
- 272 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Armance
Informazioni su questo libro
Nel raffinato ambiente di un salotto parigino del XIX secolo, Octave è afflitto da un doloroso segreto, la cui rivelazione è procrastinata per tutto il racconto, che però non gli impedisce di conquistare l'amore dell'ambita Armance. Il primo romanzo di Stendhal (1783-1842), nel quale l'autore dimostra di avere già messo a punto il suo inconfondibile stile.
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Informazioni
Print ISBN
9788804473732eBook ISBN
9788852064067ARMANCE
Premessa
Una donna di spirito, che non ha le idee molto chiare sulla letteratura, mi ha pregato, benché io ne sia indegno, di rivedere lo stile di questo romanzo. Sono ben lontano dal condividere certe opinioni politiche che sono presenti nella narrazione, e mi premeva chiarirlo al lettore. L’amabile autrice e io la pensiamo in modo opposto su diverse cose, ma abbiamo ugualmente in orrore quelle che si definiscono solitamente allusioni. A Londra si scrivono romanzi davvero piccanti: Vivian Grey, Almak’s High life, Matilda, ecc., romanzi che hanno bisogno di una chiave.1 Si tratta di caricature molto divertenti di persone che i casi della nascita o della fortuna hanno collocato in posizioni invidiabili.
Ma è questo un genere di valore letterario che non ci interessa. Dal 1814 l’autrice non è più salita al primo piano del palazzo delle Tuileries; ed è tanto orgogliosa che non conosce neppure il nome di certe persone che si fanno notare in società .
Ha però messo in scena industriali e privilegiati di cui ha fatto la satira. Se chiedeste notizie del giardino delle Tuileries alle tortore che sospirano in cima ai grandi alberi, vi direbbero: «È un’immensa distesa verde, dove si gode della più viva luce». Noi, che ci passeggiamo, risponderemmo: «È una passeggiata deliziosa e ombreggiata, al riparo dal caldo, e soprattutto dalla luce eccessiva dell’estate».
Ognuno giudica la stessa cosa dalla sua posizione; e in termini opposti ci parlano dello stato attuale della società persone ugualmente rispettabili, che vogliono seguire strade differenti per condurci alla felicità . Ma ognuno nel partito opposto trova qualcosa di ridicolo.
Vorrete forse attribuire a malignità dell’autrice le descrizioni false e malevole che ogni partito fa nei salotti del partito avverso? Pretenderete che dei personaggi passionali si mostrino saggi filosofi, vale a dire senza alcuna passione? Nel 1760 occorrevano grazia, spirito, scarsa suscettibilità e poco onore, come diceva il reggente, per entrare nelle grazie del padrone e della padrona.
Occorrono economia, lavoro tenace, solidità e mancanza di ogni illusione, per trarre profitto dalla macchina a vapore. Questa è la differenza fra il secolo che terminò nel 1789 e quello che iniziò verso il 1815.
Andando in Russia, Napoleone canticchiava sempre queste parole, che aveva sentito dire così bene dalla voce di Porto (nella Molinara):
Si bate nel mio cuoreL’inchiostro e la farina.2
Ed è quello che potrebbero ripetere molti giovani che hanno al tempo stesso origini e intelligenza elevate.
Parlando del nostro secolo, ci troviamo ad aver già tratteggiato due dei caratteri principali di questa novella. Non ci sono forse neppure venti pagine che corrano il rischio di apparire satiriche; l’autrice segue un’altra strada; ma il secolo è triste, suscettibile, ed è necessario stare attenti, anche pubblicando un opuscolo che, come ho già detto all’autrice, fra sei mesi al massimo sarà già dimenticato, come succede ai migliori del suo genere.
Intanto, sollecitiamo un po’ di quell’indulgenza dimostrata verso gli autori della commedia dei Trois Quartiers,3 che hanno presentato al pubblico uno specchio. È forse colpa loro se davanti a quello specchio è passata della brutta gente? Di che partito è mai uno specchio?
Nello stile di questo romanzo si potranno trovare delle espressioni ingenue, che non ho avuto il coraggio di cambiare. Non c’è niente di più noioso, per me, dell’enfasi germanica e romantica. Diceva l’autrice: «Una eccessiva ricerca di forme nobili produce aridità e distacco. Si legge con piacere una pagina, ma quel preziosismo seducente fa chiudere il libro alla fine del capitolo, e noi vogliamo che se ne leggano, invece, molti capitoli; lasciatemi allora la mia semplicità agreste o borghese».
Notate che l’autrice sarebbe disperata se io le attribuissi uno stile borghese. C’è una fierezza infinita nel suo cuore. Un cuore che appartiene a una donna che si sentirebbe più vecchia di dieci anni se il suo nome fosse conosciuto. D’altra parte, con un soggetto simile…
STENDHAL
Saint-Gingouf,4 23 luglio 1827.
I
It is old and plain
… It is silly sooth
And dallies with the innocence of love.
Twelfth Night, act II1
Octave aveva solo vent’anni, ed era appena uscito dall’École Polytechnique.2 Suo padre, il marchese de Malivert, avrebbe voluto che il suo unico figlio rimanesse a Parigi.
Quando Octave fu sicuro che questo era il desiderio costante di un padre che rispettava e di sua madre, che egli amava quasi con passione, rinunciò al progetto di entrare in artiglieria. Avrebbe voluto passare qualche anno in un reggimento, per poi dare le dimissioni fino alla prima guerra alla quale gli sarebbe stato indifferente partecipare con il grado di tenente o con quello di colonnello. Ecco un esempio delle singolarità che lo rendevano odioso agli uomini volgari.
Molto intelligente, alto di statura, nobile nei modi, grandi occhi neri bellissimi, Octave avrebbe potuto avere un posto tra i giovani più in vista della società , se qualcosa di cupo, impresso in quegli occhi così dolci, non avesse indotto a compiangerlo più che a invidiarlo. Avrebbe fatto sensazione, se avesse avuto voglia di parlare; ma Octave non desiderava nulla, nulla sembrava dargli né dolore né piacere. Spesso malato nella sua prima giovinezza, da quando aveva riacquistato forza e salute, lo si era sempre visto sottomettersi senza esitazione a ciò che gli sembrava stabilito dal dovere; ma si sarebbe detto che se il dovere non avesse alzato la voce, non avrebbe trovato alcun motivo per agire. Forse qualche principio singolare, profondamente impresso in quel giovane cuore, e in contraddizione con gli avvenimenti della vita reale, come li vedeva svolgersi attorno a sé, lo portava a raffigurarsi in immagini troppo cupe sia la sua vita futura che i suoi rapporti con gli uomini. Quale che fosse la causa della sua profonda malinconia, Octave appariva precocemente misantropo.3 Il commendatore de Soubirane, suo zio, disse un giorno, davanti a lui, che il suo carattere lo spaventava. «Perché dovrei mostrarmi diverso da come sono? – rispose freddamente Octave. – Vostro nipote seguirà sempre la linea della ragione». «Però, mai, né al di qua né al di là – riprese lo zio con la sua vivacità provenzale. – Ne deduco che se tu non sei il Messia atteso dagli ebrei, sei Lucifero in persona, tornato apposta in questo mondo per darmi dei pensieri. Chi diavolo sei? Non riesco a capirti; sei il dovere incarnato.» «Come sarei felice di non venir mai meno al mio dovere! – disse Octave. – Come vorrei poter rendere al Creatore la mia anima pura come l’ho ricevuta!» «Miracolo! – esclamò il commendatore. – Ecco il primo desiderio che sento esprimere, in un anno, da quest’anima tanto pura da sembrare di ghiaccio!» E, soddisfatto delle sue parole, lasciò il salotto di corsa.
Octave guardò la madre con tenerezza. Lei sapeva bene se la sua era davvero un’anima di ghiaccio. Della signora de Malivert si poteva dire che era rimasta giovane benché fosse prossima alla cinquantina. Non solo perché era ancora bella, ma perché, assieme a uno spirito davvero singolare e molto acuto, aveva conservato una partecipazione viva e gentile per i casi degli amici, e anche per le gioie e i dolori dei giovani. Condivideva con naturalezza le loro ragioni di speranza o timore, tanto che sembrava fosse lei stessa a sperare o a temere. Questo tipo di carattere sta perdendo la sua grazia da quando la mentalità corrente sembra imporlo in modo convenzionale alle donne di una certa età che non si mostrino devote; ma l’affettazione non aveva mai sfiorato la signora de Malivert.
I suoi domestici avevano notato da un po’ di tempo che quando usciva prendeva una carrozza pubblica, e spesso, tornando, non era sola. Saint-Jean, un vecchio cameriere curioso, che aveva seguito i padroni nell’emigrazione, volle sapere chi fosse l’uomo che tante volte lei si era portata in casa. Il primo giorno Saint-Jean perse di vista lo sconosciuto nella folla. Al secondo tentativo la sua curiosità ebbe maggior successo: vide infatti quel personaggio entrare all’ospedale della Charité, e seppe dal portiere che si trattava del celebre dottor Duquerrel.4 I domestici scoprirono che la loro padrona portava in casa, uno dopo l’altro, i medici più celebri di Parigi, e quasi sempre riusciva a fare in modo che vedessero suo figlio.
Colpita dalle stranezze che osservava in Octave, temeva che fosse malato di petto. Ma pensava che se per disgrazia aveva visto giusto, nominare quella crudele malattia sarebbe stato come accelerarne il corso. Alcuni medici, persone molto acute, le dissero che il figlio non aveva altra malattia che quella specie di tristezza scontenta e critica, tipica dei giovani del suo tempo e della sua condizione; ma l’avvertirono che proprio lei, invece, avrebbe dovuto aver la massima cura del suo petto. Questa fatale notizia divenne nota in casa per il regime a cui le fu necessario sottomettersi, e il signor de Malivert, al quale invano si cercò di nascondere il nome della malattia, intravide la possibilità di una vecchiaia in solitudine.
Molto sventato e molto ricco prima della rivoluzione, il marchese era tornato in Francia solo nel 1814, al seguito del re, trovandosi costretto a vivere, dopo le confische, con una rendita di venti o trentamila franchi. Pensava di essere ridotto alla miseria. Nella sua mente, che non era mai stata eccezionale, c’era un solo pensiero: il matrimonio di Octave. Ma, fedele più all’onore che all’idea stessa che lo tormentava, il vecchio marchese non mancava mai di iniziare con queste parole i suoi approcci in società : «Posso offrire un buon nome, una genealogia sicura fin dalla crociata di Luigi il Giovane, e non conosco a Parigi che tredici famiglie in grado di camminare a testa alta, a questo riguardo; peraltro mi vedo ridotto alla miseria, all’elemosina: sono un pezzente!».
Questo modo di vedere, in un uomo anziano, non è certo adatto a procurare quella rassegnazione dolce e filosofica che è l’allegria della vecchiaia; e senza le battute pungenti del vecchio commendatore de Soubirane, meridionale un po’ matto e alquanto maligno, la casa in cui viveva Octave si sarebbe segnalata, per la sua tristezza, persino nel faubourg Saint-Germain. La signora de Malivert, che nulla, neppure la cattiva salute, avrebbe potuto distrarre dalle sue ansie per il figlio, usò come pretesto le sue condizioni preoccupanti per frequentare con assiduità due medici famosi, dei quali volle conquistare l’amicizia. Siccome questi due signori erano l’uno il capo e l’altro un fervente promotore di due sette rivali, le loro discussioni, benché su un soggetto tristissimo per chi non fosse animato da interesse per la scienza e per il problema in questione, divertivano talvolta la signora, che aveva conservato uno spirito vivo e curioso. Li invitava a parlare e, grazie a loro, almeno, di tanto in tanto, qualcuno alzava la voce nel salotto così nobilmente decorato, ma tanto cupo, di palazzo Malivert.
Una tappezzeria di velluto verde, sovraccarica di dorature, sembrava fatta apposta per assorbire tutta la luce proveniente da due immense finestre, con dei cristalli al posto dei vetri. Erano finestre che davano su un giardino solitario diviso in bizzarri scomparti da siepi di bosso. Un filare di tigli, che venivano regolarmente potati tre volte all’anno, ne ornava lo sfondo, e quelle forme immobili sembravano un’immagine vivente della vita morale della famiglia. La camera del giovane visconte, situata sopra il salotto e sacrificata alla bellezza di quello spazio essenziale, era alta appena quanto un ammezzato. Octave detestava quella stanza, di cui pure tante volte aveva fatto le lodi davanti ai genitori. E temeva che qualche involontaria esclamazione potesse tradirlo, svelando come quella camera e la casa tutta gli fossero insopportabili.
Rimpiangeva molto la sua celletta dell’École Polytechnique. Aveva caro il ricordo del suo soggiorno in quella scuola, poiché gli offriva l’immagine del ritiro e della tranquillità di un monastero. Per molto tempo Octave aveva pensato di ritirarsi dal mondo e dedicare la sua vita a Dio. Quest’idea aveva allarmato i suoi genitori e soprattutto il marchese, che vedeva in quel disegno la conferma di tutti i suoi timori relativi all’abbandono paventato per la sua vecchiaia. Ma cercando di conoscere meglio le verità della religione, Octave era stato indotto allo studio degli scrittori che negli ultimi due secoli hanno cercato di spiegare in quale modo l’uomo pensa e vuole, e le sue idee erano cambiate; ma non quelle di suo padre. Il marchese vedeva con una sorta di orrore l’appassionarsi ai libri di un giovane gentiluomo, temeva sempre qualche ricaduta, ed era questo uno dei principali motivi per cui desiderava che Octave si sposasse al più presto.
Erano le ultime belle giornate d’autunno, la primavera di Parigi. La signora de Malivert diceva a suo figlio: «Dovresti andare a cavallo». Octave vide in quella proposta solo un aggravio di spese, e poiché le lamentazioni continue del padre gli facevano credere la fortuna della famiglia ben più ridotta di quanto fosse in realtà , rifiutò più volte.
«A che scopo, mamma cara? – diceva. – So andare a cavallo molto bene, ma la cosa non mi dà alcun piacere.» La signora de Malivert fece portare in scuderia un bellissimo cavallo inglese, la cui grazia e giovinezza facevano uno strano contrasto con i due vecchi cavalli normanni che, da dodici anni, servivano alle necessità della casa. Octave provò imbarazzo per quel regalo. Per due giorni ne ringraziò la madre, ma al terzo, trovandosi solo con lei ed essendo caduto il discorso sul cavallo inglese: «Ti voglio troppo bene per ringraziarti ancora – disse prendendole la mano e premendola alle sue labbra. – Ma come potrei non essere sincero con la persona che più amo al mondo? Questo cavallo vale 4000 franchi, e tu non sei così ricca da sopportare senza problemi una spesa del genere».
La signora de Malivert aprì il cassetto di un sécretaire: «Ecco il mio testamento – disse; – ti lasciavo i miei diamanti, ma a una precisa condizione: finché fosse durato il ricavo della loro vendita, avresti avuto un cavallo da montare ogni tanto, per obbedirmi. Ho fatto vendere segretamente due di questi diamanti per avere la gioia di poterti vedere su un bel cavallo finché sono in vita. Uno dei maggiori sacrifici che mi ha imposto tuo padre è proprio l’obbligo di non potermi disfare di questi gioielli, così poco adatti a me. Ha una certa speranza politica, secondo me poco fondata, e si crederebbe due volte più povero e decaduto il giorno in cui sua moglie non avesse più i diamanti».
Una profonda tristezza apparve sul volto di Octave, che rimise nel cassetto quella carta, il cui nome gli richiamava un avvenimento così crudele e forse così vicino. Prese ancora la mano della madre, e la tenne fra le sue, in un gesto che si permetteva raramente. «I progetti di tuo padre – continuò lei – dipendono da quella legge sulle indennità di cui ci parlano da tre anni.»5 «Desidero fortemente che venga respinta» disse Octave. «E perché? – riprese sua madre, rapita nel vederlo animarsi per qualcosa e darle quella prova di stima e di amicizia. – Perché vorresti che fosse respinta?» «Prima di tutto perché, non essendo completa, mi sembra poco giusta; e in secondo luogo perché dovrò sposarmi. Sfortunatamente ho un carattere singolare, ma non sono stato io a farmi così; tutto quello che ho potuto fare è stato di conoscermi. Eccetto i momenti in cui posso gioire della fortuna di stare solo con te, il mio unico p...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione di André Gide
- Cronologia a cura di Franca Zanelli Quarantini
- Nota bibliografica
- ARMANCE
- Note a cura di Mariella Di Maio
- Copyright