavola, gattucci, calamari, meduse e depositi di argilla melmosa. Poi abbiamo doppiato la Scozia, avvistato le Faroes e navigato lungo il Wyville-Thomson Ridge, dove ci è capitata migliore fortuna. Di qui, ci siamo diretti verso sud, cioè verso quello che era il nostro obiettivo, la zona compresa tra la costa africana e quelle isole. Abbiamo anche rischiato di arenarci a Fuert-Eventura in una notte senza luna, ma, a parte questo, il nostro viaggio non ha più avuto incidenti.
«In queste settimane ho tentato di fare amicizia con Maracot, ma ti assicuro che non è impresa da poco. È l’uomo più meditabondo e distratto che io conosca. Ricorderai di avere sorriso quando diede un penny al ragazzo dell’ascensore, credendo di trovarsi su un’auto pubblica! È sempre talmente immerso nei suoi pensieri da dare l’impressione di non sapere dove sia o cosa stia facendo. Inoltre, è riservatissimo. Lavora senza sosta ai suoi scritti e alle sue carte nautiche, che nasconde prontamente alla vista di chi, come è capitato a me, va a fargli visita in cabina. Mi sono perciò convinto che quest’uomo abbia in mente qualche progetto segreto, ma lo terrà per sé fino a quando saremo costretti a fermarci in qualche porto. Questa è anche l’impressione di Bill Scanlan.
«“Signor Headley,” mi ha detto una sera mentre mi trovavo in laboratorio per analizzare il grado di salinità di alcuni campioni che provenivano dalle nostre operazioni di scandaglio “cosa crede che abbia in testa quest’uomo? Ha idea di cosa voglia fare?”
«“Suppongo” gli ho risposto “che faremo ciò che il Challenger e una dozzina di altre navi hanno fatto prima di noi, arricchendo la classificazione dei pesci e aggiungendo dati alla carta batimetrica.”
«“Invece non è questo!” è stato il suo commento. “Lei dovrà rivedere le sue supposizioni. Mi dica, qual è, secondo lei, il mio ruolo qui dentro?”
«“Controllare il buon funzionamento dei macchinari” ho azzardato.
«“Niente affatto! È il signor MacLaren, l’ingegnere scozzese, che si occupa dei macchinari. No, signore, non è per far funzionare uno stupido motore che la Merribank ha mandato il suo miglior specialista. Se mi sganciano cinquanta dollari a settimana, sarà ben per qualcosa! Venga con me e capirà.”
«A quel punto cava fuori di tasca una chiave e con quella apre una porta sul retro del laboratorio. Arriviamo, dopo aver sceso una scala, ad una sezione della stiva ingombra di quattro casse da imballaggio, aperte quel tanto che basta per intravedere degli oggetti luccicanti ed enormi.
«Erano lamiere d’acciaio con bulloni e chiodi lungo i bordi. Ciascuna di queste larga almeno dieci piedi e con uno spessore di un pollice e mezzo. C’era inoltre un’apertura circolare proprio nel mezzo, di circa diciotto pollici.
«“Che diavolo è?” gli ho chiesto.
«Il buffo viso di Bill Scanlan, una via di mezzo tra quello di un comico da vaudeville e quello di un pugilatore, ha risposto al mio stupore con un ghigno.
«“Questa è la mia creatura, signore! Sì, signor Headley, è questa la ragione della mia presenza qui. Là, in quella grande cassa, c’è una base d’acciaio alla quale corrisponde una copertura a volta che ha un grande anello d’aggancio per una catena o gomena che sia. Dia un’occhiata alla carena della nave.”
«Era una grande piattaforma quadrata di legno, ai cui angoli sporgevano delle viti, segno evidente che il fondo era staccabile.
«“C’è un doppio fondo” mi ha confermato Scanlan. “Può darsi che il tipo sia pazzo, oppure che sia più sano di quanto non dia a vedere, ma, se ho capito bene, vuole costruire una specie di stanza, completa di oblò, e farla scendere attraverso la carena della nave. Ha fatto installare dei riflettori e presumo che voglia farne uso per vedere, attraverso gli oblò, cosa c’è fuori.”
«“Ma avrebbe potuto usare una base di cristallo come carena, se questo era il suo scopo. Proprio come nelle barche delle Isole Catalina” dissi.
«“Già, parla bene, lei!” ha esclamato Bill grattandosi la testa. “Io, per il momento, non so cosa pensare. L’unica cosa certa è che sono stato mandato qui per eseguire i suoi ordini e dargli tutto l’aiuto possibile in questo suo strampalato progetto. Finora è stato sulle sue, e io non ho fatto niente per saperne di più, ma le assicuro che ficcherò il naso dappertutto e, parola mia, riuscirò a scoprire tutto quello che c’è da scoprire.”
«Ecco dunque come ho cominciato ad avvicinarmi al mistero. Intanto il viaggio continuava con un tempo orribile, e continuavano anche, quand’era possibile, i nostri rastrellamenti del fondo marino con le reti nella zona a nord-ovest del Capo Juba, al largo dello Zoccolo Continentale, prendendo nota della temperatura e del grado di salinità dell’acqua.
«È un’impresa curiosa e divertente rastrellare gli abissi con questa sciàbica di Peterson, in pelle di lontra, che raggiunge un’ampiezza di venti piedi per raccogliere tutto quello che le capita. A volte, ad una profondità di un quarto di miglio, si raccoglie un certo tipo di pesce; mentre, a mezzo miglio di profondità, il pesce è del tutto diverso, come se gli strati dell’oceano, con le loro particolari forme di vita, fossero separati gli uni dagli altri come continenti. Altre volte invece ci capitava di trovare nella rete mezza tonnellata di gelatina rosa, elemento primigenio della vita, oppure fanghiglia di pteropodi che, al microscopio, si divide in milioni di piccolissime sfere reticolate e inframmezzate da fango amorfo. Non intendo annoiarti con brotulidi e macruridi, ascidie e oloturie, polizoi ed echinodermi, ma ti sarà facile concludere che il mare è assai prodigo di frutti e che noi siamo degli accurati mietitori. Nonostante questa nostra attività, però, continuo ad essere convinto che l’interesse di Maracot sia altrove, e che quella sua testa di mummia egiziana stia progettando ben altri piani. Tutto ciò che abbiamo fatto finora mi sembra non sia stato altro che una rappresentazione, un prologo al vero obiettivo che, prima o poi, verrà sicuramente alla luce.
«A questo punto stanno le cose nel momento in cui sono costretto ad interrompere la lettera per andare a sgranchirmi un po’ le gambe, visto che ripartiamo domattina. E anche per andare a dirimere una baruffa sul molo, che ha avuto come protagonisti Maracot e Bill Scanlan.
«Bill, che è un tipo piuttosto litigioso che sa, così lui assicura, menare fendenti terribili a destra e a manca, si è trovato circondato da una mezza dozzina di meticci armati di coltello e, francamente, mi è sembrato in cattive acque. Giusto quindi che intervenissi. La causa del contendere stava nel fatto che il dottor Maracot aveva affittato una di quelle carrette che da queste parti chiamano “taxi” e con quella aveva girato l’isola per studiarne la struttura geologica, dimenticando di portare con sé i soldi per pagare la corsa. Al momento di saldare il conto, non è riuscito a farsi capire da quegli zotici, sicché l’autista ha pensato bene di prendergli l’orologio come risarcimento. Questo è bastato a Bill Scanlan perché entrasse in azione e credo che, senza il mio intervento, si sarebbero trovati tutti e due a malpartito. Ho dato un paio di dollari all’autista e cinque ad un tipo con un occhio nero. Tutto si è quindi risolto per il meglio, e da quel momento il dottor Maracot ha dimostrato un’umanità che ancora non gli conoscevo. Tornati sullo Stratford, mi ha convocato nella sua cabina per ringraziarmi.
«“A proposito, signor Headley,” mi ha detto “lei non è sposato, vero?”
«“No,” gli ho risposto “non lo sono.”
«“Non c’è nessuno...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. L’abisso di Maracot
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. Copyright