La sagra del delitto
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La sagra del delitto

  1. 210 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La sagra del delitto

Informazioni su questo libro

Stanco delle tradizionali cacce al tesoro che animano le feste campestri di beneficenza, tanto amate dalla buona società inglese, il ricco Sir George Stubbs organizza una ben più eccitante «caccia all'assassino», con finto cadavere e finto omicida da scoprire. Qualcuno, tuttavia, prende la cosa un po' troppo sul serio, e il divertimento si trasforma in tragedia: il cadavere che viene scoperto è reale! Sfortunatamente per l'assassino, tra gli ospiti c'è anche Hercule Poirot, e sarà proprio lui a prendere in mano il gioco.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804558415

1

Fu la signorina Lemon, l’efficiente segretaria di Poirot, a prendere la telefonata.
Posando il blocco da stenografia, alzò il microfono e disse in tono distaccato: «Trafalgar 8137».
Hercule Poirot si appoggiò alla spalliera rigida della seggiola e chiuse gli occhi. Cominciò a tamburellare leggermente con le dita sull’orlo del tavolo. Aveva l’aria meditabonda.
Coprendo il microfono con la mano, la signorina Lemon gli domandò a bassa voce: «Siete disposto a ricevere una telefonata con preavviso da Nassecombe, Devonshire?».
Poirot aggrottò le sopracciglia. Quel posto non gli diceva niente.
«Il nome della persona che mi sta chiamando?» domandò in tono cauto.
La signorina Lemon tornò a parlare nel microfono. «Air-raid?» domandò con aria dubbiosa. «Oh, sì: potete ripetere il nome?»
Si rivolse nuovamente a Hercule Poirot.
«La signora Ariadne Oliver.»
Le sopracciglia di Hercule Poirot scattarono verso l’alto. Un ricordo affiorò nella sua memoria: capelli grigi alla “colpo di vento”, profilo aquilino…
Si alzò e prese il posto della signorina Lemon al telefono.
«Hercule Poirot» annunciò in tono magniloquente.
«Chi è all’apparecchio? Il signor Hercule Poirot in persona?» domandò la telefonista.
Poirot le assicurò che era proprio lui, in carne e ossa.
«Prego, parlate pure» disse la voce.
Al suo tono alto e fievole si sostituì un magnifico contralto rimbombante che costrinse Poirot a scostare rapidamente la cornetta dall’orecchio.
«Monsieur Poirot, siete proprio voi?» domandò la signora Oliver.
«Sì, sono io, madame
«Sono Ariadne Oliver. Non so se vi ricordate di me…»
«Ma certo, madame. Chi potrebbe dimenticarvi?»
«Be’, a volte capita» disse la signora Oliver. «Anzi, sovente. Non credo di avere una personalità molto spiccata. O forse dipende dal fatto che cambio spesso pettinatura. Ma tutto questo adesso non c’entra. Spero di non avervi interrotto in un momento di particolare lavoro.»
«No, no, nessun disturbo, vi assicuro.»
«Dio benedetto… non vorrei davvero distrarvi, perché ho assoluto bisogno di voi.»
«Bisogno di me?»
«Sì, e subito. Potete prendere un aereo?»
«Io non prendo mai l’aereo. Soffro di mal d’aria.»
«Anch’io. E comunque non credo che sarebbe più rapido del treno, dato che, se non erro, l’aeroporto più vicino è quello di Exeter, a parecchi chilometri di distanza da qui. Allora venite in treno. Ce n’è uno che parte alle dodici in punto dalla stazione di Paddington. Ce la fate di sicuro, avete tutto il tempo. Esattamente tra tre quarti d’ora, se il mio orologio è esatto… cosa che non capita abitualmente.»
«Ma dove vi trovate, madame? E di che cosa si tratta con esattezza?»
«Sono a Nasse House. Troverete un’auto privata o un taxi ad aspettarvi alla stazione di Nassecombe.»
«Ma per quale motivo avete bisogno di me? Si può sapere cos’è tutta questa faccenda?» ripeté Poirot, nervoso.
«I telefoni si trovano sempre nei posti meno adatti» disse la signora Oliver. «Questo è proprio nell’atrio… C’è gente che va e viene, che chiacchiera… Non riesco a sentirvi bene. Vi aspetto. Chissà come saranno tutti elettrizzati… A presto!»
Si udì un clic molto secco, mentre la signora Oliver riattaccava, e poi un flebile segnale di libero.
Con aria sconcertata e stupefatta, Poirot agganciò e mormorò qualcosa sottovoce. La signorina Lemon, senza ombra di curiosità, era ritornata nella posizione di prima, con la matita pronta appoggiata sul blocco da stenografia. Rilesse a voce bassa l’ultima frase che le era stata dettata prima dell’interruzione.
«E permettetemi di assicurarvi, mio caro signore, che l’ipotesi da voi avanzata…»
Poirot accantonò con un rapido gesto l’avanzamento dell’ipotesi.
«Era la signora Oliver» disse. «Ariadne Oliver, scrittrice di romanzi polizieschi. Forse ne avrete letto qualcuno…» Ma si interruppe all’istante, ricordando che la signorina Lemon leggeva soltanto libri culturalmente impegnati e considerava frivola tutta la letteratura d’evasione. «Vuole che parta oggi stesso per il Devonshire, immediatamente, per l’esattezza fra…» lanciò una rapida occhiata all’orologio «trentacinque minuti.»
La signorina Lemon alzò le sopracciglia con aria di disapprovazione. «Mi sembra che allora non ci sia tempo da perdere» disse. «E qual è la ragione?»
«Chi lo sa? Non me l’ha detto!»
«Stranissimo, davvero. E perché non ve l’ha detto?»
«Perché temeva di essere udita da orecchie indiscrete» rispose Hercule Poirot con aria assorta. «Sì, su questo punto è stata molto chiara.»
«Be’, questa, poi!» esclamò la signorina Lemon, fremente di collera, lanciandosi in difesa del suo principale. «Le pretese di certa gente sono incredibili! Ma come si fa a pensare che un uomo della vostra importanza possa precipitarsi sul primo treno per avventurarsi in chissà quale impresa! Ho sempre notato la mancanza di equilibrio di tanti artisti e scrittori… Non hanno il senso della misura. Devo dettare un telegramma: “Dolente ma impossibilitato lasciare Londra”?»
La sua mano si allungò verso il telefono. Ma la voce di Poirot l’arrestò a mezz’aria.
«Du tout!» disse. «Al contrario. Volete essere tanto gentile da chiamarmi immediatamente un taxi?» Poi, alzando la voce, aggiunse: «Georges! Qualche effetto personale, giusto l’indispensabile, nella mia valigia piccola. Presto, prestissimo, perché ho un treno da prendere».
Il treno, dopo aver percorso a gran velocità quasi trecento dei trecentocinquanta chilometri previsti, proseguì sbuffando lievemente quasi volesse scusarsi per gli ultimi cinquanta, ed entrò rallentando nella stazione di Nassecombe. Ne scese una persona soltanto: Hercule Poirot.
Dopo aver oltrepassato con cura il pericoloso varco che si apriva fra il gradino del treno e la pensilina, si guardò intorno. In fondo al treno un facchino stava trafficando intorno al vagone bagagliaio. Poirot afferrò la sua valigetta e si incamminò verso l’uscita. Consegnò il biglietto e uscì passando dalla biglietteria. Un’imponente Humber chiusa era accostata al marciapiede. Un autista in divisa si fece avanti.
«Il signor Hercule Poirot?» domandò in tono rispettoso.
Tolse la valigia di mano a Poirot e aprì una portiera dell’automobile. Lasciandosi la stazione alle spalle, passarono sul ponte della ferrovia e svoltarono in una strada di campagna che si snodava tortuosa fra due alte siepi. Poco più avanti, il terreno si faceva scosceso e, sulla destra, il panorama diventava bellissimo: si vedeva un fiume, in lontananza, e delle colline di un tenue color azzurrino, velate da un po’ di foschia. L’autista portò la macchina sull’orlo della strada, a filo con la siepe, e si fermò.
«È il fiume Helm, signore» disse. «E là in fondo c’è Dartmoor.»
Era chiaro che occorreva manifestare la propria ammirazione. Poirot proruppe nelle inevitabili esclamazioni del caso, e mormorò più di una volta: “Magnifique!”. In realtà, la natura suscitava in lui uno scarsissimo interesse. Era più facile che, a strappare un mormorio di ammirazione dalle labbra di Poirot, fosse un orto curato, in ordine, ben coltivato. Due ragazze oltrepassarono la macchina, arrancando lentamente su per la collina. Portavano sul dorso pesanti zaini ed erano entrambe in calzoncini corti. Attorno al capo avevano annodato un foulard a vivaci colori.
«Proprio vicino a noi, signore, c’è un ostello della gioventù» spiegò l’autista, il quale evidentemente si sentiva in dovere di fare da guida del Devonshire a Poirot. «Hoodown Park. In passato apparteneva al signor Fletcher. Ma adesso l’associazione degli ostelli della gioventù lo ha acquistato e in estate è affollatissimo. Possono ospitare anche un centinaio di questi ragazzi per notte, davvero! Ma non è permesso fermarsi più di un paio di notti; poi se ne devono andare. Lo frequentano maschi e femmine, per lo più stranieri.»
Poirot annuì distrattamente. Stava considerando, e non per la prima volta, come “visti da dietro” i calzoncini corti donassero solo a ben poche rappresentanti del gentil sesso. Chiuse gli occhi come se ne soffrisse. Perché mai tante creature così giovani e carine si dovevano conciare in quel modo? Quelle cosce rosso acceso erano incredibilmente poco attraenti!
«Sembrano piuttosto cariche» mormorò.
«Sì, signore, e la strada per Hoodown Park è lunga, sia dalla stazione sia dalla fermata dell’autobus. Più o meno tre chilometri.» Esitò un istante. «Avreste niente in contrario, signore, se offrissimo un passaggio alle ragazze?»
«No di certo! Fate pure» disse Poirot, in tono bonario. Lui se ne stava lì, su una comoda, lussuosa automobile vuota, mentre quelle due ragazze sudate arrancavano con il fiato corto, gli zaini in spalla pesanti come macigni e del tutto ignare del modo adatto di vestirsi per apparire attraenti all’altro sesso! L’autista avviò la macchina e ripartì lentamente, con il motore che rombava sommesso per andare a fermarsi vicino alle due ragazze. I loro visi, arrossati e grondanti di sudore, si alzarono carichi di speranza.
Poirot aprì lo sportello e le ragazze salirono.
«Moltissimo gentile, grazie» disse una di loro, una bella biondina straniera. «Strada più lunga di quello che io credere, sì.»
L’altra ragazza, con il viso bruciato dal sole e quasi cianotico per la fatica, aveva i capelli ricci di un bel color castano dorato che sfuggivano da sotto il foulard. Si limitò ad annuire parecchie volte, poi abbozzò un sorriso abbagliante e mormorò “Grazie” in italiano. Intanto la biondina continuava a discorrere con vivacità.
«Io vengo in Inghilterra per vacanza per due settimane. Sono di Olanda. Mi piace moltissimo Inghilterra. Sono stata Stratford Avon, teatro di Shakespeare e castello Warwick. Poi andata Clovelly, adesso visto Exeter, e cattedrale, e anche Torquay molto carina… Adesso voglio vedere bel posto famoso qui e domani attraverso fiume vado a Plymouth dove da Plymouth Hoe sono partiti per scoperta del Nuovo Mondo.»
«E voi, signorina?» Poirot si rivolse all’altra ragazza. Ma questa si limitò a sorridere, scuotendo i riccioli.
«Lei non sa molto inglese» disse gentilmente la piccola olandese. «Noi due parliamo un po’ francese, così conosciute in treno. Lei viene da vicino Milano e ha parente in Inghilterra sposata a signore con negozio di drogheria. È venuta con amica a Exeter ieri, ma amica ha mangiato pasticcio di vitello e prosciutto non buono, comprato in negozio di Exeter, e adesso è là, malata. Non è buono pas...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La sagra del delitto
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16
  20. Capitolo 17
  21. Capitolo 18
  22. Capitolo 19
  23. Capitolo 20
  24. Copyright