La bionda sensuale si sollevò su un gomito, coprendosi il seno con il lenzuolo. Leggermente accigliata, si mise a scrutare il bel diciottenne in piedi alla finestra della camera da letto, le spalle appoggiate allo stipite, intento a osservare il giardino, dove si stava tenendo la festa per il compleanno di sua madre. «C’è qualcosa di più interessante di me?» chiese lady Catherine Harrington avvolgendosi nel lenzuolo per raggiungerlo alla finestra.
Jordan Addison Matthew Townsende, il futuro duca di Hawthorne, parve non udirla, intento com’era a guardare i terreni che si estendevano intorno al palazzo che, alla morte del padre, sarebbe diventato di sua proprietà. Volgendo lo sguardo al labirinto di siepi sotto di lui, scorse la madre emergere dagli arbusti. Dopo aver lanciato un’occhiata furtiva intorno, la donna si sistemò il corpetto e si lisciò i capelli scuri cercando di rimettersi in ordine l’acconciatura. Un attimo dopo comparve lord Harrington, occupato a riannodarsi il fazzoletto da collo. Mentre si prendevano sottobraccio, la loro risata giunse alla finestra aperta di Jordan.
Una smorfia cinica deformò i bei tratti del giovane alla vista della madre che attraversava il prato con il suo ultimo amante e si infilava sotto il pergolato. Poco dopo suo padre emerse dallo stesso labirinto, diede un’occhiata intorno e poi richiamò lady Milborne dai cespugli, la sua attuale amichetta.
«A quanto pare, mia madre ha un nuovo amante» dichiarò Jordan con sarcasmo.
«Davvero?» domandò lady Harrington sbirciando dalla finestra. «Chi?»
«Tuo marito.» Voltandosi verso di lei, Jordan scrutò il bel viso della donna in cerca di un qualche segno di sorpresa. Non trovandone, il suo volto si indurì in una maschera ironica. «Sapevi che erano insieme nel labirinto, e perciò hai mostrato questo improvviso interesse nei miei confronti, vero?»
Lei annuì, a disagio, sotto lo sguardo implacabile di quegli occhi grigi. «Ho pensato» replicò facendo scorrere una mano sul suo torace muscoloso «che sarebbe stato divertente se anche noi avessimo… fossimo stati insieme. Ma il mio interesse nel portarti a letto non è improvviso, Jordan, ti desidero da molto tempo. E ora che tua madre e mio marito si trastullano insieme, non vedo alcuna ragione per non prendere ciò che voglio. Cosa c’è di male?»
Lui non disse nulla, e gli occhi di lei sondarono la sua espressione indecifrabile, mentre gli sorrideva maliziosa.
«Sei sconvolto?»
«Non direi proprio» rispose lui. «So delle relazioni di mia madre da quando ho otto anni, e dubito che una donna sia in grado di turbarmi con la sua condotta. Ma sono sorpreso che tu non abbia organizzato per noi sei un piccolo “ritrovo di famiglia” nel labirinto» concluse con deliberata insolenza.
Lei emise un verso sommesso, tra il divertito e l’orripilato. «Adesso però sei tu che mi stupisci.»
Jordan allungò lentamente una mano e le sollevò il mento, studiando il viso della donna con lo sguardo severo di chi sa già troppe cose per la sua età. «Non so perché, ma faccio fatica a crederci.»
Improvvisamente imbarazzata, Catherine scostò la mano dal petto di lui e si strinse il lenzuolo intorno al corpo nudo. «Davvero, Jordan, non capisco perché mi guardi con tanto disprezzo» ribatté, confusa e anche un po’ offesa. «Tu non sei sposato, perciò non puoi immaginare quanto possa essere terribilmente noiosa la nostra vita. Senza distrazioni dal tedio, impazziremmo tutti.»
La nota tragica nella voce di lei ammorbidì l’umore di Jordan e le sue labbra sensuali si curvarono in un sorriso derisorio. «Povera, piccola Catherine» disse asciutto, accarezzandole la guancia con le nocche. «Che triste destino avete voi donne. Dal giorno in cui venite al mondo, tutto ciò che desiderate è vostro, e perciò non avete nulla per cui lavorare… e anche se così non fosse, non avreste il permesso di lavorare per ottenerlo. Non vi lasciamo studiare e vi vietiamo gli sport, col risultato che non potete esercitare né la mente né il fisico. Non avete nemmeno l’onore a cui appellarvi, perché mentre un uomo può mantenere il proprio per tutto il tempo che vuole, il vostro si trova in mezzo alle gambe e lo perdete concedendolo al primo che vi prende. Che vita ingiusta è la vostra!» concluse. «Non mi sorprende che siate così annoiate, amorali e frivole.»
Catherine esitò, colpita dalle sue parole, senza capire se la stesse prendendo in giro, ma poi alzò le spalle. «Hai assolutamente ragione.»
Lui la guardò incuriosito. «Hai mai pensato di poter cambiare le cose?»
«No» ammise lei senza esitare.
«Devo complimentarmi per la tua onestà. È una rara virtù tra quelle del tuo sesso.»
Anche se aveva solo diciotto anni, il fascino che Jordan Townsende esercitava sulle donne era già uno degli argomenti preferiti tra i pettegolezzi femminili, e scrutando quei cinici occhi grigi, Catherine si sentì improvvisamente attratta da lui come da una calamita. Nel suo sguardo c’erano una consapevolezza, un umorismo e un’intelligenza insoliti per la sua età. Era questo, molto più del suo aspetto tenebroso e della virilità sfacciata, che spingeva le donne verso di lui. Jordan capiva il sesso femminile; capiva lei, e anche se era palese che non l’ammirava né l’approvava, l’accettava per ciò che era, con tutte le sue debolezze.
«Non vieni a letto, mio caro?»
«No» rispose lui con calma.
«Perché?»
«Perché non credo di essere annoiato a tal punto da andare a letto con la moglie dell’amante di mia madre.»
«Non… non hai un’opinione molto alta delle donne, vero?» chiese Catherine, non riuscendo a trattenersi.
«C’è una ragione per cui dovrei?»
«Io…» Lei si morse il labbro e poi scosse il capo riluttante. «No. Suppongo di no. Ma prima o poi dovrai sposarti per avere dei figli.»
Negli occhi di lui balenò una scintilla di divertimento, mentre si appoggiava al davanzale della finestra e incrociava le braccia sul petto. «Sposarsi? Davvero? È così che si fanno i figli? E dire che per tutto questo tempo avevo pensato…»
«Jordan, sto parlando sul serio!» lo interruppe la donna ridendo, affascinata da quel suo atteggiamento rilassato e ironico. «Avrai bisogno di un erede legittimo.»
«Quando sarò costretto a impegnarmi con qualcuna per produrre un erede» replicò lui con sarcasmo «sceglierò una ragazzina ingenua appena uscita dal collegio, che farà i salti di gioia per soddisfare ogni mio desiderio.»
«E quando lei si annoierà e cercherà un diversivo, cosa farai?»
«Si annoierà?» chiese lui con voce d’acciaio.
Catherine allora studiò le sue spalle larghe e muscolose, il torace ampio e la vita stretta, dopodiché il suo sguardo si posò sui suoi lineamenti scolpiti. Impeccabile con la camicia di lino e i pantaloni da equitazione, Jordan Townsende emanava potere e sensualità da ogni poro. Inarcò le sopracciglia sugli occhi verdi e sentenziò: «Forse no».
Mentre la donna si vestiva, Jordan tornò a voltarsi verso le finestre per osservare senza entusiasmo gli ospiti eleganti raccolti sul prato per festeggiare il compleanno di sua madre. Agli occhi di un estraneo, la tenuta di Hawthorne in quel momento sarebbe apparsa come un paradiso popolato da meravigliosi uccelli tropicali che si mostravano in tutto il loro splendore. Per il diciottenne Jordan Townsende, quella scena non suscitava alcun interesse e non era affatto bella. Sapeva fin troppo bene ciò che accadeva tra le mura di quella dimora quando gli ospiti non c’erano.
Alla sua età, non credeva già più nella bontà innata degli esseri umani, e nemmeno nella propria. Era nobile, ricco e di bell’aspetto, ma anche stanco del mondo.
Con il mento appoggiato sulla mano chiusa a pugno, la signorina Alexandra Lawrence stava osservando la farfalla gialla sul davanzale della casa del nonno, per poi tornare a rivolgere l’attenzione all’amato anziano dai capelli bianchi, seduto dall’altra parte della scrivania di fronte a lei. «Cos’avete detto, nonno? Non vi ho sentito.»
«Ti ho chiesto come mai oggi quella farfalla è più interessante di Socrate» rispose lui con gentilezza, rivolgendo un sorriso alla bambina che aveva ereditato i ricci castani e luminosi e gli occhi verdeazzurro della madre. Divertito, tamburellò con le dita sul volume del filosofo che stava usando per istruirla.
Alexandra gli fece un sorriso di scuse, ma non negò di essere distratta, perché il suo caro nonno le ripeteva sempre: “Una bugia è un affronto all’anima, così come un insulto all’intelligenza della persona a cui si mente”. E Alexandra avrebbe fatto tutto tranne che insultare quell’uomo gentile che le aveva instillato la propria visione della vita e le impartiva lezioni di matematica, filosofia, storia e latino.
«Mi stavo chiedendo» ammise lei con un sospiro «se ci sia la benché minima possibilità che io sia nella fase “bruco” e che un giorno mi trasformi in farfalla, diventando bella.»
«Cosa c’è che non va nell’essere un bruco? Dopotutto» citò lui scherzoso «“Niente è bello sotto tutti i punti di vista.”» I suoi occhi scintillavano mentre aspettava di capire se la nipote avrebbe riconosciuto la fonte della citazione.
«Orazio» replicò subito Alexandra, ricambiando il sorriso.
Lui annuì soddisfatto, e aggiunse: «Non devi preoccuparti del tuo aspetto, mia cara, perché la vera bellezza sgorga dal cuore e traspare dagli occhi».
Alexandra inclinò il capo da una parte, riflettendo, ma non riuscì a ricordare nessun filosofo, antico o moderno, che avesse dichiarato una cosa simile. «Chi l’ha detto?»
Suo nonno rise. «Io.»
La risata di lei risuonò come uno scampanellio, riempiendo la stanza assolata della sua allegria musicale, poi si fermò di colpo. «Papà è deluso perché non sono bella; lo noto ogni volta che viene a farci visita. Ha tutte le ragioni per aspettarsi che il mio aspetto migliori, perché la mamma è attraente e lui, oltre a essere un uomo affascinante, è anche cugino acquisito di quarto grado di un conte.»
Celando a stento il disprezzo per il genero e per le sue dubbie pretese di avere degli oscuri legami con un conte misterioso, il signor Gimble fece un’altra citazione significativa. «“La nascita non è nulla, ove la virtù non sia.”»
«Molière» rispose Alexandra senza nemmeno pensarci, citando la fonte. «Comunque» continuò cupa, tornando al suo cruccio principale «devi ammettere che il destino è stato eccessivamente severo con lui, dandogli una figlia dall’aspetto così comune. Perché» proseguì mortificata «non posso essere alta e bionda? Sarebbe molto meglio che assomigliare a una piccola gitana, come dice papà.»
Si girò per contemplare di nuovo la farfalla, e gli occhi del vecchio si illuminarono di affetto e di piacere, perché sua nipote era tutto fuorché ordinaria. Quando aveva quattro anni, aveva iniziato a insegnarle le nozioni fondamentali di lettura e scrittura, esattamente come aveva fatto con i bambini del villaggio che gli erano stati affidati, ma la mente di Alex era più svelta e pronta nell’afferrare i concetti. I figli dei contadini erano alunni svogliati che andavano da lui per qualche anno e poi tornavano a lavorare nei campi dei loro genitori, si sposavano, si riproducevano e il cerchio della vita ricominciava. Ma Alex era nata con la sua stessa passione per lo studio.
L’anziano sorrise alla nipote; il “cerchio della vita” non era poi una cosa tanto negativa, rifletté.
Se avesse seguito le sue inclinazioni giovanili, rimanendo scapolo per dedicarsi interamente allo studio, invece di sposarsi, Alexandra Lawrence non sarebbe mai esistita. E Alex era un dono per il mondo. Il suo dono. Quel pensiero gli risollevava il morale e lo metteva in imbarazzo al tempo stesso per il fatto di esserne troppo orgoglioso. Eppure non era in grado di frenare l’ondata di piacere che lo coglieva quando guardava quella bambina coi capelli ricci seduta di fronte a lui. Era tutto ciò che aveva sperato che diventasse, e anche di più. Possedeva gentilezza e allegria, intelligenza e uno spirito indomito. Forse era eccessivamente sensibile, perché faceva di tutto per cercare di compiacere il frivolo padre durante le sue visite occasionali.
Si domandò che tipo di uomo avrebbe sposato: non uno come quello che aveva sposato sua figlia, si augurò. Sua figlia non aveva la profondità di carattere di Alexandra. L’aveva viziata, pensò il signor Gimble rattristandosi. La madre di Alexandra era debole ed egoista. E aveva trovato un uomo esattamente uguale a lei, ma Alex avrebbe avuto bisogno, e meritato, un uomo assai migliore.
Con la sua solita sensibilità, Alexandra notò l’improvviso cambiamento d’umore del nonno e si prodigò immediatamente per risollevarlo. «Non vi sentite bene, nonno? Ancora il mal di testa? Vi faccio un massaggio al collo?»
«Ho un po’ di mal di testa, in effetti» disse il signor Gimble, e mentre intingeva la penna nell’inchiostro, per scrivere ciò che un giorno sarebbe diventato “Una dissertazione completa sulla vita di Voltaire”, lei gli si mise dietro e iniziò a massaggiargli le spalle e il collo per alleviargli la tensione.
Non appena le mani della nipote si fermarono, l’uomo sentì qualcosa sfregargli il viso. Assorto nel proprio lavoro, alzò lo sguardo e si grattò la guancia soprappensiero dove aveva avvertito il solletico. Un attimo dopo, lo sentì sul collo. Quindi passò sull’orecchio destro e lui trattenne un sorriso esasperato, quando finalmente si rese conto che sua nipote gli stava sfiorando la pelle con una piuma. «Alex, mia cara» disse «temo che sia entrato un uccellino birichino che intende distrarmi dalle mie occupazioni.»
«Perché lavo...