La falsa amante
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La falsa amante

(dalle Scene della vita privata)

  1. 144 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La falsa amante

(dalle Scene della vita privata)

Informazioni su questo libro

Un intrigo amoroso che vede coinvolti due amici della bella società parigina. La nuova edizione di un classico appartenente al vasto ciclo balzachiano degli "Studi di costumi".

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804442370
eBook ISBN
9788852064463

LA FALSA AMANTE

Dedicato alla contessa
Clara Maffei1
Nel settembre del 1835, una delle più ricche ereditiere del faubourg Saint-Germain, mademoiselle du Rouvre, unica figlia del marchese del Rouvre, sposò il conte Adam Mitgislas Laginski, un giovane polacco in esilio.2 Mi sia qui consentito di scrivere i nomi come si pronunziano, per risparmiare ai lettori la presenza dei sostegni consonantici con cui la lingua slava protegge le proprie vocali, probabilmente per non perderle, stante il loro numero esiguo. Il marchese del Rouvre aveva quasi completamente dissipato uno dei più splendidi patrimoni della nobiltà, a cui doveva in altri tempi la sua unione con una giovane Ronquerolles. Così, per parte materna, Clémentine du Rouvre aveva come zio il marchese di Ronquerolles, e come zia madame de Sérizy. Per parte di padre, contava su un altro zio nella bizzarra figura del cavaliere del Rouvre, ultimogenito della famiglia, un vecchio scapolo arricchitosi speculando sui terreni e sui fabbricati. Il marchese di Ronquerolles ebbe la disgrazia di perdere i suoi due figli allo scoppio del colera.3 Il figlio unico di madame de Sérizy, un giovane militare di grandi speranze, morì in Africa, nello scontro della Macta.4 Oggigiorno, le famiglie ricche si trovano tra il pericolo di mandare in rovina i figli, se ne hanno troppi, e il rischio di estinguersi se si limitano a uno o due, una curiosa conseguenza del Codice civile a cui Napoleone non aveva pensato.5 Per un effetto del caso, nonostante gli sperperi insensati del marchese del Rouvre per Florine, una delle attrici più affascinanti di Parigi, Clémentine divenne così un’ereditiera. Il marchese di Ronquerolles, uno dei più abili diplomatici della nuova dinastia, la sorella, madame de Sérizy, e il cavaliere del Rouvre, per salvare i loro patrimoni dalle grinfie del marchese, si accordarono per lasciarli alla nipote, alla quale promisero inoltre di concedere, all’atto del suo matrimonio, diecimila franchi di rendita ciascuno.
È perfettamente inutile dire che il polacco, sebbene in esilio, non costava proprio nulla al governo francese. Il conte Adam appartiene a una delle più antiche e più illustri famiglie polacche, imparentata con la maggior parte delle case principesche germaniche, coi Sapieha, i Radziwill, i Rzewuski, coi Czartoriski, i Leczinski, gli Iablonoski, i Lubermiski, con tutti i grandi Ki sarmatici.6 Ma le conoscenze araldiche non sono un tratto distintivo della Francia di Luigi Filippo, e quella nobiltà non poteva essere una raccomandazione agli occhi della borghesia che allora governava.7 Del resto, quando, nel 1833, Adam fece la sua apparizione sul boulevard des Italiens, da Frascati, al Jockey Club,8 la sua vita fu quella di un giovane che, perdute le speranze politiche, ritrovava i vizi e l’amore per il piacere.
Fu scambiato quindi per uno studente. Il nome polacco, a causa di un’odiosa reazione governativa, era allora caduto tanto in basso quanto i repubblicani volevano invece innalzarlo. La strana lotta del Mouvement contro la Résistence,9 due parole, queste, destinate a divenire incomprensibili nel giro di trent’anni, ridusse a zimbello ciò che avrebbe meritato ben altro rispetto: era il nome di una nazione sconfitta a cui la Francia accordava ospitalità, per la quale s’inventavano feste, si cantava e si ballava per sottoscrizione; insomma una nazione che, al tempo della guerra tra l’Europa e la Francia, le aveva offerto seimila uomini nel 1796, e che uomini! Non si deve dedurre da questo che si voglia dar torto allo zar Nicola contro la Polonia, o alla Polonia contro lo zar Nicola. Sarebbe innanzi tutto abbastanza sciocco insinuare discussioni politiche in un racconto che deve divertire o interessare. Inoltre, la Russia e la Polonia avevano entrambe ragione, l’una di volere l’unità del proprio impero, e l’altra di voler tornare libera. Sia detto per inciso che la Polonia avrebbe potuto conquistare la Russia con la forza dei suoi costumi, invece di combatterla con le armi, sull’esempio dei Cinesi, che hanno finito per cinesizzare i Tartari, e che potranno, auguriamocelo, cinesizzare gli Inglesi.10 La Polonia doveva polonizzare la Russia: Poniatowski11 aveva cercato di farlo nella regione meno temperata dell’impero; ma quel gentiluomo fu un re tanto più incompreso, in quanto forse non riusciva a capirsi bene lui stesso. Come non avere in odio quella povera gente che era stata la causa dell’orribile menzogna12 consumata durante la parata in cui tutta Parigi chiedeva di soccorrere la Polonia? Si finse di considerare i Polacchi come gli alleati del partito repubblicano, senza considerare che la Polonia era una repubblica aristocratica. Da quel momento la borghesia riversò le sue ignobili manifestazioni di sdegno sul polacco che solo qualche giorno prima si portava alle stelle. Il vento di una sommossa ha sempre fatto oscillare i parigini esattamente da un polo all’altro, sotto tutti i governi. Bisogna per forza ricordare questi voltafaccia dell’opinione parigina per spiegare come la parola “polacco” fosse, nel 1835, un epiteto spregiativo presso un popolo che si crede il più intelligente e civile del mondo, al centro dei lumi, in una città che oggi ha in mano lo scettro delle arti e della letteratura. Esistono, ahimè!, due specie di Polacchi esiliati, il polacco repubblicano, discepolo di Lelewel, e il nobile del partito di cui è capo il principe Czartoriski.13 Queste due specie di polacchi sono l’acqua e il fuoco; ma perché mai prendersela con loro? Divisioni del genere non si sono forse sempre viste negli esiliati, a qualunque nazione appartengano, in qualunque paese essi vadano? Gli uomini si portano dietro il proprio paese e i propri odî. A Bruxelles, due preti francesi emigrati manifestavano l’uno per l’altro un profondo ribrezzo, e quando a uno di loro ne fu chiesto il perché, questi rispose indicando il compagno di sventura: «È un giansenista». Dante avrebbe volentieri pugnalato nel suo esilio un avversario dei Bianchi. Qui sta la ragione degli attacchi diretti contro il venerabile principe Adam Czartoriski da parte dei radicali francesi, e il motivo del discredito riversato su una parte dell’emigrazione polacca dai Cesari di bottega e dagli Alessandri della commenda. Nel 1834, quindi, Adam Mitgislas Laginski si trovò addosso le malignità e le facezie parigine. «È simpatico, anche se polacco» diceva di lui Rastignac.14 «Tutti questi Polacchi sostengono di essere dei gran signori», diceva Maxime de Trailles,15 «ma costui paga i suoi debiti di gioco; comincio a credere che abbia delle terre.» Senza alcuna offesa per chi è in esilio, è lecito fare osservare che la leggerezza, la spensieratezza, l’inconsistenza del carattere sarmatico legittimarono le maldicenze dei parigini, i quali peraltro somiglierebbero in tutto ai Polacchi se si trovassero in una situazione analoga. L’aristocrazia francese, così mirabilmente soccorsa dall’aristocrazia polacca durante la Rivoluzione, non ha certo fatto altrettanto con l’emigrazione forzata del 1832. Bisogna avere il triste coraggio di dirlo, il faubourg Saint-Germain è ancora debitore, in questo, della Polonia. E il conte Adam era ricco, era povero, era un avventuriero? La questione restò a lungo irrisolta. I salotti della diplomazia, fedeli alle istruzioni ricevute, imitarono il silenzio dello zar Nicola, che considerava allora come morto ogni emigrato polacco. Le Tuileries e la maggior parte di coloro che vi ricevono la loro parola d’ordine diedero una prova orrenda di quella qualità politica che viene insignita col titolo di saggezza. A un principe russo col quale si fumava un sigaro ai tempi dell’emigrazione, si voltavano le spalle per il fatto che sembrava caduto in disgrazia presso lo zar Nicola.16 Collocati tra la prudenza della corte e quella della diplomazia, i polacchi di rango vivevano nella solitudine biblica di Super flumina Babylonis,17 o frequentavano quei salotti che servono da terreno neutrale a tutte le opinioni. In una città di piacere come Parigi, dove le distrazioni abbondano a tutti i livelli, la sventatezza polacca trovò motivi due volte maggiori di quanto non ne occorressero per condurre la vita dissipata propria della giovinezza. In conclusione, per dirla in breve, Adam ebbe innanzi tutto contro di sé il proprio aspetto e i propri modi. Vi sono due tipi di polacchi come vi sono due tipi di donne inglesi. Quando un’inglese non è molto bella, è orribilmente brutta, e il conte Adam fa parte della seconda categoria. Il suo viso minuto, con la sua aria lievemente agra, sembra come schiacciato in una morsa. Il naso corto, i capelli biondi, i baffi e la barba rossi gli danno tanto più l’aspetto di una capra in quanto è piccolo, magro, e i suoi occhi di un giallo sporco ti prendono con quello sguardo obliquo consacrato dal verso di Virgilio.18 Ma come mai, nonostante tante condizioni sfavorevoli, egli possiede delle maniere e un tono così squisiti? L’enigma si spiega da una parte con il suo comportamento da dandy, e dall’altra con l’educazione che gli viene dalla madre, una Radziwill. Se in lui il coraggio giunge sino alla temerarietà, lo spirito non supera per nulla le facezie comuni ed effimere della conversazione parigina; ma egli non incontra spesso fra la gioventù alla moda un giovinotto che gli sia superiore.
Quelli del gran mondo, oggi, parlano troppo di cavalli, rendite, imposte, deputati, perché la conversazione francese rimanga quello che è stata in altri tempi. Lo spirito vuole agio e certe ineguaglianze di condizione. Forse, si conversa meglio a Pietroburgo e a Vienna che a Parigi. Gli uomini di pari condizione non hanno più bisogno di finezze, e si dicono quindi brutalmente le cose come stanno. Così, le lingue caustiche di Parigi riconobbero a stento un gran signore in una sorta di studente frivolo che, nel parlare, passava con disinvoltura da un argomento all’altro, inseguendo i divertimenti con tanto più furore in quanto era appena sfuggito a grandi pericoli, e, uscito dal suo paese dove la sua famiglia aveva un nome, si riteneva libero di condurre una vita disordinata senza correre i rischi del biasimo. Un bel giorno, nel 1834, Adam comperò un palazzo, in Rue de la Pépinière.19 Sei mesi dopo tale acquisto, il suo tenore di vita raggiunse quello delle più illustri casate di Parigi. Nel momento in cui Laginski cominciava a farsi prendere sul serio, vide Clémentine a teatro, agli Italiens,20 e si innamorò di lei. A un anno di distanza, si celebrò il matrimonio. Il salotto di madame d’Espard diede il via alle lodi. E le madri di famiglia seppero troppo tardi che, sin dal secolo decimo, i Laginski figuravano tra le famiglie illustri del Nord Europa. Con una forma di prudenza antipolacca, la madre del giovane conte, al momento dell’insurrezione, aveva ipotecato i suoi beni per una somma enorme prestata da due banche ebraiche e investita in titoli francesi. Il conte Adam Laginski possedeva ottantamila franchi di rendita. Allora più nessuno si meravigliò dell’imprudenza con la quale, secondo molti salotti, madame de Sérizy, il vecchio diplomatico Ronquerolles e il cavaliere del Rouvre avevano ceduto alla folle passione della nipote. Si passò, come sempre, da un estremo all’altro. Durante l’inverno del 1836 il conte Adam fu alla moda, e Clémentine Laginska divenne una delle regine di Parigi. Madame Laginska oggi fa parte di quel gruppo affascinante di giovani donne ove brillano le signore de l’Estorade, de Portenduère, Marie de Vandenesse, du Guénic e Maufrigneuse,21 i fiori della Parigi contemporanea, che vivono molto distanti dagli arricchiti, dai borghesi e dagli affaristi della nuova politica.
Il preambolo era necessario per precisare la sfera in cui si è svolta una di quelle azioni sublimi che, meno rare di quanto non credano i detrattori del tempo presente, sono, come le belle perle, il frutto di una sofferenza o di un dolore, e, simili alle perle, giacciono nascoste sotto dure scaglie, perdute in fondo a quell’abisso, a quel mare, a quell’onda in agitazione continua, chiamata il mondo, il secolo, Parigi, Londra, Pietroburgo, o come volete!
Se mai risponde al vero che l’architettura sia l’espressione dei costumi, tale verità non è stata forse dimostrata dopo l’insurrezione del 1830, sotto il regno della casa d’Orléans? Mentre in Francia tutte le fortune si assottigliano, i maestosi palazzi dei nostri padri continuano ad essere demoliti senza posa e rimpiazzati da specie di falansteri in cui il pari di Francia di Luglio occupa un terzo piano sopra un medicone arricchito. Gli stili sono impiegati alla rinfusa. Siccome non esiste più corte o nobiltà a dare il tono, non si scorge coerenza alcuna nei prodotti dell’arte. A sua volta, l’architettura mai ha trovato maggiori mezzi economici per contraffare il vero, il solido, e mai ha messo in atto maggiori risorse, più inventiva nella distribuzione degli spazi. Date a un artista l’ultima fascia del giardino in un vecchio palazzo abbattuto, ed egli vi costruisce un piccolo Louvre sovraccarico di ornamenti; vi ricava un cortile, delle scuderie, e, se ci tenete, un giardino; all’interno, accumula tante stanzette e disimpegni, sa così bene ingannare l’occhio che ci si sente a proprio agio; insomma, sa moltiplicare tanti di quegli alloggi che una famiglia ducale può muoversi e aggirarsi in quello che era il forno di un alto giudice della corte. ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Mariolina Bongiovanni Bertini
  4. Cronologia della vita e delle opere principali
  5. Bibliografia essenziale
  6. LA FALSA AMANTE
  7. «Honoré de Balzac» di Henry James
  8. Note a cura di Claudia Moro
  9. Copyright