L’invasione dell’appartamento dei Queen ebbe luogo alle otto e otto del mattino, in una normalissima giornata di giugno, poco dopo il passaggio dell’innaffiatore municipale nella Ottantasettesima Strada Ovest e mentre Arsène Lupin, padrone assoluto del davanzale, consumava la prima colazione con le briciole di pane destinate a una dozzina di piccioni del vicinato.
Fu un’invasione in perfetto stile Ventesimo secolo, senza alcun cenno di preavviso. Nel momento in cui ebbe luogo, l’ispettore Queen stava sollevando il cucchiaio sul suo secondo uovo, attentissimo a prendere le misure per un colpo preciso; la signora Fabrikant, vicino alla parete di fondo, aveva appena sollevato in aria il suo poderoso posteriore e si preparava a infilare nella presa di corrente la spina dell’aspirapolvere, ed Ellery stava entrando nella stanza, le mani sollevate per accomodare il collo della giacca.
— Fermi tutti, per piacere.
Non si era avvertito il minimo rumore. Dovevano avere aperto la porta d’ingresso e attraversato l’anticamera nel più perfetto silenzio.
Il cucchiaio dell’ispettore, il posteriore della signora Fabrikant e le mani di Ellery rimasero là dov’erano.
Due uomini stavano in piedi sulla soglia della porta che dava sull’anticamera. Erano vestiti allo stesso modo, con abiti e cappelli di colore incerto, ma uno aveva una camicia azzurro cupo, mentre l’altro aveva una camicia scura. Tutti e due nascondevano la mano destra sotto il soprabito ripiegato. Erano due individui robusti, con una faccia dai lineamenti regolari e molto abbronzata.
Diedero un’occhiata circolare al soggiorno dei Queen, poi entrarono, muovendo un passo ciascuno in direzione opposta, e solo allora Ellery si accorse che non erano in due, ma in tre.
Il terzo uomo se ne stava fermo davanti alla porta dell’appartamento, voltando la schiena, e sorvegliava il pianerottolo e le scale.
Camicia azzurra si allontanò in fretta dal compagno, passò accanto al tavolo di servizio, senza nemmeno degnare di uno sguardo lo sbalordito ispettore, ed entrò in cucina.
Il suo collega rimase sulla soglia, in un atteggiamento molto simile a quello di una rispettosa attenzione. La camicia scura aggiungeva un tono caldo alla sua personalità. Nella mano destra, ora scoperta, stringeva saldamente una calibro 38.
Camicia azzurra uscì dalla cucina dei Queen e sparì nella camera da letto dell’ispettore.
Il cucchiaio dell’ispettore e il posteriore della signora Fabrikant si abbassarono quasi all’unisono, piuttosto cautamente. Ma non accadde nulla. Camicia azzurra uscì dalla camera da letto, attraversò la stanza di soggiorno, scostò con molta cortesia Ellery, che era per caso venuto a trovarsi sulla sua strada, ed entrò nello studio.
Sulla porta d’ingresso, il terzo uomo continuava a sorvegliare le scale.
La bocca della signora Fabrikant si preparava a lasciar uscire un poderoso strillo. Ellery fece appena in tempo a dire: — No, Fabby.
Camicia azzurra ricomparve e disse al suo compagno: — Tutto a posto. — Camicia scura annuì e si mosse subito, attraverso la stanza, verso la signora Fabrikant, la quale si drizzò, tremando. Senza nemmeno guardarla, Camicia scura le disse, con il tono più gentile di questo mondo: — Portate l’aspirapolvere in camera da letto, mia buona signora, chiudete la porta e mettetevi subito al lavoro. — Poi andò alla finestra.
Arsène Lupin si affrettò a volare via, e la signora Fabrikant non si fece ripetere due volte l’ordine.
Fu allora che l’ispettore Queen ritrovò contemporaneamente gambe e voce. Drizzandosi in tutta quanta la sua non eccessiva statura, gridò: — Chi diavolo siete?
L’aspirapolvere prese a ronzare come una sega circolare nella camera da letto di Ellery, muro a muro con lo studio. Camicia azzurra chiuse la porta dello studio e si appoggiò al battente. In questo modo il ronzio si sentiva ancora, ma molto più attutito.
— Se si tratta di un colpo di mano…
Camicia azzurra sogghignò, e Camicia scura, alla finestra, lasciò che qualcosa di simile a un sorriso sfiorasse le sue labbra. Teneva sempre gli occhi fissi giù, alla Ottantasettesima.
— … devo riconoscere che si tratta del più cortese colpo di mano della storia — disse Ellery. — Ehi, voi alla finestra! Posso dare un’occhiata al di sopra della vostra spalla, senza che diventiate nervoso?
L’uomo scosse la testa con gesto impaziente. In quel momento una grossa berlina nera targata New York sbucava nella Ottantasettesima da Columbus Avenue. Un’altra macchina, uguale e occupata da diversi uomini, era già ferma vicino al marciapiede.
Camicia scura alzò la sinistra, e subito due uomini scesero dalla macchina ferma, attraversarono di corsa la strada e vennero a fermarsi sotto le finestre dei Queen proprio nel momento in cui la berlina frenava davanti alla casa. Dopo un attimo, uno dei due scomparve su per la scalinata d’ingresso, mentre il secondo, dopo essersi guardato a destra e a manca, apriva la portiera della berlina.
Ne scese un uomo di statura piuttosto piccola. Indossava un abito comunissimo e portava in testa un cappello grigio di forma antiquata. Salì con passo calmo la scalinata d’ingresso e scomparve nell’atrio.
— Lo conosci, papà?
L’ispettore Queen, che era venuto a mettersi accanto a Ellery, scosse la testa. Aveva l’aria più sbalordita che mai.
— Nemmeno io.
Camicia scura andò a piazzarsi davanti alla porta della camera da letto dell’ispettore, in modo da trovarsi faccia a faccia con Camicia azzurra, sull’altro lato della stanza. Ora tenevano le rivoltelle lungo i fianchi, puntate verso il basso. Sul pianerottolo, il loro compagno andò ad appoggiarsi alla balaustra; si vide così che anche lui stringeva nella destra una .38.
L’aspiratore della signora Fabrikant continuava a ronzare.
A un tratto, sul pianerottolo, il terzo uomo si scostò, lasciando così libera la porta.
Il piccolo sconosciuto dall’abito comunissimo e dal cappello di forma antiquata stava salendo gli ultimi scalini.
— Buon giorno — disse l’ometto, togliendosi il cappello. La sua voce, metallica, ricordava il suono di una corda di chitarra.
Visto da vicino, non era poi tanto piccolo com’era sembrato, perché superava di diversi centimetri l’ispettore. Ma, come il vecchio Queen, aveva l’ossatura minuta e il viso stretto, caratteristici di molti uomini di bassa statura. I capelli castano chiaro, pettinati indietro, scoprivano una fronte da intellettuale, e la sua pelle aveva quella tinta pallida di chi vive ben poco all’aria aperta. Sotto la duplice protezione delle lenti degli occhiali privi di montatura e delle pesanti palpebre, i suoi occhi ingannavano, a prima vista: sembravano miopi, ma avevano in realtà un potere magnetico. Un ventre che cominciava a farsi prominente spingeva contro l’unico bottone della sua giacca a un petto, che avrebbe avuto urgente bisogno di una buona stiratura.
Poteva avere cinquant’anni, o sessanta, o anche quarantacinque.
La prima impressione di Ellery fu categorica: “Il professore distratto”. Ma i professori, distratti o no, non vanno in giro per la città su potentissime automobili, scortati da guardie del corpo.
Un generale, forse, uno di quei luminari intellettuali che dal Pentagono muovono le montagne. O un antiquato banchiere del Vermont. Ma…
— Mi chiamo Abel Bendigo — disse il visitatore.
— Bendigo! — L’ispettore sgranò gli occhi. — Non siete il Bendigo…
— No certo — lo interruppe Abel Bendigo, con un sorriso. — È chiaro che non avete mai visto una sua fotografia. Ma capite certo la situazione. Questi uomini fanno parte del “dispositivo di sicurezza” di mio fratello, dispositivo di sicurezza che è sotto il comando di un uomo piuttosto duro, un certo Spring; ma dubito che abbiate mai sentito parlare di lui. Ci tiranneggia tutti quanti, tiranneggia persino mio fratello, anzi, specialmente mio fratello, dovrei dire. E così voi siete Ellery Queen — continuò il visitatore, senza che la sua voce marcasse il minimo cambiamento di tono. — Molto piacere, signor Queen. Personalmente, trovo ridicole queste preoccupazioni, ma che farci? Il colonnello Spring ama ricordarmi spesso che basta un solo proiettile a trasformare in tragedia una farsa. Posso sedermi?
Ellery spinse avanti la vecchia poltrona di pelle, e l’ispettore disse: — Mi spiace, signor Bendigo, che non abbiate preannunciato la vostra visita.
— Sempre il colonnello — mormorò Abel Bendigo, lasciandosi cadere nella poltrona. — Grazie, signor Queen, il mio cappello starà benissimo lì per terra… Ecco dunque il luogo dove tutti i misteri vengono risolti.
— Sì — disse Ellery — ma credo che mio padre sia piuttosto nervoso, perché deve trovarsi alla centrale di polizia, in centro, fra dodici minuti esatti.
— Sedetevi, ispettore. Ho bisogno di parlare con tutti e due.
— Non posso, signor Bendigo…
— Sono già stati fatti i passi necessari alla centrale, ve lo posso garantire. A proposito, vedo che ho interrotto la vostra colazione. E anche la vostra, signor Queen.
— Per questa mattina mi accontenterò del caffè — disse Ellery. — Posso offrirne una tazza anche a voi, signor Bendigo?
Da un angolo della stanza, Camicia scura disse: — Signor Bendigo!
L’uomo si strinse nelle spalle, in gesto di comica rassegnazione. — Vedete? Un’altra regola del colonnello Spring. Terminate pure la vostra prima colazione, vi prego.
Prima di servirsi, Ellery tornò a riempire la tazzina del padre. Di lì a poco Bendigo avrebbe parlato, e di conseguenza era perfettamente inutile rivolgergli domande. In piedi vicino alla tavola, Ellery sorseggiò lentamente la bevanda calda.
L’ispettore divorò in fretta la sua prima colazione, lanciando di continuo rapide occ...