La prima sessione prepara il terreno per il resto dell’incontro. Sua Santità apre la sessione con notevoli osservazioni introduttive che sottolineano il suo interesse e il suo rispetto per la scienza e le ricerche sul funzionamento del cervello. Poi Richard Davidson e Jon Kabat-Zinn dicono qualche parola di benvenuto. Il primo intervento delinea la prospettiva buddhista sulla sofferenza, sulla liberazione dalla sofferenza e sulle qualità universali della mente umana. Il secondo e il terzo intervento trattano dei programmi clinici e di ricerca che esplorano l’impatto della meditazione su pazienti con malattie croniche, sull’attività neuronale e su varie funzioni fisiologiche. Il moderatore di questa sessione è Matthieu Ricard.
SUA SANTITÀ IL DALAI LAMA Sono molto lieto di avere l’opportunità di partecipare al «XIII Mind and Life Dialogue» e vorrei esprimere il mio profondo apprezzamento a tutti i relatori e ai partecipanti alle tavole rotonde. Conosco già alcuni degli scienziati che stanno per partecipare a questo dialogo e ce ne saranno anche di nuovi oltre, naturalmente, ai praticanti contemplativi. Perciò colgo l’occasione per esprimere il mio apprezzamento a tutti voi in primo luogo.
Una cosa che rende eccezionale questo particolare Mind and Life Dialogue è la presenza di Padre Thomas Keating, che rappresenta la tradizione spirituale cristiana. È particolare fonte di gioia per me che questa importante tradizione spirituale sia qui rappresentata e vorrei dargli il benvenuto. Di fatto, in svariate occasioni durante le conferenze Mind and Life ho espresso il desiderio che, siccome la pratica contemplativa non è esclusiva della tradizione buddhista ma è piuttosto una pratica spirituale comune che abbraccia una vasta gamma delle tradizioni spirituali del mondo, sarebbe utile se anche alcune di queste altre tradizioni spirituali potessero essere rappresentate in questi dialoghi.
Quando ho visto la fotografia di Francisco Varela, che non è più fra noi, non appena ho sentito Adam fare il suo nome, mi sono ricordato il suo viso, soprattutto la sua fronte ampia e i suoi occhi, sempre molto vigili. Sebbene egli non sia più fra noi, il suo lavoro e la sua visione sono ancora molto vivi. Penso che questo sia ciò che conta. A volte un nobile lavoro dipende interamente da un solo individuo. Finché quell’individuo è qui, quel lavoro procede. Ma una volta che quell’individuo non c’è più, allora anche il suo lavoro va perdendosi. Penso che ciò sia deplorevole. Ecco perché sono molto felice ora che una parte del lavoro iniziato dal nostro amico non solo continua, ma sembra crescere. Apprezzo davvero tutte le persone che si sforzano di portarlo avanti.
Una delle caratteristiche uniche del buddhismo, soprattutto nella tradizione sanscrita, è che l’indagine e l’esperimento vi giocano un ruolo molto importante. Molti problemi nascono dall’ignoranza e il solo antidoto all’ignoranza è la conoscenza. Conoscenza significa una chiara comprensione della realtà che deve giungere attraverso l’indagine e l’esperimento. In tempi antichi, i maestri di Nalanda1 svolgevano queste indagini soprattutto attraverso la logica e il pensiero razionale, e forse, in certi casi, attraverso la meditazione. In tempi moderni esiste un altro modo per fare indagini sulla realtà: l’aiuto delle strumentazioni di carattere tecnologico. Penso che sia la scienza sia l’indagine buddhista stiano veramente cercando di scoprire la realtà.
Inoltre, è una tradizione buddhista esercitare il diritto alla libertà di rigettare una scrittura, se troviamo qualcosa che la contraddice. Questo ci conferisce una sorta di libertà di investigare, a prescindere dalla letteratura in merito. Per esempio, esistono alcune descrizioni cosmologiche nelle scritture che sono davvero una vergogna. Quando impartisco insegnamenti a un pubblico buddhista, dico spesso che non possiamo accettare queste cose.
All’inizio guardavo fuori nello spazio e vedevo molte cose. Ero curioso di come queste cose venissero a essere. Guardate il nostro corpo. Ci sono molti capelli sulla testa e, sotto, un cranio. A differenza di altre parti del corpo, c’è una sorta di protezione speciale lì. Perché? Di solito crediamo che l’anima o il sé risieda al centro del cuore. Ora sembra che l’anima – se mai possiamo identificarla – sia qui nella testa, non nel cuore.
I testi buddhisti di psicologia ed epistemologia fanno una chiara distinzione tra due domini di esperienza qualitativamente differenti. Uno è il livello dei sensi: la nostra esperienza dei cinque sensi. L’altro è ciò che i buddhisti definiscono livello mentale dell’esperienza: pensieri, emozioni e così via. Si pensa che la sede primaria, o base fisica, dell’esperienza sensoriale siano gli organi di senso. Ma ora, grazie alle moderne neuroscienze, sembra chiaro che il principio organizzativo centrale dell’esperienza sensoriale vada piuttosto cercato nel cervello.
I buddhisti sono molto interessati a simili scoperte scientifiche. E ritengo che questa relazione tra le due correnti sia molto proficua. Perciò abbiamo iniziato a introdurre lo studio della scienza a studenti monastici buddhisti selezionati in India più di quattro anni fa. Si sta progressivamente inserendo una sistematica istruzione scientifica nel curriculum monastico.
Per quanto riguarda la mia partecipazione qui, non ho niente da offrire. Sono sempre impaziente solo di ascoltare e imparare da questi grandi scienziati di comprovata esperienza. Sebbene ci sia un problema con la lingua, e anche con la mia memoria, a volte mi sembra di imparare da quanto detto nella sessione, ma quando è conclusa, non rimane più niente nella mia testa. Perciò, ecco il problema! Tuttavia, potrebbe restare qualche traccia nel mio cervello.
RICHARD DAVIDSON Jon Kabat-Zinn e io siamo i coordinatori scientifici di questo incontro ed è un piacere per noi darvi il benvenuto. Vorrei cogliere questa occasione per sottolineare la mia eccitazione per questo dialogo e per le potenzialità racchiuse nell’interazione fra scienziati e contemplativi. Nel corso dei prossimi due giorni e mezzo verrà ripetutamente ribadita l’idea che esistono certe qualità positive, come la felicità e la compassione, che le tradizioni contemplative ci insegnano non essere fisse: queste caratteristiche possono essere trasformate, non siamo indelebilmente fissati nella nostra attuale situazione. Questa idea rimanda al concetto moderno di neuroplasticità, il fatto che il cervello può cambiare in risposta all’esperienza e all’addestramento, e questa convergenza è preziosa e importante e offre a noi scienziati una base per proseguire in un modo davvero originale e integrativo.
Ascolteremo anche la tesi che trasformare la mente e il cervello può trasformare il corpo, il che può avere effetti potenzialmente positivi sulla nostra salute.
Perciò ci aspettano due giornate e mezzo molto eccitanti, anche più che semplicemente eccitanti. Penso che questa sia un’occasione storica. È nostra speranza e convinzione che questo incontro promuoverà un nuovo tipo di scienza.
JON KABAT-ZINN Per esplicita richiesta di Sua Santità, il nostro intento con questo incontro è quello di ampliare la conversazione rispetto alle precedenti tenute in passato, in modo da toccare un uditorio molto più vasto di quello raggiunto con i libri pubblicati sugli incontri privati. Le persone che si interessano a questi temi dal punto di vista della scienza di base, delle applicazioni cliniche o della propria vita – tutte coincidenti – si sono riunite qui oggi per partecipare e contribuire in modo profondo e significativo. Se ne parlerà. L’invito è partecipare attivamente; questa è un’indagine collettiva in cui voi, spettatori, giocate un ruolo fondamentale.
Un modo in cui potete partecipare è attraverso l’ascolto profondo, lasciando che il velo delle aspettative per una volta cada. È molto facile restare delusi se la vostra particolare area di interesse non viene toccata nella misura in cui voi vorreste, ma c’è di più in gioco, qualcosa di molto più grande, parte del quale ha a che fare con il non attaccamento. In un certo senso, siamo tutti impegnati in una meditazione per il solo fatto di essere qui. Potrete anche partecipare rivolgendo domande ai relatori e ai partecipanti alle tavole rotonde, e noi faremo del nostro meglio per rispondervi. Naturalmente, Sua Santità sarà il primo interlocutore per eccellenza, in ogni senso del termine.
Vi do ancora il benvenuto. Penso che ci sia un elemento di mistero in chi appare in una sala come questa. Siete venuti da tutto il mondo per essere qui. Non sappiamo quale sarà il risultato di questa riunione, ma in un certo senso ciò che sta accadendo è che una comunità di pratica – ciò che i buddhisti chiamano sangha – si sta esprimendo e i suoi membri hanno l’occasione di guardarsi e conoscersi. Molto di ciò che è più importante in queste conferenze accade tra di voi negli intervalli, nelle conversazioni e nelle amicizie che nascono, e nella profonda indagine sulla natura del tema in oggetto. Perciò, benvenuti a tutti.
MATTHIEU RICARD Questa mattina rifletteremo sulla natura della meditazione, sul principio di applicare la meditazione basata sulla mindfulness per un benessere migliore e su come la meditazione possa essere studiata in collaborazione con la neuroscienza.
Una delle prime domande che ci poniamo è perché ci dovremmo prendere il disturbo di meditare e, se lo facciamo, su cosa e come? La vera natura della meditazione è un addestramento mentale, uno strumento di trasformazione a lungo termine della nostra vita. Dovremmo capire che salute mentale non è semplicemente l’assenza di malattia mentale. Stiamo davvero vivendo la nostra vita nel modo ottimale? Ciò che chiamiamo il modo “normale” di affrontare la vita è veramente ottimale? Possiamo vedere dalla nostra esperienza che il modo in cui ci relazioniamo e interpretiamo il mondo è spesso distorto da una modalità di percezione che non corrisponde a come stanno le cose. Spesso siamo tormentati a causa di veleni mentali quali l’odio, il desiderio ossessivo, l’arroganza, l’invidia persistente. Questi non sono certo modi ottimali di rapportarci alla nostra esperienza o agli altri. Sappiamo di poter provare compassione e amore genuini e altruistici, ma non potremmo farlo più spesso, così che questi stati mentali diventino il modo normale in cui ci relazioniamo agli altri? Di qui l’idea di una trasformazione a lungo termine: diventare un essere umano migliore per il proprio e altrui benessere. Queste due cose vanno di pari passo.
Questo è precisamente il significato della meditazione. La meditazione non è semplicemente sedersi sotto un albero di mango e sprofondare nella beatitudine per avere una giornata migliore, sebbene questo possa aiutare. Se consideriamo le radici orientali della parola meditazione, essa esattamente significa “coltivazione”: coltivare nuove qualità, nuovi modi di essere. Significa anche “familiarizzazione”: familiarizzare con un nuovo modo di vedere il mondo; per esempio, non aggrapparsi alla permanenza e vedere invece il flusso dinamico dell’interdipendenza. Meditazione significa familiarizzazione con qualità potenzialmente migliorative come la compassione incondizionata, l’apertura agli altri e la pace interiore. È anche familiarizzazione con il modo stesso in cui lavora la mente. Molto spesso i pensieri ci invadono e attraversano incessantemente la nostra mente. Ci accorgiamo appena di ciò che sta succedendo. Cosa c’è dietro lo schermo dei pensieri? Possiamo relazionarci con qualche sorta di mindfulness di base e di presenza aperta?
Tutti questi tipi di esplorazione interiore sono considerati meditazione. Fin dall’inizio, il sentiero buddhista ha uno scopo terapeutico: liberare noi stessi e gli altri dalla sofferenza. Ovviamente non si tratta di un semplice hobby, qualcosa di carino da aggiungere alla nostra vita. Piuttosto, la trasformazione interiore è qualcosa che determina la qualità di ogni istante che viviamo.
Ma, ancora, potremmo chiederci che bisogno c’è che le tradizioni contemplative collaborino con la scienza. Che cosa si aspettano le due parti? Che cosa si aspetta l’umanità da questo?
Per chi si è impegnato in questo processo di trasformazione mentale, i benefici sono evidenti (o almeno lo si spera, se la nostra pratica procede bene). Ciò crea il desiderio di condividere qualcosa di caro a noi stessi, che ha apportato tantissimo alla nostra vita e che potrebbe fare lo stesso per altri.
Collaborare con la scienza inoltre esaudisce l’aspirazione a conoscere le cose così come sono. Conosciamo l’esperienza di specifici stati di meditazione, ma qual è il loro impatto sul cervello? Qual è la relazione dei diversi stadi della meditazione con altri stati cognitivi ed emotivi noti che sono stati studiati nella mente e nel cervello? Quali potrebbero essere gli effetti di un addestramento della mente a lungo termine? Sappiamo che imparare a suonare uno strumento, per esempio, può modificare il cervello. È meraviglioso suonare il piano, ma non è un deficit grave se non lo sapete fare. Ma la compassione, l’attenzione, la vigilanza, la mindfulness, la pace interiore, sono aspetti fondamentali per la qualità della nostra vita ed è davvero triste non svilupparli al loro grado ottimale.
Con questo dialogo speriamo di accrescere e approfondire la nostra conoscenza di ciò che l’addestramento mentale è, ma anche di come influisce sul cervello, sul corpo e sulla nostra relazione con il mondo e gli altri nel breve termine e nel lungo termine. Quale contributo apporterà all’umanità? È veramente la nostra meta comune. Possiamo contribuire all’istruzione coltivando l’equilibrio emotivo? Come dice spesso Sua Santità, non possiamo avere la pace esterna senza la pace interiore. Non possiamo avere un disarmo esterno senza un disarmo interiore. Se vogliamo avere una società armoniosa, deve cominciare con noi e dentro di noi. La meditazione è questo e questo è ciò di cui sentiremo parlare stamattina. Prima Ajahn Amaro delineerà alcuni dei principi basilari della meditazione e del sentiero buddhista.
La distinzione tra il dolore e la sofferenza è cruciale nel contesto del pensiero e della pratica buddhisti. Questo intervento traccia una prospettiva buddhista sulla sofferenza, le sue cause ultime, la possibilità di liberarsi dalla sofferenza e un sentiero sistematico per farlo. Inoltre tocca quelle che i buddhisti definiscono qualità universali della mente umana, qualità che sono direttamente accessibili attraverso la coltivazione della consapevolezza per mezzo della meditazione.
AJAHN AMARO Sono stato invitato a tracciare un abbozzo di alcuni dei principali temi degli insegnamenti buddhisti, in particolare concernente la natura dell’esperienza umana, comune e pressoché universale, della sofferenza – ciò che noi chiamiamo dukkha o insoddisfazione – e la sua relazione con la meditazione.
Prima di cominciare devo sottolineare il fatto che, tradizionalmente, le idee e gli insegnamenti buddhisti sono sempre presentati nello spirito di un’offerta all’esame e alla riflessione piuttosto che essere esposti come dogmi in cui ci si aspetta che l’ascoltatore creda. Sono temi che si è invitati ad ascoltare; a esaminare, come Sua Santità incoraggiava a fare; a contemplare; e a rifletterci sopra. Si è incoraggiati a prendere e a trattenere ciò che è utile; quel che sentiamo sbagliato o non corrisponde alla nostra esperienza, lo possiamo lasciare da parte; e quello di cui siamo incerti può essere lasciato sullo scaffale delle possibilità.
Proprio come i dottori, i farmacologi e i ricercatori medici esistono perché noi non sperimentiamo sempre una salute perfetta, così si potrebbe dire che le psicoterapie, gli insegnamenti spirituali e la religione esistono perché noi non sperimentiamo sempre una felicità perfetta, persino quando le condizioni sociali o fisiche so...