Caro signor Birkway,
dunque, ecco qui la mia cronaca estiva. Come può vedere, mi sono fatta prendere un po’ la mano.
C’è un problema, però: non voglio che la legga.
Dico davvero. Volevo solo dimostrarle che l’ho scritta. Non volevo che mi giudicasse una di quelle ragazzine che dicono: «Sì, l’ho scritta, ma l’ho persa/me l’ha mangiata il cane/il mio fratellino l’ha buttata nel gabinetto».
Ma per favore, PER FAVORE NON LA LEGGA! Come potevo immaginare tutto quello che sarebbe successo durante le vacanze? Pensavo che sarebbe stata la solita lunga estate pigra. Come potevo immaginare che Carl Ray sarebbe arrivato in città, trasformando ogni cosa in un’odissea? Sigh!
PER FAVORE NON LA LEGGA. Dico sul serio.
Sinceramente,
Mary Lou Finney
Martedì 12 giugno
Vorrei che qualcuno mi spiegasse esattamente che cos’è una cronaca estiva. L’ho chiesto a mia madre, e lei ha risposto: «È una specie di diario, però diverso». Bell’aiuto. Veramente stava per aggiungere qualcos’altro, ma proprio allora la signora Furtz (la signora che è venuta ad abitare dall’altra parte della strada) ha telefonato per avvisarci che mio fratello Dennis stava bersagliando di uova la sua casa, perciò mia madre si è imbufalita e alla fine non mi ha spiegato niente. Come faccio a scrivere una cronaca se non so neppure che cos’è?
Fosse per me, non mi passerebbe neanche per l’anticamera del cervello, ma è stata la signora Zollar a chiedermelo. È la nostra insegnante di inglese. Ci ha chiesto di scrivere una cronaca di quello che ci capiterà durante le vacanze estive e di consegnarla (a settembre) al nostro nuovo insegnante.
Perciò, nuovo insegnante d’inglese, credo che farei meglio a presentarmi. Mi chiamo Mary Lou Finney, ma questo l’avrà già capito, visto che ho scritto il mio nome sulla prima pagina. Abito al 4059 di Buxton Road a Easton, Ohio. Ho una famiglia mediamente stramba. Eccone i personaggi principali, per così dire:
Sam Finney (non sono autorizzata a rivelarne l’età) è il padre. Un padre piuttosto nella norma. A volte gli andiamo a genio, e a volte lo facciamo ammattire. Quando lo facciamo ammattire, esce in giardino e comincia a strappare erbacce. Fa il geologo e passa il suo tempo disegnando mappe.
Sally Finney (non sono autorizzata a rivelarne l’età né a lei, né a nessun altro) è la madre. Anche lei è piuttosto nella norma. A volte ci riempie di coccole, a volte chiede a papà di “rimetterci in riga”. Quando facciamo ammattire lei, di solito spreme qualche lacrimuccia. Si occupa di storia delle tradizioni orali e passa le sue giornate a registrare storie che le vengono raccontate da ogni genere di vecchietti. Dev’essere per questo che, quando torna a casa, non ha tanta voglia di ascoltarci.
Maggie Finney (diciassette anni) è la figlia maggiore. Nonché mia sorella. Il classico tipo di sorella maggiore che va matta per i ragazzi e passa il suo tempo a dipingersi le unghie con un broncio lungo così. Ho la sfortuna di dividere la stanza con lei. Non sopporta che tocchi le sue cose.
Mary Lou Finney (tredici anni). Cioè io. Non so che cosa sono. Devo ancora scoprirlo.
Dennis Finney (dodici anni) è il tipo di fratello che un momento si arrampica su un albero insieme a te e subito dopo ti fa la spia. Si caccia in una discreta quantità di guai (tipo farsi beccare mentre tira uova contro la casa dei vicini, spaccare vetri tirandoci contro mele eccetera), ma a parte questo non è male.
Doug Finney (meglio noto come Dougie, otto anni) tende a confondersi tra la folla. È tutto pelle e ossa e sta sempre appiccicato a qualcuno. È il più silenzioso e serio fra tutti noi, così a nessuno secca molto averlo alle calcagna, e si autodefinisce un “poveretto”.
Tommy Finney (quattro anni) è il tipico marmocchietto viziato. È così carino che gliele passiamo tutte lisce. Quando mangia è una calamità.
Si sarà accorto che i miei genitori hanno fatto un bel lavoro con le iniziali. Maggie e Mary Lou. Dennis e Doug. Capito? Dev’essere perché loro si chiamano Sally e Sam. Tommy li ha presi alla sprovvista. Veramente si sarebbe dovuto chiamare David, ma poi mamma ha detto: «Dai, cominciamo una nuova iniziale» e papà ha soffocato un gemito. Era solo una battuta, però. Papà non vuole altre T. Per lui siamo più che abbastanza.
Scrivere questa cronaca è meno difficile di quanto pensassi. Mi auguro solo di farlo nel modo giusto. Sarebbe terribile passare tutta l’estate a scriverla, per poi consegnarla a qualcuno che le dà un’occhiata e osserva: «Ma questa non è una cronaca, cara».
Quando la professoressa ci ha assegnato questo compito avrei voluto farle un milione di domande, ma Alex Cheevey continuava a gettarmi strane occhiate, e poi, dopo la lezione, mi ha detto: «Insomma! Noi non vogliamo saperne troppo. Se no poi ci tocca farlo bene. Non ti riesce proprio di tenere il becco chiuso?».
Adesso farò una riflessione. Alex Cheevey è una testa di rapa. Un tempo lo trovavo carino, perché ha sempre le guance colorite come se avesse corso e i capelli puliti e lucidi, e una volta abbiamo fatto una ricerca insieme e anche se il grosso del lavoro è toccato a me, lui è stato molto gentile e quando abbiamo finito mi ha dato una pacca sulle spalle, ed è senza dubbio il miglior giocatore della squadra di pallacanestro della scuola, ed è una gioia guardarlo correre e palleggiare. Ma ora, a ripensarci, mi rendo conto che è proprio un idiota.
Mercoledì 13 giugno
Me ne stavo qui seduta a pensare a venerdì scorso, l’ultimo giorno di scuola. È stato allora che ho sentito Christy e Megan parlare della festa di Christy. Si sono zittite appena mi hanno vista. Non mi hanno invitata. Organizzano feste di continuo, quelle due, e invitano solo chi è carino con loro e le riempie di complimenti. Veramente una volta mi hanno invitata, ma solo perché avevo portato i compiti a Megan quando era malata: ero rimasta tre ore da lei a spiegarglieli e gliene avevo perfino fatto qualcuno, e così per una settimana circa era stata mia amica.
Ma la festa era la più stupidissima (lo so che “più stupidissima” non si dice) che avessi mai visto, con le ragazze che ridacchiavano in mezzo alla stanza e i ragazzi appoggiati al muro; a un certo punto hanno messo su un po’ di musica e hanno cominciato a ballare, le ragazze con le ragazze, finché è arrivato un lento e allora si sono decisi a ballare pure i ragazzi, ma solo per sbavare sul collo delle ragazze e sentirsi tanto “uomini veri”. Nessuno però ha invitato me, così sono rimasta accanto al tavolo delle cibarie fingendo di avere una fame da lupo.
Di solito non rifletto sulle cose, ma ecco qui una bella riflessione su queste feste. Il solo motivo per cui le fanno (lo so, io ne ho vista soltanto una, ma da quanto mi dicono sono tutte uguali) è permettere alle ragazze di sfoggiare i loro vestiti alla moda, scodinzolare al centro della stanza e farsi ammirare dai ragazzi appoggiati al muro. Ma se fossi un ragazzo, mi sentirei a disagio e molto imbarazzato per loro. Preferirei di gran lunga che organizzassero qualcosa di interessante, tipo una partita di pallacanestro o le sciarade, così almeno si potrebbe fare qualcosa.
Dopo gli esami, Christy si è avvicinata ad Alex con passo felino e ha miagolato: «Allooooora, Alex, ci vediamo stasera». (Voglio cimentarmi in un tentativo di dialogo.)
Per tutta risposta, Alex si è guardato le scarpe e ha bofonchiato: «Mmm».
Christy ha mosso le spalle come una vamp e ha detto con una vocina sottile: «Verraaaai, vero?».
Alex ha unito le punte delle scarpe come se avesse i piedi storti, e ha fatto di nuovo: «Mmm».
«Alle otto in punto» ha insistito Christy, piantandoglisi praticamente sotto il naso. «Mi raccomando!» Dopodiché gli ha fatto pat-pat sulla spalla, si è voltata e si è allontanata sculettando. Oddio!
Dopo le lezioni sono tornata a casa insieme a Beth Ann. Beth Ann Bartels è la mia amica del cuore, o almeno credo. Siamo molto diverse, però siamo amiche fin dalla quarta elementare e non abbiamo mai litigato. Io le racconto quasi tutto e lei mi racconta proprio tutto, anche quello che non ci tengo a sapere, tipo cosa ha mangiato a colazione, che pigiama si mette suo padre e quanto costa l’ultimo maglione che si è comprata. Insomma, certe cose non sono per niente interessanti.
Comunque, strada facendo, di colpo mi è venuto in mente che la scuola era finita, era estate, dal giorno seguente avrei cominciato a spassarmela e per tre mesi non avrei rivisto la maggior parte dei miei compagni. Beth Ann e io viviamo proprio sul confine del distretto scolastico, a quasi tre chilometri dalla scuola. Be’, mi sono sentita un po’ triste! E poi ho pensato: è un c...