La grandezza di Carne School è attribuita da tutti gli studiosi a Edoardo VI, il cui zelo pedagogico è attribuito dalla storia al Duca di Somerset. Ma Carne preferisce la rispettabilità del monarca alla discutibile politica del suo consigliere, basandosi sulla salda convinzione che le Grandi Scuole, come i re Tudor, sono tali per volere di Dio.
Invero, la grandezza di Carne è poco meno che miracolosa. Fondata da oscuri monaci, dotata e arricchita da un malaticcio re bambino e strappata all’oblio da un gruppo vittoriano, Carne si era drizzata il colletto e, lustrate la faccia e le mani nodose da contadino, si era presentata in tutto il suo splendore alle corti del XX secolo. In un batter d’occhio, lo zotico del Dorset era diventato il beniamino di Londra. Carne possedeva pergamene latine, conventi, mobili tarlati, un palo al quale legare i reprobi da prendere a frustate, e una citazione nel Doomsday Book. Che altro le occorreva per educare i figli dei ricchi?
E loro arrivavano. A ogni sessione (semestre è parola troppo volgare per Carne) essi arrivavano, e per un intero pomeriggio i treni scaricavano torme di tristissimi adolescenti vestiti di nero sui marciapiedi della stazione. Oppure arrivavano in enormi automobili che brillavano di lugubre purezza. Arrivavano per seppellire il povero re Edoardo, facendo rotolare i loro carrelli sull’acciottolato o trascinando cassette di bosso che sembravano minuscole bare per neonati. Alcuni portavano delle toghe, e parevano tante cornacchiette, o angeli delle tenebre giunti per un funerale. Certi camminavano da soli, come prezzolati lamentatori, e si sentiva dappertutto il ticchettio dei loro passi. Tutti erano eternamente in lutto a Carne: quelli dei primi anni perché dovevano starci e quelli dell’ultimo perché dovevano andarsene, i professori perché il lutto vuol dire rispettabilità e le loro mogli perché la rispettabilità è malpagata; e in quei giorni, mentre la sessione di Quaresima (o, come comunemente si dice, il semestre di Pasqua) si avviava al termine, le nubi della tristezza si addensavano più che mai sulle grigie torri di Carne.
Tristezza e freddo. Il gelo pungeva come spilli. Tagliava la faccia agli alunni che lentamente tornavano dai campi di gioco dopo la partita scolastica. Si insinuava sotto i neri cappotti e trasformava in anelli di ghiaccio i loro rigidi colletti a punta. Infreddoliti, i ragazzi si trascinavano lentamente lungo la strada cintata che dal campo di gioco portava allo spaccio principale del villaggio: a mano a mano, la fila si spezzava in gruppi, e i gruppi in coppie. Due ragazzi che parevano ancor più gelati degli altri lasciarono la strada e presero per un sentiero che portava a un negozio più distante ma meno affollato.
«Credo che morirò, se mi obbligheranno ad assistere a un’altra di queste bestiali partite di rugby. Fanno un baccano terribile» disse uno. Era alto, aveva bei capelli, e si chiamava Caley.
«Urlano così perché ci sono i professori che sorvegliano dalla tribuna,» replicò l’altro «per questo le classi devono stare in gruppo. Così i direttori dei vari pensionati possono vantarsi del baccano che fanno i loro gruppi.»
«Ma Rode che c’entra?» chiese Caley. «Perché è sempre tra i piedi e ci obbliga a gridare? Lui non è direttore di un pensionato, è soltanto un lurido assistente.»
«Sta sempre attaccato alle gonnelle degli istitutori. Nell’intervallo delle lezioni è sempre lì che scodinzola intorno ai caporioni. I nuovi assistenti sono tutti così.» Il compagno di Caley era un rosso dall’aria cinica di nome Perkins: era prefetto del pensionato di Fielding.
«Una volta ho preso il tè a casa di Rode» disse Caley.
«Al diavolo Rode! Porta scarpe marroni. Com’era il tè?»
«Sciapo. La signora Rode, però, è abbastanza a posto. Modesta, un po’ plebea: centrini e uccellini di porcellana, sai. Il cibo però era buono: roba da spaccio aziendale, ma buono.»
«Rode sarà assegnato ai Corps la prossima sessione. E così sarà sistemato. È tanto entusiasta, saltella in continuazione. Si vede a occhio nudo che non è un vero gentleman. Sai che scuola ha frequentato?»
«No.»
«La Grammar School di Branxome. L’ha detto Fielding a mia madre, quando è venuta da Singapore la sessione passata.»
«Dio! Dov’è Branxome?»
«Sulla costa. Vicino a Bournemouth. Io non ho mai preso il tè con nessuno, eccetto che con Fielding» continuò Perkins dopo una breve pausa. «Assieme al tè, offre castagne arrosto e focaccia. E non vuole essere ringraziato, sai? Dice che l’emotività è roba da classi inferiori. Tipico di Fielding. Non è come gli altri professori. Sono convinto che i ragazzi lo annoino. Quelli del suo pensionato sono tutti invitati a prendere il tè con lui, una volta a sessione e a turni di quattro. Credo che quelle siano le uniche occasioni in cui Fielding chiacchiera con tanta gente.»
Camminarono in silenzio, finché Perkins disse: «Fielding ha di nuovo invitati a cena questa sera».
«Mi sembra proprio che faccia il passo più lungo della gamba» replicò Caley in tono di disapprovazione. «E a farne le spese è la vostra cucina, vero?»
«È la sua ultima sessione, poi va in pensione. E prima che finisca, vuole invitare a cena tutti i professori con le loro mogli. E ogni sera, candele nere. Per l’austerità. Originale da morire.»
«Sì. Secondo me, è una posa.»
«Mio padre dice che è pieno di manie snobistiche.»
Attraversarono la strada e si infilarono nel negozio, dove continuarono a lungo a discutere dei ponderosi problemi di Terence Fielding, fino a quando Perkins, controvoglia, dovette abbandonare il compagno. Era un po’ indietro in scienze, e doveva prendere delle ripetizioni.
La cena cui aveva accennato Perkins nel pomeriggio stava per terminare. Terence Fielding, direttore del collegio di Carne, si versò un altro goccio di Porto e appoggiò con gesto stanco la bottiglia sulla tavola. Era il suo Porto migliore. Ce n’era abbastanza per arrivare alla fine della sessione: e poi, al diavolo! Si sentiva un po’ stanco per aver assistito alla partita, e un po’ brillo, e un po’ annoiato di Shane Hecht e di suo marito. Shane era così antipatica. Grassa e invadente, una decrepita valchiria. E tutti quei capelli neri! Avrebbe dovuto invitare qualcun altro. Gli Snow, per esempio, ma il marito era troppo intelligente. O Felix D’Arcy, ma D’Arcy sapeva solo interloquire. Be’, qualche minuto ancora, e poi avrebbe punzecchiato Charles Hecht: Hecht sarebbe montato in collera e se ne sarebbe andato presto.
Hecht si agitava, aveva voglia di accendere la pipa, ma Fielding, dannazione, non glielo avrebbe permesso. Se voleva fumare, si contentasse di un sigaro. La pipa sarebbe rimasta nel taschino della sua giacca, dove stava benissimo. E se non stava benissimo, tanto peggio: mai e poi mai avrebbe ornato l’atletico profilo di Hecht.
«Un sigaro, Hecht?»
«Grazie, no, Fielding. Se non ti spiace, io…»
«Insisto per il sigaro. Me li ha mandati il giovane Havelake dall’Havana. Suo padre è ambasciatore laggiù, sai?»
«Oh, sì, caro,» disse Shane in tono conciliante «Vivian Havelake era nella compagnia di Charles quando lui era comandante dei Cadetti.»
«Bravo ragazzo, quell’Havelake» osservò Hecht, stringendo le labbra a significare che lui era un giudice severo.
«Divertente, come sono cambiate le cose.» Shane Hecht parlò rapidamente e con un sorriso tirato, come se in realtà non fosse affatto divertente. «Viviamo in un mondo così grigio, ora. Mi ricordo prima della guerra, quando Charles passava in rassegna i Corps in groppa a un cavallo bianco. Non si fa più niente del genere, vero? Non ho niente contro Iredale come comandante, proprio niente. Cos’era il suo reggimento, Terence, ricordi? Sono sicura che se la cava benissimo, qualunque cosa facciano ora nei Corps. Va così d’accordo con i ragazzi, non è vero? E sua moglie è una donna così simpatica… Chissà perché non riescono mai a tenersi una cameriera per più di quindici giorni. Ho sentito dire che anche Rode sarà assegnato ai Corps, la prossima sessione.»
«Povero piccolo Rode» disse lentamente Fielding «sempre in giro a scodinzolare come un cucciolo che cerchi di guadagnarsi il suo biscotto. Ce la mette tutta; avete visto che tifo fa alle partite della scuola? Prima di venire qui non aveva mai visto giocare a rugby, sapete? Non giocano a rugby nelle Grammar School, solo calcio. Ti ricordi quando arrivò, Charles? Affascinante. All’inizio se ne stette quieto quieto, assorbendo tutto di Carne, goccia dopo goccia: i giochi, il vocabolario, le maniere. Poi, un giorno, fu come se avesse ricevuto in quell’istante il dono della parola, e parlò la nostra lingua. Stupefacente. Come una chirurgia plastica. Merito di Felix D’Arcy, naturalmente. Non mi è mai capitato di vedere nulla di simile.»
«Quella cara signora Rode…» disse Shane Hecht in quel tono di vaga astrattezza che riservava alle sue frecciate più velenose. «Così dolce… e di gusti così semplici, non trovate? Voglio dire, chi altri avrebbe pensato di appendere delle anatre di porcellana sulla parete del salotto? Prima le più grandi, e le più piccole sullo sfondo. Incantevole, non trovate? Come una di quelle botteghe da tè. Chissà dove le ha comperate. Devo chiederglielo. Mi dicono che suo padre vive dalle parti di Bournemouth. Deve essere molto triste per lui, non trovate? Un posto così volgare, nessuno con cui parlare.»
Fielding restava seduto e osservava la tavola. L’argenteria era buona. La migliore di Carne, gli avevano detto, e non stentava a crederlo. In questa sessione lui usava solo candele nere. Sono le cose che la gente ricorda quando uno se ne è andato: “Il vecchio Terence, un ospite meraviglioso. L’ultima sessione che è rimasto con noi, ha invitato a cena tutti gli insegnanti, con le loro mogli. E solo candele nere: molto commovente. Gli spezzava il cuore, lasciare il pensionato”. Ma doveva far arrabbiare Charles Hecht. Shane si sarebbe divertita. Anzi, lei lo avrebbe istigato, perché odiava Charles. Con quel suo enorme corpaccione, era maligna come un serpente.
Fielding guardò Hecht, e poi la moglie di Hecht; lei gli sorrise di rimando, il molle, disgustoso sorriso della puttana. Per un attimo, Fielding immaginò Hecht che abbrancava quel corpo lardoso: una scena degna di Lautrec. Esatto, proprio così! Charles, pomposo e col cilindro in testa, seduto rigidamente sul copriletto di peluche; lei straripante di adipe e annoiata. L’immagine lo divertì: che idea perversa, trasferire quello sciocco di Hecht dalla purezza spartana di Carne ai casini della Parigi fin de siècle…
Fielding cominciò a parlare, o meglio a pontificare, con un’aria di amichevole obiettività che avrebbe certo dato sui nervi a Hecht. «Se ripenso ai trent’anni che ho trascorso qui a Carne, mi convinco di aver concluso assai meno di uno spazzino.» Ora i coniugi Hecht lo fissavano. «Ho sempre considerato gli spazzini come persone inferiori. Adesso non ne sono più tanto convinto. C’è qualcosa di sporco, lo spazzino lo pulisce, e con la sua opera contribuisce a migliorare lo stato del mondo. Ma io, cosa ho fatto io? Ho aiutato a piazzare in posti di comando una classe dirigente che non si distingue né per cultura né per ingegno; ho aiutato a perpetuare per un’altra generazione le distinzioni di casta di un’età ormai sorpassata.»
Charles Hecht, che non aveva mai imparato l’arte di non ascoltare Fielding, arrossì violentemente e prese ad agitarsi all’altro capo della tavola.
«Forse che non diamo un’istruzione ai nostri ragazzi, Fielding? E allora, i nostri successi, le nostre borse di studio?»
«Non ho mai insegnato nulla a nessuno in vita mia, Charles. Di solito, i ragazzi non erano abbastanza in gamba; altre volte, ero io che non ero all’altezza. Nella maggior parte degli uomini, l’intuito muore con l’adolescenza. In rari casi resiste, anche se, quando ci accorgiamo della sua presenza, qui a Carne facciamo di tutto per sopprimerlo. Se sopravvive ai nostri sforzi, il ragazzo vince una borsa di studio… Non arrabbiarti, Hecht; pensa che è la mia ultima sessione.»
«Ultima sessione o no, stai dicendo delle sciocchezze, Fielding» disse Hecht in tono adirato.
«Tanto per stare nella tradizione di Carne. Questi successi, come tu li chiami, sono piuttosto dei fallimenti, i rari ragazzi che non hanno imparato la lezione di Carne. Quelli che hanno ignorato il culto della mediocrità. Noi non possiamo far nulla per loro. Ma per gli altri, per i piccoli chierici indecisi e i soldatini ciechi, per questi la verità di Carne è scritta su tutti i muri, e loro ci odiano.»
Hecht rise in modo forzato.
«Ma perché tornano a trovarci, se ci odiano tanto? Perché si ricordano di noi e vengono a farci visita?»
«Perché noi, caro Charles, siamo le scritte sui muri! La sola lezione di Carne che non dimenticheranno mai. Loro tornano per leggerci, non te ne accorgi? È da noi che hanno imparato il segreto della vita: che si diventa vecchi senza per questo diventare saggi. Hanno capito che nulla ci è accaduto andando avanti con gli anni: non una luce abbagliante sulla strada per Damasco, non un improvviso senso di maturità.» Fielding spinse indietro la testa e guardò gli stucchi vittoriani del soffitto, e l’alone di sudicio intorno al grazioso bocciolo di rosa. «Siamo solo diventati un po’ più vecchi. Abbiamo ripetuto le solite storielle, abbiamo pensato gli stessi pensieri e desiderato le medesime cose. Anno dopo anno, Hecht, siamo rimasti gli stessi, non più saggi, non più buoni; negli ultimi cinquant’anni, non uno di noi ha avuto un solo pensiero originale. Loro hanno visto che grossa mascherata era tutta la faccenda, noi e Carne con noi; i nostri costumi accademici, le storielle che raccontiamo in classe, i nostri piccoli, saggi consigli di comportamento. Ecco perché, anno dopo anno, tornano dalle loro incerte e nude esistenze per scrutare affascinati me e te, Hecht, come bambini che cercano il segreto della vita e della morte davanti a una tomba. Oh, sì, questo l’hanno imparato da noi!» Hecht guardò Fielding in silenzio per un momento.
«Vino, Hecht?» disse Fielding con un sorriso conciliante, ma gli occhi di Hecht lo fissavano freddi.
«Se è uno scherzo…» cominciò a dire, e sua moglie osservò con soddisfazione che era davvero molto arrabbiato.
«Non so, Charles» replicò Fielding con finta buonafede. «E vorrei saperlo. Una volta credevo che fosse bene confondere commedia e tragedia. Ora vorrei saperle distinguere.» Ecco una frase ben riuscita.
Bevvero il caffè in soggiorno. Fielding riprese a snocciolare pettegolezzi, ma Hecht stava sulle sue. Fielding pensò che forse avrebbe fatto bene a lasciargli accendere la pipa. Poi immaginò di nuovo gli Hecht a Parigi, e si sentì subito meglio. Era andata molto bene quella sera. In certi momenti si era sentito veramente soddisfatto. Quando Shane andò a prendersi il cappotto, i due uomini rimasero soli in anticamera, ma nessuno dei due parlò. Shane tornò con la sua stola di ermellino, ingiallita dal tempo, drappeggiata sulle spalle da lottatrice. Inclinò la testa da un lato, sorrise e tese a Fielding la mano, con le dita piegate.
«Terence, mio caro,» disse mentre Fielding le baciava le nocche grassocce «davvero gentile. E nella sua ultima sessione. Deve venire a pranzo da noi, prima di lasciare Carne. Che tristezza. Siamo rimasti così in pochi.» Sorrise di nuovo, socchiudendo gli occhi per mostrare quanto fosse commossa, e seguì il marito in strada. Faceva molto freddo e l’aria sapeva di neve.
Fielding chiuse a chiave l’uscio, forse un attimo prima di quanto la cortesia avrebbe consigliato, e tornò in sala da pranzo. Il bicchiere di Porto di He...