In questo momento, sono un uomo in pace. La mia furia è in un periodo di remissione, la mia feroce ambizione per ora è in fase calante e mi permette una sorta di pacata e grande contentezza, e stasera, per la prima volta da anni, non sento il dolore di quando ero bambino. Sono seduto a un tavolo con Roger, Petrov e Volokh, e il ristorante mi rammenta la casa di Frankmann in Siberia: rivestimento in mogano, ringhiere di ottone e tappeti orientali. Perla è con noi, ed è seduta fra me e Roger. Perla e Roger si adorano, e l’amicizia che sta nascendo fra loro è uno spettacolo fantastico. Siamo in un ristorante in centro, un locale di lusso scelto da Petrov, e stiamo festeggiando il mio ingresso nella lista degli uomini più ricchi della città. Immagino che avere i requisiti per un elenco del genere sia un’ottima cosa, ma farne effettivamente parte invece sia una pessima cosa.
I miei amici mi fanno un dono per celebrare questo risultato. È una targa – argento e legno di ciliegio – con le seguenti parole: SONO UNO STRONZO RICCO. Adoro questo regalo. Lo sollevo alla luce. Leggilo, leggilo ad alta voce, mi incitano gli amici. Cedo. Sono uno stronzo ricco, proclamo. E allora i miei amici gridano di gioia e alzano il bicchiere per brindare sia al mio successo che alla loro felicità per il mio successo, a quanto sono orgogliosi di me. Brindano anche alla loro onestà, all’integrità della nostra amicizia che garantisce loro la libertà di prendermi in giro. La maggior parte delle persone con cui ho a che fare adesso si inchina di fronte alla mia ricchezza, ed è ossequiosa al punto che io mi sento totalmente distaccato. Ma non è così con i miei amici intimi, il nucleo della mia vita. Essere preso in giro significa essere accettato, essere uguale. E perciò, ora come ora, sono in pace.
Ogni tanto, però, sono depresso. E quando sono depresso, il che avviene periodicamente, mi sento protagonista di una storia negativa. O forse è il contrario; forse mi deprimo perché la mia storia prende una piega negativa. In ogni caso, la storia negativa più o meno è questa: mio padre era uno squilibrato adrenalinico talmente spericolato, talmente egoista da farsi ammazzare, privando me di un padre e mia madre di un marito; mia madre era un’eroinomane e una prostituta che mi ha abbandonato; ho visto mia madre fare un pompino a Krepučkin; ho ucciso un uomo; ho perso i miei migliori amici per quasi vent’anni; mia moglie è rimasta paralizzata e sono convinto che, nonostante Sophie lo neghi, sia stata anche colpa mia; sono stato un uomo iroso, violento e intollerante; di tanto in tanto provo un senso di assoluta inadeguatezza; non ho tenuto fede ai voti di fedeltà coniugale e mi sono messo con una spogliarellista; e sono talmente ossessionato dal successo negli affari che non esiste denaro a sufficienza per colmare quel vuoto.
Ma quando la mia storia diventa così negativa, la cerchia degli intimi riesce sempre a rimettermi in sesto. Uno o l’altro di loro mi dice: siamo noi a decidere come raccontarci la nostra storia. Puoi scegliere la versione con spericolatezza e droga, pompino e orfanotrofio di merda, oppure ti puoi raccontare una storia diversa, altrettanto vera ma più consolatoria.
La storia positiva più o meno è questa: mio padre era un uomo coraggioso e forte che aveva cura di me e di mia madre e rappresentava un mito per un intero villaggio; mia madre soffrì profondamente quando l’amore della sua vita morì e, disposta a tutto pur di poter provvedere a me, fece molti errori terribili; la dipendenza dalle droghe di mia madre non era frutto di debolezza o amoralità, ma della malattia; mia madre ha saputo ricostruire la propria vita e salvarmi dall’orfanotrofio con un gesto di eroismo, sacrificando per me la sua stessa dignità; ho avuto la benedizione di possedere l’occasione e la volontà di uccidere l’uomo che ha umiliato mia madre, e Dio mi ha di conseguenza assolto dalla colpa; da quel giorno in poi lei si è presa cura di me e, quando non ha più potuto farlo, mi ha affidato a un uomo buono; quell’uomo, Frankmann, mi ha insegnato a essere duro e scaltro mettendomi così in grado di sopravvivere e di prosperare; al mio arrivo in America ho trovato ad accogliermi una coppia di persone affettuose che, nonostante l’età e la vita faticosa che avevano sostenuto, mi hanno dato una casa accogliente e mi hanno fatto studiare; mi sono innamorato di Sophie, una donna spettacolare che ha saputo trovare un modo straordinariamente creativo e fuori dal comune per liberarmi dal fardello del mio senso di colpa; ho Roger, tenace e leale; ho guadagnato più di una fortuna; ho accumulato abbastanza denaro e legami con gente corrotta sia in Russia che negli Stati Uniti da riuscire a portare qui Petrov, Volokh e le loro famiglie, in modo da trasferire nel mio presente le cose migliori del mio passato; di conseguenza il mio passato è superato in modo selettivo, perché ho la possibilità di decidere chi resta e chi se ne va; ho la possibilità di scegliere; amo; sono amato.
In questo momento, seduto al ristorante, la mia storia è abbondantemente positiva. Come può una vita essere più bella? Non riesco a immaginarla diversa da così. Ma so che verrà il momento in cui la storia cambierà segno, quando la negatività riuscirà di nuovo a sedurmi e vedrò la mia esistenza attraverso un filtro che la svilirà. E allora la mia rabbia affiorerà di nuovo, e l’impulso a uccidere per una giusta causa, se le circostanze lo richiederanno, potrebbe tornare. Impossibile sapere che cosa farà scattare il mutamento. Potrebbe essere qualcosa di grosso, come una minaccia esistenziale per me o per qualcuno che amo. O potrebbe essere una cosa minima, banale, di cui non saprei spiegare l’impatto: un profumo che porta un ricordo, l’insolita direzione del vento, un ramo di edera morta. E quando succederà, e succede sempre, combatterò per cercare di resistere. La mia prospettiva è quella della lotta, una battaglia perenne.
Sophie entra nel ristorante. Scivola verso di noi sulla sua sedia a rotelle e ci alziamo tutti per accoglierla. Stasera è splendida. Sembra a suo agio e in pace col mondo. Bella targa, dice. Tu sei uno stronzo.
Direi che per la prima volta da anni, Sophie è veramente felice. E per la prima volta dopo l’incidente siamo felici insieme, esattamente nello stesso momento.
Dalla mia caduta sono passate otto settimane e stiamo ancora lavorando alla logistica di questa bizzarra intesa. Perla si è trasferita nella camera degli ospiti, che non chiamiamo più camera degli ospiti. Adesso è la camera di Perla. La maggior parte delle notti Julian e io dormiamo insieme, lui sta sul fianco destro, con il braccio sinistro ad abbracciarmi e il destro sotto il mio cuscino. Qualche sera, soprattutto quando mi sento debole e vado a letto presto, Julian si sposta nel letto di Perla. Di solito, prima dell’alba ritorna nel nostro. Ma ci sono notti in cui rimane a dormire con Perla fino al mattino, e torna in camera nostra soltanto dopo che io mi sono alzata. Per ora mi va bene questa distanza minima, semplicemente lo spessore di un muro.
Non voglio sentirli scopare. Non voglio neanche sapere quando scopano. Lo capiscono entrambi, lo intuiscono, e sono perciò molto attenti e discreti. Quello che a me interessa è che Julian soddisfi le sue necessità; che tra me e Perla soddisfiamo tutte le sue necessità. E voglio sapere che Perla sta bene ed è amata. E io anche.
Per il momento, ho l’impressione che ciascuno di noi riceva quanto dà, anche se la natura degli scambi è confusa, e la tempistica imperfetta dei momenti in cui diamo e di quelli in cui riceviamo ci chiede di attingere a profonde riserve di fede. Certi giorni è Julian che mi aiuta a passare dalla sedia al letto, altre volte è Perla. Julian può essere dentro di me oppure dentro Perla, ma mai nello stesso giorno, e sempre separatamente. Le nostre vite sessuali resteranno per sempre in compartimenti stagni, distinte, perché qualunque altra soluzione – fusione o sovrapposizione – violerebbe una specie di patto sacro e distruggerebbe un equilibrio delicato.
Un’imprevista conseguenza della vicinanza di Perla è che Julian e io facciamo l’amore più spesso e con maggiore leggerezza. È come se la presenza di Perla avesse tolto un peso da quell’atto, perché adesso le conseguenze della mia inadeguatezza sessuale non sono più così gravi. Il sesso con Julian non è più soltanto un’azione che non può portare alla riproduzione: adesso è di nuovo un divertimento. Perla ha avuto l’effetto di disinibirmi. Ora penso che, se cago nel letto mentre facciamo sesso, non mi sento così orribilmente come prima, perché adesso Julian può semplicemente andare in un’altra stanza e stare con una donna molto speciale che non ha alcun interesse a distruggere il legame che c’è fra me e lui. E proprio perché la pressione è minore, non mi capita più di sporcare le lenzuola.
La mente vince sulla materia, diciamo.
E poi, naturalmente, c’è Perla. Cara Perla. Soltanto adesso mi pare di cominciare a capire che cosa ottiene lei, da tutto questo. Ma ho paura che, qualunque cosa sia, non sia abbastanza. Ho paura, e per Julian è lo stesso, che un mattino si svegli, si guardi attorno e decida che vuole di più di quello che possiamo darle noi, e allora tutto finirà.
La prima volta che cambio il pannolone a Sophie capita circa tre mesi dopo che è uscita dall’ospedale. Julian è al supermercato e in casa ci siamo soltanto io e lei. Parliamo di un sacco di cose, noi due. Il nostro passato, le nostre famiglie, i nostri sogni. Scopro che la sua è una famiglia operaia dei sobborghi e che non si sarebbe mai immaginata tutta questa ricchezza, e ancora adesso ogni tanto non se ne capacita. All’inizio pensava di farsi soltanto una storia con Julian, e chissà come sarebbe andata. Ma anche se non è nata ricca, Sophie ammette che si è abituata molto in fretta e che per una ragazza è facile formarsi un gusto sofisticato avendo un sacco di soldi e l’accesso ai negozi e ai designer giusti. Io penso che è altrettanto facile formarsi un gusto cafone, perciò il fatto che Sophie abbia saputo creare una casa così stupenda la dice lunga sul suo conto, sulla sua personalità. E anche vedere come rispetta Norma, o quando non ha detto mezza parola la volta che ho combinato un bel pasticcio perché ho messo una tazza bollente sul tavolo di legno senza niente sotto.
Ma non sempre parliamo di cose serie. Facciamo anche un bel po’ di chiacchiere sceme da ragazze, tipo shopping e tagli di capelli e perfino sesso. Mi piace tantissimo sentire le storie di quando Julian era un ragazzo, e Sophie non me le fa mai mancare. Mi racconta cose che non conoscevo ma che ci stanno benissimo rispetto a quello che so di lui, tipo quella volta che ha picchiato suo zio. Dopo due settimane che chiacchieriamo, e solo quando Julian le dà il permesso, Sophie mi parla della sua vita in Russia, di suo padre, sua madre, l’orfanotrofio, Krepučkin, del posto speciale che hanno nel suo cuore Petrov e Volokh e Roger e di come farebbe qualunque cosa per tenerseli vicini.
Quando Sophie mi racconta queste cose piango sempre a fiumi e allora lei mi prende una mano e cerca di consolarmi. Ha ucciso Krepučkin? chiedo, perché questa parte della storia non la capisco tanto. Con le sue mani? E Sophie annuisce, e io mi sento una specie di brivido in petto e nelle cosce, mi eccito un po’. E penso perfetto, è proprio il mio tipo di uomo.
E insomma siamo io e lei sole in casa. Norma è andata a Trinidad a trovare la sua famiglia e Julian è andato a fare la spesa perché abbiamo il frigo vuoto. Più tardi arriva l’infermiera che abbiamo preso per sostituire Norma, perciò siamo coperti. Ma neanche dieci minuti dopo che Julian è uscito, sento arrivare da Sophie un rumore fortissimo e lei mi guarda tutta vergognosa, così capisco benissimo che se l’è fatta addosso. E non è tipo un piccolo movimento intestinale per cui possiamo aspettare che torni Julian. Questo è talmente grosso che oltrepassa i bordi del pannolone e sta macchiando i suoi pantaloni di seta.
Quando è il caso io sono una ragazza dotata di grande spirito pratico, perciò le dico Sophie adesso tu e io ci prendiamo un momento tutto per noi. E lei chiede sei sicura? Un momento? Sì. E la porto in camera da letto, prendo il lettino-doccia e faccio quello che va fatto. Acqua e sapone e il pannolone sporco nel contenitore e le metto quello pulito e anche un po’ di talco come si fa con i bebè. La cosa buffa è che l’odore non mi dà per niente fastidio. Voglio dire, lo sento, e immagino che lo potreste definire veramente un cattivo odore. Ma quando fai qualcosa di testa tua per aiutare qualcun altro, senza pensare alla tua, di merda, ma semplicemente cercando di renderti utile a un altro essere umano che se la passa peggio di te, allora le cose sgradevoli non danno tanto fastidio. La pulisco ben bene, le metto dei vestiti freschi di bucato e la mia ragazza è di nuovo uno spettacolo!
Siamo in soggiorno e Sophie dice ti spiace aprire la finestra e fare entrare un po’ di aria fresca? Ci stavo pensando anch’io ma non volevo offenderla, perciò lo faccio volentieri. Socchiudo la finestra e l’aria si precipita dentro come se fosse tutto il giorno che aspettava di essere invitata. È un’aria fredda, a cui non ero abituata quando stavo a Miami. È una bella sensazione, rinfrescante, e mi chiedo come sarebbe passare tutto l’inverno in questa città, soprattutto adesso che la mamma si è trasferita definitivamente da Felipe.
E proprio mentre mi sto concedendo questa fantasticheria, Julian apre la porta. Io e Sophie abbiamo un sorriso un po’ colpevole e Julian capisce che nascondiamo qualcosa. Che succede? chiede. Hai messo degli altri vestiti, Sophie? Stessi vestiti, dice lei, e non succede niente, siamo solo due ragazze che si divertono un po’.
Julian ha una mezza dozzina di sacchetti e li porta in cucina. Li mette sul tavolo e comincia a tirare fuori tutto quello che ha comprato. Ci sono cose che piacciono a Sophie, cose che non mi ispirano per niente ma sono disposta a provare. Formaggio di capra e pane croccante francese, yogurt greco, un barattolo di una strana mostarda, salmone bollito, mandorle, mirtilli biologici e uova fresche di fattoria. Ormai qui è una moda, un’epidemia. Poi apre un altro sacchetto e dice Perla, sono passato dal negozio sudamericano. E infatti tira fuori un casco di platani maturi, dei manghi, un paio di lattine di fagioli, un pacchetto di riso, dei gamberi freschi, salsa mojo, che adoro, e pastelitos ripieni di guava fresca.
C’è anche una fascina di legna di pino legata con uno spago robusto e Julian me la mostra. Dice fuori si gela, ormai è proprio inverno e credo che sia ora di mettere in funzione il camino. Posa tutto sul banco della cucina, allarga le mani come a indicare che è molto soddisfatto di sé e dice ci vorrà un po’ di tempo, sai, per sistemare tutto.
E allora mi viene in mente il vecchio Pepe e i suoi pappagallini, Chico e Chica. Ricordo le parole di Pepe come se fosse qui a dirmele adesso, con la sua buffa bombetta e il poncho azzurro. Ricorda, Perlita, quando sarai grande, cerca un uomo così, che ti protegga, che pensi prima a nutrire te, che non prenda nulla per sé, né cibo, né abiti, né legna per il fuoco fino a quando tu non ne avrai abbastanza. Guardo Julian e tutto questo cibo latino, un pensiero carino e premuroso ma forse anche un po’ offensivo, ma questo glielo posso spiegare più tardi. Julian in certe cose è un po’ tagliato con l’accetta e ha ancora tanto da imparare.
Guardo Sophie e poi ancora Julian, li assorbo tutti e due. Per guardare lei devo abbassare lo sguardo, per guardare lui alzarlo. Sembrano un po’ preoccupati, nervosi, come se sapessero che bisogna prendere una decisione e non riescano a farlo. Mi guardo i piedi, chino la testa, perché sono molto tesa e non ce la faccio a reggere il loro sguardo. Allora chiudo gli occhi e creo un’immagine nella mia mente, l’immagine di tutto ciò che desidero dalla mia vita, una cosa che faccio ogni tanto quando ho voglia di spostarmi da un’altra parte, quando non mi piace essere dove sono. Una volta pensavo soprattutto al passato, ma di recente penso più al futuro perché il passato non funziona più. Il passato fa male. Comincio a impararla, questa cosa. Il passato fa male, così non ci entro. Tac, vado. Tac, torno. Tac, via. Tac, tac. È così, una specie di giochetto che faccio con la mente.
Così apro gli occhi e guardo, e c’è Julian di fronte a me, circondato dai sacchetti della spesa. Sophie si tiene stretta alle ruote della sua sedia, come se fosse in cima a una collina ripida e avesse paura di rotolare giù. E allora ripenso a quel giorno con Pepe, quando ho soffiato la piuma in aria e ho espresso un desiderio, un desiderio segreto, ha detto Pepe, un desiderio che dovevo tenere per me. Per...