Vacanze romane
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Vacanze romane

Il tempo libero e la vita quotidiana nell'antica Roma

  1. 300 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Vacanze romane

Il tempo libero e la vita quotidiana nell'antica Roma

Informazioni su questo libro

Cosa facevano Cicerone e Cesare nel «tempo libero»? La società romana, simbolo e paradigma di efficienza nel mondo antico, si rivela in questo libro nei suoi aspetti meno produttivi e più rivolti alla ricerca del piacere. Federica Guidi racconta un aspetto inedito della cultura latina facendo ricorso alle fonti antiche, storiche e letterarie ma anche archeologiche e artistiche, e ci svela tutto un mondo fatto di terme e banchetti, elevate conversazioni filosofiche e piccanti appuntamenti amorosi, giochi privati (dai dadi ai giocattoli dei fanciulli) e ludi pubblici, villeggiature, collezionismo e buoni libri. Scopriremo infatti attraverso i secoli che il tempo libero e la ricerca edonistica possono avere strade e percorsi diversissimi: dalla soddisfazione istintuale e quasi bestiale del tifo durante una corsa di carri o i giochi gladiatori alla compartecipazione catartica del teatro o all'esercizio raffinato dell'intelletto nella stesura di dotte dissertazioni.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804649823
eBook ISBN
9788852063879
Argomento
Storia
Categoria
Storia antica
VI

Alla ricerca di emozioni collettive: i ludi

Il pane e i giochi. Gli spettacoli di massa tra tradizione e controllo sociale

«Il popolo romano non si cura più di niente: una volta distribuiva pieni poteri, fasci, legioni, tutto, ora non si interessa più e desidera ansioso solo due cose: pane e giochi.»1
I versi di Giovenale, che culminano con il famosissimo panem et circenses, sono diventati il paradigma per spiegare come, attraverso questi due fondamentali strumenti, il potere – di qualsiasi colore ed epoca – organizzi il consenso e il controllo, tenendo ottuso e fedele il popolo.
Detta in maniera più prosaica: chi ha la pancia piena e il cervello svagato difficilmente diventerà un nemico dello stato, anzi ne diverrà il maggiore sostenitore, sperando che sovvenzioni e spettacoli non finiscano mai.
Se non bastassero le famose parole di Giovenale, ecco la testimonianza dell’imperatore Traiano, che esprime, negli stessi anni, esattamente lo stesso concetto: «L’eccellenza di un governo si rivela non meno nella cura dei divertimenti che in quella degli affari seri e, se le distribuzioni di grano e di denaro soddisfano gli individui, occorrono spettacoli per accontentare le masse».2
Una logica impeccabile, che descrive uno degli aspetti più forti che caratterizzano gli spettacoli di massa nel mondo romano, che però non sono solamente questo.
Sarebbe ingeneroso e riduttivo vedere nell’impianto dei ludi esclusivamente un mezzo di controllo sociale, eliminandone per semplificazione tutto il portato culturale, storico e religioso che li fece nascere e fiorire nel mondo romano, fino dai suoi albori.
Tenendo conto che cittadini e militari sono, fino alla riforma militare di Gaio Mario del 107 a.C., le stesse persone, in una società come quella di Roma delle origini e della prima repubblica, i momenti di riposo dal lavoro e dalla guerra sono davvero importanti e vengono presto codificati secondo un calendario che prevede un’alternanza tra giorni di lavoro e giorni festivi.
Ecco allora che, all’interno della cornice di tali giorni di festa – che hanno una connotazione sacrale – si inseriscono, insediandosi stabilmente a partire dall’età repubblicana, anche gli spettacoli di massa. Questi si affiancano alle processioni religiose, sottolineano momenti particolari della commemorazione funebre di un defunto importante, o ancora rendono più ricca e gioiosa la vittoria militare di questo o quel condottiero.
Ludi è il termine, quanto mai ampio, che abbraccia tutti gli spettacoli e divertimenti pubblici organizzati in occasione di tali feste religiose e avvenimenti speciali: corse dei carri, agoni sportivi, rappresentazioni teatrali, combattimenti di gladiatori, spettacoli (cruenti e non) con animali, vengono tutti definiti con questo termine.3
È un fenomeno che abbraccia tutta la storia di Roma: si arricchisce, si modifica, ma è presente dagli albori della città signora del Tevere, fino al tramonto del grande impero d’Occidente e, a essere precisi, anche un po’ oltre. Gli stessi barbari capiranno il valore di giochi e spettacoli pubblici e faranno propria la tradizione del nemico sconfitto e conquistato.
Dalle prime cerimonie del tardo periodo regio, nel VI secolo a.C., fino agli ultimi spettacoli nel VI secolo d.C. passano oltre dieci secoli di storia e di vita: non è cosa da poco.
Certo, con il passare del tempo ci si distacca sempre più dal significato religioso e originario dei ludi, da quei richiami culturali e quasi ancestrali che permettono, ad esempio, di avvicinare – almeno agli occhi di noi moderni – le corse del circo e i combattimenti tra gladiatori alle gare funebri in onore di Patroclo, descritte nell’Iliade. Ci si distacca sempre più dall’idea che il defunto va ricordato e onorato anche esibendo il proprio valore sportivo e guerriero, cioè attraverso pratiche che – nelle società aristocratiche dell’età del ferro – onorano il morto ed esaltano il suo gruppo familiare. Ci si allontana dalla consapevolezza che gli agoni sportivi e le esibizioni di virtus, il valore, sono il tributo che una società offre alle sue divinità, così come accade nel mondo greco con la nascita delle Olimpiadi. Queste sono la testimonianza di una comunità in pace che consacra i suoi giochi agli dei, in una dimensione che non è più quella privata del lutto, ma quella della celebrazione pubblica dei propri valori. Come osserva Livio, i ludi rinsaldano i legami tra i cittadini e quelli tra la città e gli dei, e così facendo mantengono la stabilità della repubblica stessa.
Questo il senso dei più antichi ludi pubblici, come ad esempio i ludi Romani, tra i primi di cui si abbia memoria, istituiti dal re Tarquinio Prisco in onore di Giove Capitolino per celebrare la vittoria sulla città latina di Apiolae, raccontano gli antichi scrittori.4 All’interno della celebrazione, che durò un giorno, fu inserita anche una corsa di carri, che rimase anche quando la festa divenne annuale, a partire dal 366 a.C., allungandosi poi nel corso dei secoli fino a 15 giorni (tra il 4 e il 19 settembre). I ludi Magni (altro nome con cui erano conosciuti i ludi Romani) resteranno una delle feste principali di Roma per lungo tempo, fino al IV secolo d.C., aggiungendo alle corse dei cavalli gli spettacoli teatrali: il tutto preceduto da una pompa, una processione religiosa, di rara magnificenza e forti significati, che dal Campo Marzio sale al Campidoglio, attraversa il Foro e si chiude al Circo Massimo, dove hanno luogo le gare.
Dal II secolo a.C. in poi, però, i ludi si moltiplicano a dismisura e divengono sempre più platealmente un chiaro strumento politico nelle mani di ambiziosi personaggi per esaltare la propria persona, i propri successi militari, le proprie ambizioni politiche. In parallelo, si sente sempre più la necessità di creare strutture apposite, adatte a contenere la gran folla che si accalca per partecipare agli spettacoli. Nascono, si ingrandiscono, si moltiplicano in tutto lo stato romano teatri, circhi, stadi e da ultimo gli anfiteatri, che sono una creazione originale dell’edilizia romana. Ciascuno di questi edifici diviene, nel tempo, la sede – anche se non sempre esclusiva – di spettacoli ben specifici: le corse dei carri nel circo (ludi circenses), le lotte tra gladiatori nell’anfiteatro (munera), le cacce (venationes) in entrambi; le commedie, le tragedie, i mimi e le pantomime nel teatro (ludi scaenici), le gare atletiche nello stadio (certamina graeca, agones).
I richiami a un passato lontano, talvolta mitologico, e a una sacralità rituale manifesta, ben presto e inesorabilmente si annacquano: la memoria rimane in sottofondo, schiacciata da una parte dal divertimento che il popolo prova e richiede a gran voce, dall’altra dalla necessità pragmatica e politica di promuovere azioni di alto gradimento per le masse. L’homo civilis, parte di una comunità unita e solidale che si riunisce per celebrare ritualmente se stessa, diviene sempre più homo spectator. Con l’età imperiale, cambiando anche le logiche di gestione del potere, dai molti a uno solo, il passaggio è completo. Ora, durante i ludi più importanti, tutto il popolo dell’Urbe ha la possibilità di vedere dal vivo l’imperatore, cosa altrimenti non facile.
Per noi è scontato sapere che faccia ha il premier di turno di questo o quel paese, le immagini circolano abbondanti e veloci grazie alla televisione, alla carta stampata, alla rete. Nei tempi antichi, invece, ci si deve accontentare dei ritratti sui monumenti ufficiali, numerosi ma non sterminati, e dell’unica cosa che ha veramente una diffusione capillare in tutto lo stato romano, la moneta. Grazie ai piccoli tondelli di metallo che circolano dappertutto, portati nei borsellini, scambiati per ogni acquisto quotidiano del ricco come del povero, tutti possono conoscere il volto dei propri governanti, anche coloro che a Roma non andranno mai.
C’è poi una sorta di “magia” che si compie all’interno degli edifici da spettacolo: tutti accalcati nei posti assegnati, tutti vicini, poveri e ricchi separati da poche file di sedili, si ha la momentanea impressione che le differenze sociali scompaiano, mentre si urla all’unisono per la propria squadra o si ride sguaiatamente per una battuta irriverente. Come avviene alle terme, lo spazio dei ludi rinsalda, anche se in maniera effimera, il senso di appartenenza alla comunità. In più, il gruppo dà forza: cose che il singolo non oserebbe mai chiedere al potente di turno possono essere gridate dalla folla indistinta. E un buon organizzatore di spettacoli, nonché un buon governante, capisce perfettamente quando e come deve tenere conto del parere della massa: così, la volta in cui a teatro gli spettatori protestarono ostinatamente contro Tiberio, che aveva rimosso l’Apoxyomenos di Lisippo dalle terme di Agrippa per porlo nella sua inaccessibile domus, all’imperatore non restò che rimettere a posto la statua.
Quello che assiste agli spettacoli non è un pubblico silente e composto, anzi: urla, consiglia, lancia battute, rumoreggia, protesta, esulta. Il compito di un buon editor, cioè dell’organizzatore dei giochi, è quello di sapere gestire al meglio gli umori della massa e piegarli verso ciò che crede più opportuno.
In origine gli editores sono i consoli, poi, dal 367 a.C., gli edili e infine, dal 22 a.C., i pretori:5 hanno il compito di organizzare gli spettacoli per conto dello stato, attingendo dall’erario pubblico o, molto più spesso, dal proprio patrimonio. Si afferma già in età repubblicana, infatti, l’abitudine di utilizzare gli spettacoli come merce di scambio per garantirsi l’elezione politica e avviare così una fortunata carriera. Ogni manifestazione deve essere più mirabile della precedente, in un crescendo di aspettative: chi offre spettacoli che non trovano il gusto del pubblico è criticato aspramente. Così, a casa di Trimalcione viene demolito un certo Norbano che «ha offerto gladiatori da quattro soldi, che a soffiargli contro sarebbero crollati a terra. Ho visto condannati alle bestie in migliori condizioni… Alla fine li dovettero frustare, tanto la folla gridava “Dagli, dagli!”: dei veri campioni dell’arte della fuga».6
Gli aspiranti politici si indebitano fino al collo pur di saziare le brame del pubblico, ma spese e pretese salgono di pari passo.
In età imperiale è spesso l’imperatore stesso che si accolla i costi e diviene editor, anche perché ormai la carica di pretore è divenuta per molti una minaccia terribile: ciò che un tempo era un onore, diviene – proprio a causa dei giochi – quasi una condanna alla bancarotta. La matrona Proculeia, racconta Marziale, non appena viene a sapere che il marito è divenuto pretore, si affretta a chiedere il divorzio:
Con l’arrivo dell’anno nuovo, Proculeia, abbandoni
il vecchio marito e gli dici di tenersi i suoi beni.
Perché l’hai fatto? Qual era il motivo del tuo dolore?
Non mi vuoi rispondere? Te lo dirò io. Era un pretore:
anche a non voler fare le cose in grande, centomila
sesterzi per le feste Megalesi avrebbe dovuto pagare,
e per quelle della plebe come minimo ventimila.
Questo non è un divorzio, Proculeia: è un vero affare.7
Addirittura, ai tempi di Costantino, nel IV secolo d.C., l’imperatore arrivò a dover costringere i pretori a entrare in carica, tanto questi cercavano di evitare il disastro economico legato alla sponsorizzazione dei giochi!
In tutta questa profusione di risorse economiche e manovre politiche, la religione, che fu la prima spinta alla nascita degli spettacoli, diviene via via poco più che un pretesto, un atto necessario: un rituale partecipato – sempre meno sentito e compreso dalla massa – in quanto tappa dovuta per arrivare a ciò che interessa davvero, lo spettacolo.
Anche se si perde del tutto – o quasi – il loro significato, i simboli religiosi però restano: di questo si accorgeranno gli scrittori cristiani e i padri della Chiesa, che infatti condannano spesso e volentieri la frequentazione degli spettacoli, siano essi teatrali, circensi, gladiatori, atletici.
In ogni angolo si annida l’idolatria, che il buon cristiano deve evitare più di una pestilenza. Non sfugge all’occhio di Tertulliano che gli elementi decorativi della spina centrale del Circo Massimo a Roma sono un inno al paganesimo, a partire dalle statue di delfini utilizzati per contare i giri di gara, fino alla colonna della Vittoria e all’obelisco di Ramsete II, smaccato indice di culto solare agli occhi del difensore della vera fede. Tutto il circo inneggia impudentemente agli dei pagani. Non meno perniciosi sono i teatri, «sede di Venere»: i movimenti degli attori sono lascivi, impudichi e la loro voce modulata richiama Apollo e le Muse, Minerva e Mercurio, inventori e protettori di queste manifestazioni. Vade retro anche per quanto riguarda le gare sportive, consacrate agli dei pagani, e per le lotte tra gladiatori, originate dalla sete di sangue per placare i defunti. E l’anfiteatro? «È il tempio di tutte le potenze del male: ce ne sono tante, quanti sono gli uomini che è capace di contenere»8 sentenzia senza possibilità di appello Tertulliano.
Se poi tutto questo non bastasse, tutti gli spettacoli muovono emozioni turpi negli spettatori, tutto è furore, impudicizia, violenza, crudeltà, follia: ce ne è a sufficienza per disprezzarli a fondo, se si è bravi fedeli.
Ma i cristiani ormai sembrano davvero essere gli unici memori della forte connessione tra ludi e religione: mentre Tertulliano tuona e ammonisce, in tutto l’impero la gente continua a fare la fila per assistere agli spettac...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Vacanze romane
  4. Nota introduttiva
  5. I. Il tempo libero nella storia di Roma
  6. II. «In corpore sano»: le terme e la palestra
  7. III. Lussuose cene e famose bettole: i piaceri della tavola
  8. IV. «Sex and the city»: il tempo del piacere amoroso
  9. V. «Homo ludens»: il tempo del gioco tra privati di ogni età
  10. VI . Alla ricerca di emozioni collettive: i «ludi»
  11. VII. Fuga dalla città: il piacere della campagna, la villeggiatura, i viaggi
  12. VIII. Non di solo pane (e circo) vive l’uomo: il tempo dello spirito
  13. Note
  14. Indice delle principali fonti antiche citate nel testo
  15. Per farsi un’idea: cenni di bibliografia
  16. Inserto fotografico
  17. Copyright