Hercule Poirot piegò accuratamente l’ultimo dei quotidiani che aveva mandato a comprare da George. Le informazioni erano decisamente scarse: dal referto medico risultava che la frattura cranica era stata prodotta da una serie di colpi violenti, l’inchiesta era rinviata di quindici giorni e si pregava chi sapesse qualcosa di un certo Enoch Arden, presumibilmente tornato di recente da Città del Capo, di mettersi in contatto con il capo della polizia di Oatshire.
Poirot posò, perfettamente sovrapposto agli altri, il giornale, e si mise a riflettere. La cosa lo interessava. Probabilmente non avrebbe dato alcun peso a quella notizia esposta in poche righe se non avesse ricevuto di recente la visita della signora Kathie Cloade, che gli aveva ricordato quel pomeriggio al Coronation Club durante l’incursione aerea. Sentiva ancora distintamente il maggiore Porter che diceva: «Un giorno o l’altro potrebbe comparire, a migliaia di chilometri di distanza, un novello Enoch Arden pronto a ricominciare daccapo la sua vita». E così ora voleva assolutamente sapere qualcosa in più di quell’Enoch Arden morto assassinato a Warmsley Vale.
Warmsley Vale… Conosceva il sovrintendente Spence della polizia di Oatshire, e il suo giovane amico Mellon abitava vicino a Warmsley Heath e conosceva Jeremy Cloade.
Mentre valutava l’opportunità di telefonare a Mellon, entrò George, annunciandogli che un certo signor Rowland Cloade desiderava vederlo.
«Ah!» esclamò soddisfatto Poirot. «Fallo pure accomodare.»
Si trovò davanti un bel giovanotto preoccupato e titubante.
«Dunque, signor Cloade,» disse Poirot per incoraggiarlo «in che cosa posso esservi utile?»
Rowley Cloade scrutava Poirot con una certa diffidenza. Quei baffi imponenti, l’eleganza da figurino, le ghette bianche e le scarpe di vernice a punta non potevano non far nascere delle perplessità in un inglese purosangue: Poirot ci era abituato e non finiva mai di divertirsi.
A fatica Rowley si decise a dire: «Bisognerà innanzitutto che vi spieghi chi sono. Certo non avrete mai sentito il mio nome…».
Poirot lo interruppe. «Sì, invece. Vostra zia è stata qui la scorsa settimana.»
«Mia zia?» Rowley spalancò la bocca e lo fissò stupefatto. Era così palesemente sincero nel suo stupore che Poirot scartò l’ipotesi che le due visite fossero collegate.
Gli parve una strana coincidenza che due membri della stessa famiglia avessero deciso, ognuno di propria iniziativa, di rivolgersi a lui, ma gli bastò un attimo per arrivare a concludere che non si trattava di una coincidenza: erano due naturali effetti dipendenti da un’unica causa.
«Immagino che la signora Katherine Cloade sia vostra zia» disse Poirot.
Se possibile, Rowley rimase ancora più colpito. «Zia Kathie? No… forse era la signora Frances Cloade.»
Poirot scosse la testa.
«Ma che cosa diavolo poteva volere zia Kathie?»
E Poirot, con tono sommesso, mormorò: «L’aveva mandata uno spirito guida, a quanto ho capito».
«Dio santo!» esclamò Rowley, palesemente sollevato e quasi divertito. Come se volesse tranquillizzare Poirot, aggiunse: «È assolutamente innocua, ve l’assicuro».
«Chissà» fu il commento di Poirot.
«Come dite?»
«Siete proprio sicuro che ci sia qualcuno di… assolutamente innocuo, a questo mondo?»
Rowley lo fissò. Poirot sospirò. «Siete venuto a chiedermi qualcosa, vero?» lo incalzò gentilmente.
Sul volto di Rowley ricomparve l’espressione preoccupata. «È una storia piuttosto lunga, temo…»
Lo temeva anche Poirot. Convinto che Rowley Cloade fosse il genere di persona che non andava diretta al nocciolo della questione, si appoggiò allo schienale della poltrona e socchiuse gli occhi.
«Gordon Cloade» cominciò Rowley «era mio zio…»
«So tutto di Gordon Cloade» lo interruppe Poirot, pieno di zelo.
«Bene, allora non serve che vi parli di lui. Poche settimane prima di morire aveva sposato una giovane vedova, una certa signora Underhay. Dopo la disgrazia lei è venuta a vivere a Warmsley Vale… con suo fratello. Tutti noi eravamo convinti che il primo marito fosse morto in Africa… ma adesso la cosa risulta dubbia.»
«Ah» fece Poirot mettendosi a sedere diritto. «E su che basi siete giunti a questa supposizione?»
Rowley gli raccontò che Enoch Arden era andato a Warmsley Vale. «Forse avete letto sui giornali…»
«Sì, sì, ho letto» intervenne di nuovo Poirot zelantissimo.
Rowley proseguì. Gli descrisse la prima impressione avuta vedendo Arden, la sua visita allo Stag, la lettera che gli aveva mandato Beatrice Lippincott e infine la conversazione udita da Beatrice. «Certo» concluse «non si può essere sicuri al cento per cento che abbia sentito bene. Magari ha esagerato… oppure ha interpretato male qualche frase.»
«La signorina in questione ha riferito la cosa alla polizia?»
Rowley annuì. «Sì, gliel’ho consigliato io.»
«Quello che non capisco, vogliate scusarmi, è perché siete venuto da me, signor Cloade. Volete che indaghi su questo delitto? Perché si tratta senz’altro di un delitto, direi.»
«Oddio, no» disse Rowley. «Niente del genere. Questo è compito della polizia. Io vorrei… vorrei che scopriste chi era quell’uomo.»
Poirot strinse gli occhi. «Voi chi pensate che fosse, signor Cloade?»
«Be’, insomma… Enoch Arden non è un nome, accidenti! È un personaggio. Tennyson. Quello che torna a casa e trova la moglie sposata con un altro.»
«Quindi, secondo voi,» concluse con calma Poirot «questo Enoch Arden sarebbe stato Robert Underhay?»
«Be’, non è escluso… l’età corrispondeva a quella di Underhay, ed era abbronzato come se venisse da un paese caldo… Ho fatto ripetere non so quante volte a Beatrice quel che aveva sentito ma, naturalmente, non può ricordarsi con esattezza tutto, parola per parola. Quel tizio ha detto che Robert Underhay era ancora vivo, che era molto malato e che aveva bisogno di denaro per curarsi. Poteva benissimo parlare di se stesso, perché no? Pare abbia anche detto che se Robert Underhay fosse comparso a Warmsley Vale, non avrebbe certo fatto un favore a David Hunter… in un tono che faceva pensare che fosse proprio lui.»
«E, dalle indagini, che cosa si è saputo di lui?»
Rowley scosse il capo. «Assolutamente niente. Il personale dello Stag ha confermato che era effettivamente l’uomo che si era presentato all’albergo come Enoch Arden, tutto qui.»
«E i documenti?»
«Non ne aveva.»
«Come?» Poirot sobbalzò per la sorpresa. «Nessun documento, di nessun genere?»
«Niente di niente. Tutto quel che si è trovato sono stati dei calzini spaiati, una camicia, uno spazzolino da denti e roba del genere… ma nessun documento.»
«Niente passaporto? Neanche una lettera? Nemmeno delle tessere annonarie?»
«Niente di niente.»
«Interessante» fece Poirot. «Molto, molto interessante.»
«David Hunter,» proseguì Rowley «che è il fratello di Rosaleen Cloade, era andato da lui la sera dopo il suo arrivo. Alla polizia ha raccontato che quell’uomo gli aveva mandato una lettera dicendogli che era un vecchio amico di Robert Underhay e che era al verde. Ha anche detto che, su pressione della sorella, era andato allo Stag e aveva dato a quel tizio cinque sterline. Questa è la sua versione dei fatti e potete star certo che non cambierà una virgola! Naturalmente la polizia non fiata sulla deposizione di Beatrice Lippincott.»
«David Hunter sostiene che non conosceva quell’uomo?»
«Sì, e comunque credo che non avesse mai visto Underhay.»
«E la signora Rosaleen Cloade?»
«La polizia l’ha condotta a vedere il cadavere e lei ha dichiarato di non aver mai visto quell’uomo.»
«Eh bien» disse Poirot. «Ma allora la faccenda è chiusa!»
«Credete proprio? Io la penso diversamente. Se il morto fosse Robert Underhay significherebbe che Rosaleen non è mai stata legalmente sposata con mio zio e che quindi non le spetterebbe nemmeno un centesimo del suo patrimonio. E voi credete che, con queste premesse, l’avrebbe identificato?»
«Non vi fidate di lei?»
«Non mi fido né di lei né di suo fratello.»
«Ma ci saranno sicuramente parecchie persone che possono stabilire se si tratta o no di Robert Underhay!»
«Peccato che non si trovino. Ed è proprio questo che sono venuto a chiedervi: di trovare qualcuno che conosca Underhay. Pare non abbia parenti in Inghilterra e dicono fosse asociale e misantropo. Devono per forza esserci, immagino, che so… delle persone di servizio, degli amici, qualcuno… ma con la guerra la gente si è sparpagliata chissà dove. Io non saprei proprio da che parte cominciare a cercare… e poi non avrei nemmeno il tempo di farlo. Sono agricoltore, e di questi tempi la manodopera scarseggia.»
«Come mai siete venuto proprio da me?» domandò Hercule Poirot.
Rowley parve imbarazzato. Poirot strizzò l’occhio.
«Cos’è, la solita storia dello spirito guida?»
«Oddio, no!» ribatté inorridito Rowley. «A dire il vero,» ebbe un istante d’esitazione «avevo sentito parlare di voi da un tale che diceva che siete un vero mago nel vostro lavoro. Non ho idea di come sia il vostro onorario… altissimo, immagino… e certo siamo piuttosto malmessi in fatto di quattrini, ma penso che, mettendoci tutti assieme, potremo racimolare abbastanza per pagarvi. Sempre che accettiate l’incarico…»
Hercule Poirot, scandendo le parole, disse: «Sì, probabilmente vi aiuterò».
Ricordava, e molto bene: aveva un’ottima memoria. Ricordava quel seccatore al Coronation Club, il fruscio delle pagine dei giornali, la voce monotona. Il nome… l’aveva sentito… gli sarebbe tornato in mente… Altrimenti l’avrebbe potuto chiedere a Mellon. No, ecco che lo rammentava: Porter! Maggiore Porter.
Hercule Poirot si alzò. «Potreste tornare nel pomeriggio, signor Cloade?»
«Be’… non so. Sì, penso proprio di sì. Ma vi basta così...