Il libeccio era durato fino alla notte prima, e un largo tratto di spiaggia era stato spianato e scurito dalla mareggiata. Anna camminava adagio, guardando in terra. Seguiva la traccia di due piedi nudi. Poi la sua attenzione fu attirata da un’orma composta da tre graffiature: pensò che l’avesse lasciata un gabbiano. Risalì il pendio e si mise a camminare lungo l’orlatura bianchiccia che segnava l’estremo limite della mareggiata. Con la punta del piede smuoveva le conchiglie e i sassolini che la furia delle onde aveva portato fin là. Notò un pesciolino morto; e una bava che sotto la carezza del vento sembrava volesse staccarsi da terra e prendere il volo. Le bastò sfiorarla, perché si sfacesse.
Anna si tirò indietro di qualche passo e sedette sulla sabbia asciutta. Non era una ragazza che desse nell’occhio: benché fosse bene in carne e avesse un personale svelto. I capelli li portava tagliati corti, con una frangetta che le copriva la fronte. Aveva fattezze regolari: precisa la linea arcuata delle sopracciglia, ben modellato il naso, disegnate con nettezza e in rilievo le labbra. Ma il bello di Anna erano gli occhi: verdi, cosa rara in una bruna. E la voce: rauca, quasi cavernosa, che sulle prime poteva riuscire sgradita, poi si rivelava incantevole. Pure, ci voleva tempo per accorgersi di lei; infatti non erano stati molti i suoi corteggiatori: né tra i paesani né tra i villeggianti.
Dei colpi la fecero voltare. Doveva essere Enrico che smontava le ultime cabine. L’altro stabilimento era già stato demolito. La spiaggia era di nuovo libera: si vedeva solo in fondo un barroccio che caricava la ghiaia. Dalla parte del molo, dove il mare aveva mangiato la spiaggia e la poca sabbia rimasta era grossa e scura, c’erano alcune barche tirate in secco e un pescatore intento ad accomodare la rete. C’era anche don Vincenzo che stava entrando in acqua. S’immergeva piano piano, fermandosi ogni tanto a strofinarsi il petto, le braccia e il collo. L’acqua doveva essere parecchio fredda, ma don Vincenzo i bagni li faceva solo dopo che i villeggianti erano partiti.
Anna si mise a spianare un piccolo tratto di sabbia. Non le importava che la stagione fosse finita. Se la godeva poco: non andava alle feste da ballo allo chalet, né frequentava il passeggio serale in pineta. A parte qualche scappata sulla spiaggia la mattina, sia lei che la sorella durante l’estate facevano la solita vita. Con in più il disagio di avere gente in casa; e del chiasso che c’era in paese fino a tardi, mentre loro dovevano alzarsi presto.
Se Anna non aveva motivo di rimpiangere l’estate, nemmeno si sentiva attratta dai mesi che le stavano davanti. Non potevano più costituire un’attrattiva per lei le festicciole di carnevale o le recite messe su da don Vincenzo. “Quest’anno non reciterò. Soltanto andare a prender freddo in quello stanzone...” È vero che il divertimento erano le prove, gli scherzi per esempio che faceva Livio al cappellano, quando fingeva di aver dimenticato la parte e sbagliava apposta le battute.
Don Vincenzo usciva gocciolante dall’acqua. Attraversò il banco di ghiaia camminando sui talloni e agitando le lunghe braccia magre per tenersi in equilibrio. Faceva ridere con quel costume troppo lungo e troppo largo che gli si appiccicava addosso. Corse goffamente verso la sabbia asciutta, raccolse l’accappatoio e si affrettò a infilarlo. Poi, con l’asciugamano, prese a stropicciarsi forte i capelli.
Anna tornò a guardare dalla parte opposta. Proprio nel punto dov’era il barroccio, la spiaggia cominciava a curvare; continuava così, per chilometri e chilometri, accompagnata dallo scalino del tombolo. Quasi a metà c’era un forte, che serviva da caserma alla finanza. Anna c’era stata una volta in passeggiata con la sorella e la zia. Il suo sguardo indugiò sul forte, poi si spinse sui poggi scuri di bosco che chiudevano l’orizzonte. C’era un paese a mezza costa, ma non ne ricordava il nome. Era sempre vissuta a Marina, di quello che c’era altrove si curava poco. I villeggianti venivano dai paesi dell’immediato retroterra, qualcuno anche da lontano, da Firenze, da Roma. La famiglia che prendeva in affitto una camera da loro, era di Firenze. Erano gente alla buona, e le avevano ripetutamente invitate, sia lei che la sorella. Bice una volta c’era andata, per tre o quattro giorni; lei no. Che gliene importava di veder Firenze?
C’era un fumo all’orizzonte, proprio in mezzo al mare. Il mare era calmo, ma non così lucente come in piena estate. Improvvisamente il grigioazzurro del mare si oscurò e, insieme, Anna sentì stringersi alle tempie. «Smettila, mi fai male» disse irata, ma la mano non allentò la presa. Per quanto scuotesse con forza il capo, non le riusciva liberarsi; afferrò il polso: era un polso robusto, da uomo. «Smettila, su. Sei Enrico, ho capito. Mi fai il favore di smetterla?»
La mano allentò la presa, e lei poté voltarsi. Non s’era ingannata, era Enrico, le era arrivato zitto zitto alle spalle e le aveva fatto quel vecchio scherzo. «Com’è che hai indovinato?» le chiese.
«Perché non sentivo più battere; e poi, chi vuoi che li faccia questi scherzi se non tu?» Era stata sul punto di dire: questi stupidi scherzi; ma s’era fermata in tempo. Enrico era un pezzo d’uomo, con le spalle larghe e le braccia muscolose; e con la barba dura e fitta sulle guance e sul mento. Ma aveva sempre lo stesso carattere permaloso di quand’era ragazzo.
«Allora, Annina, cosa mi racconti?»
«Tu piuttosto.»
«Io? Io sono un uomo felice. Oggi smonto le ultime cabine... e così, se Dio vuole, è finita. Chiuso» e tracciò una croce sulla sabbia. «Non se ne riparla più per due anni. In primavera vado a fare il soldato.»
Anna taceva, sperando che se ne andasse. Aveva voglia di star sola; e poi c’era qualcosa, in Enrico, che la metteva a disagio. Non era mai naturale: parlava in modo sforzato, rideva in modo falso. Per di più era sboccato; e aveva il vizio di mettere le mani addosso.
Due anni prima, le aveva fatto la dichiarazione, e lei gli aveva detto di no. Da allora, non le aveva più parlato d’amore; ma dal modo come la guardava, Anna aveva motivo di credere che sperasse ancora.
Anche per questo, la imbarazzava star con lui. «Che ore sono?» gli chiese.
«Le tre e mezzo» rispose Enrico; e poiché lei dava segno di volersi alzare: «Aspetta un momento! È un secolo che non ci vediamo e se non si approfitta dell’occasione per far due chiacchiere...».
«Ma se ci siamo visti tutte le mattine fino a pochi giorni fa...»
«Allora avevo troppo da fare. Corri di qua corri di là agli ordini dei signori bagnanti...»
«Ma ora ti riposi per un bel po’.»
«Ora comincia quest’altro bel lavoro... di combattere con tutti quegli ubriachi.»
«Se è tua madre che fa tutto, andiamo.»
«Mia madre fa... quello che può fare una donna. Ma per mettere fuori un ubriaco, ci vuole un uomo. E poi l’inverno, anche se non ti ammazzi dal lavoro, muori dalla noia. Quando ti cominciano quelle libecciate che durano una settimana... È inutile,» aggiunse dopo un attimo e come parlando tra sé «la sola cosa da fare è prender moglie. Almeno, quando hai moglie, stai bene anche in casa. Puoi infilarti a letto e rimanerci finché dura la mareggiata... Tu cosa ne dici?»
«Io dico che devo andarmene. Ciao.»
Lui la guardò con un sorriso incerto, poi si alzò e la seguì senza dir niente.
In cima alla spiaggia, Anna ritrovò le ciabatte. «Ciao» disse ancora, senza voltarsi; e si avviò verso casa.
Erano le quattro passate quando entrò nella stanza da lavoro: Bice stava già cucendo davanti alla finestra. Senza dir nulla, Anna prese uno dei cappotti ammonticchiati sopra il tavolo e cominciò anche lei a lavorare.
Lavoravano davanti alla finestra per via della luce, ma anche per distrarsi dando ogni tanto un’occhiata fuori. Attaccare le mostrine e i numeri non era un lavoro che richiedesse molta attenzione, e le due sorelle avrebbero potuto chiacchierare tutto il tempo, se ne avessero avuto voglia. Ma Anna era poco loquace; e Bice si stancava di parlar sempre lei.
Sul tardi venne a trovarle Lina. Bice l’abbracciò, come se non si fossero viste da chissà quanto tempo; Anna a fatica le diede la mano.
Lina aveva portato un romanzo a Bice; cominciò a raccontarglielo. Anna la interruppe:
«Perché glielo racconti? Poi non ci prova più gusto a leggerlo.»
Una volta tanto Bice fu d’accordo con lei:
«Sì, non stare a raccontarmelo tutto! Dimmi solo se alla fine si sposano.»
«No, non si sposano... Capisci? Lui è un ufficiale, non può sposare una del popolo. Ora devo andare» disse alzandosi. «Sentite, ragazze: dopo cena, usciamo?»
La zia tornò verso le otto. Quando le dissero che sarebbero uscite, storse la bocca: non aveva piacere che andassero fuori la sera, ora che la stagione era finita.
Anna fu pronta in due minuti. Aspettando che la sorella completasse la toeletta, si af...