L'Americano
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L'Americano

  1. 480 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

La storia di un milionario statunitense che decide di visitare l'Europa per accrescere la propria cultura ed eventualmente trovar moglie. Ma la sua prima esperienza a Parigi è del tutto negativa, tanto che si persuaderà a tornare in patria. Uno dei primi romanzi di James (1843-1916).

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804394884
eBook ISBN
9788852065194

L’Americano

Capitolo I

Un chiaro giorno di maggio dell’anno 1868 un signore stava comodamente allungato sul grande divano circolare che in quel tempo occupava il centro del Salon Carré, al Museo del Louvre. Questo spazioso sofà è stato tolto via, ora, con gran rimpianto di tutti gli appassionati d’arte deboli di gambe; ma il signore in questione aveva preso serenamente possesso del suo punto più morbido e, con la testa gettata all’indietro e le gambe distese, guardava intensamente la bella Madonna del Murillo1 sorretta dalla luna e si godeva beatamente la propria posizione. S’era tolto il cappello e aveva gettato accanto a sé una piccola guida rossa e un cannocchiale da teatro. Faceva caldo e, sudato pel camminare che aveva fatto, si andava passando ripetutamente il fazzoletto sulla fronte con gesto un poco stanco. Eppure non sembrava uomo a cui la stanchezza fosse familiare: lungo, slanciato, muscoloso, faceva venire in mente quella specie di vigore, detto comunemente «resistenza fisica».2 Ma l’attività di quel giorno era stata per lui abbastanza insolita, spesso, infatti, aveva compiuto prodezze di grande impegno fisico che lo avevano, però, lasciato meno spossato di quel suo tranquillo passeggiare per il Louvre. Aveva passato in rassegna tutti i quadri che il Baedeker segnalava con un asterisco in quelle sue formidabili pagine di stampa minuta: la sua attenzione era stata tesa al massimo, gli occhi erano rimasti abbagliati, e ora se ne stava seduto in preda ad un estetico mal di capo. Aveva inoltre guardato non solo tutti i quadri, ma anche tutte le copie che intorno ai quadri andavano progredendo per mano delle tante giovani francesi che, impeccabilmente abbigliate, si dedicano alla divulgazione dei capolavori; e, ad essere sinceri, aveva ammirato spesso più le copie degli originali. I tratti del suo volto ne rivelavano la natura di uomo sagace e abile, e spesso, in effetti, aveva passato notti intere sopra ardue montagne di conti, sentendo cantare il gallo senza emettere nemmeno uno sbadiglio. Ma Raffaello, Tiziano e Rubens erano una nuova aritmetica per il nostro amico e, per la prima volta nella sua vita, gli ispiravano una leggera diffidenza verso se stesso.
Un osservatore, appena sensibile ai tipi nazionali, non avrebbe avuto difficoltà a definire l’origine di questo inesperto amatore d’arte e si sarebbe potuto gustare la perfezione quasi ideale con cui l’uomo s’adattava allo stampo del suo paese. Il signore sul divano era un poderoso esemplare d’americano.3 Ma non era solo un bell’americano; era innanzitutto un bell’uomo. Dimostrava di possedere quella specie di salute e di vigore che, giunti al massimo grado, sono molto impressionanti: chi è dotato di un simile capitale fisico non deve far nulla per conservarlo. Se era forte e robusto, certo non ne era cosciente. Se doveva recarsi a piedi in qualche luogo lontano, ci andava, senza pensare di compiere un grande sforzo. Non aveva teorie né sui bagni freddi né sull’uso delle mazze indiane; non era né un canottiere né un tiratore né uno spadaccino (non aveva mai avuto tempo per simili divertimenti e proprio non sapeva che per certe forme d’indigestione fa bene cavalcare. Era per indole un uomo temperato; ma la sera prima di quella sua visita al Louvre aveva pranzato al Café Anglais (gli avevano detto che era un’esperienza da non trascurare) e nondimeno aveva dormito il sonno del giusto. La sua aria, il suo portamento consueti erano piuttosto rilassati e indolenti, ma quando, per una particolare ispirazione, decideva di ricomporsi pareva un granatiere in parata. Non fumava mai; gli era stato assicurato – c’è chi lo dice – che il sigaro è eccellente per la salute e lui era anche capace di crederci; ma s’intendeva di tabacco quanto di scienza omeopatica. Di testa molto ben fatta, fronte e occipite modellati simmetricamente, aveva una massa di capelli lisci e scuri piuttosto secchi. Era bruno di carnagione e aveva un naso fiero e dalla curva ben marcata. Gli occhi erano di un grigio chiaro e freddo, e il viso, tranne che per un paio di baffi abbondanti, era tutto sbarbato. Come accade spesso nell’americano, le mascelle erano piatte e il collo segnato dai tendini; ma le tracce del tipo etnico sono una questione di espressione ancor più che di fattezze del viso, e a questo riguardo l’aspetto del nostro amico era oltremodo eloquente. Il sottile osservatore che abbiamo immaginato poco fa avrebbe potuto misurarne perfettamente l’espressività e trovarsi peraltro imbarazzato nel descriverla. Essa aveva quella vaghezza che non è vacuità, quel candore che non è semplicità, quell’aria di non essere legato a niente in particolare, come di uno ben disposto verso tutte le circostanze della vita e verso gli altri, com’è caratteristico di molte facce americane. Ma era soprattutto negli occhi che stava scritta la storia del nostro amico: occhi in cui innocenza ed esperienza4 si fondevano in modo singolare. Quegli occhi suggerivano sensazioni contraddittorie e, pur non essendo quelli sfolgoranti di un eroe da romanzo, vi si poteva trovare quasi ogni cosa che vi si cercasse. Freddi e pur amichevoli, franchi e pur cauti, sagaci e pur creduli, positivi e pur scettici, pieni di confidenza e pur riservati, estremamente intelligenti e ridenti, essi possedevano qualcosa di vagamente sprezzante pur nella cordialità e qualcosa di profondamente rassicurante pur nel riserbo. Il taglio dei baffi, con due rughe premature accanto, e la foggia del suo vestito in cui uno sparato di camicia e una cravatta azzurro chiaro erano forse troppo appariscenti, completavano gli elementi della sua identità. Noi lo abbiamo avvicinato forse in un momento non troppo favorevole; egli certo non è in posa per un ritratto. Ma disattento, piuttosto imbarazzato dai problemi di natura estetica e colpevole del triste errore (come infine abbiamo scoperto) di confondere il merito dell’artista con quello della sua opera (ammira, infatti, la strabica Madonna della signorina coi capelli alla maschietta, attratto dall’insolita bellezza della ragazza), egli è una conoscenza discretamente promettente. Risolutezza, salute, giocondità, ricchezza sono tutte cose che sembra avere a portata di mano; evidentemente è un uomo pratico, ma l’idea di praticità, nel suo caso, ha limiti indefiniti e misteriosi che invitano l’immaginazione a lavorare.
Di tanto in tanto, mentre procedeva nel lavoro, la piccola pittrice dava un’occhiata interrogativa al suo ammiratore. Pareva che per lei coltivare le belle arti volesse dire compiere una quantità di gesti marginali, come allontanarsi un poco a contemplare la pittura a braccia conserte col capo piegato ora da una parte ora dall’altra, stringersi tra le dita un mento pieno di fossette sospirando e corrugando la fronte e picchiettando il piede per terra, cacciarsi febbrilmente le dita fra le trecce in disordine per cercarvi una forcina vagante… Questi gesti erano accompagnati da un’occhiata irrequieta che si posava più a lungo che altrove sopra il signore in questione. Alla fine costui si alzò repentinamente, si mise il cappello e le si accostò. Poi, piantatosi davanti alla copia, la contemplò per qualche momento, mentre la ragazza faceva finta di non accorgersi affatto del suo attento esame. Quindi, volgendosi a lei con la sola parola che era il suo forte in francese e tenendo levato il dito in un modo secondo lui particolarmente significativo: «Combien?» domandò d’un tratto.
La pittrice lo fissò un poco con gli occhi sbarrati, increspò appena le labbra, alzò le spalle, poi, deposti pennello e tavolozza, si mise a stropicciarsi le mani.
«Quanto?» chiese il nostro amico in inglese. «Combien?»
«Monsieur desidera forse acquistare il mio quadro?» domandò la signorina in francese.
«Molto grazioso, splendide. Combien?» ripeté l’americano.
«Piace a monsieur il mio quadretto? È un soggetto molto bello» fece la signorina.
«La Madonna, sì… Non sono cattolico, ma voglio acquistarla ugualmente. Combien? Scrivetemelo qui.» E tratta di tasca una matita, le mostrò il risvolto bianco della sua guida. L’altra rimase là a fissarlo un poco passandosi la matita sul mento. «Non è in vendita?» le domandò. Ma la ragazza continuava a riflettere e a fissarlo con occhi che tradivano un’incredibilità quasi commovente, nonostante la voglia di considerare come cosa normale quella pretesa di mecenatismo ed egli perciò temette d’averla offesa. La giovane cercava semplicemente di mostrarsi indifferente e si chiedeva fin dove potesse arrivare. «Non ho commesso un errore?… Pas insulté, non?» continuò a dire il suo interlocutore. «Non capite un po’ d’inglese?»
La capacità della signorina di scegliere alla svelta la sua parte era piuttosto notevole. Lo fissò ancora col suo sguardo acuto e sagace e gli chiese se non parlava francese. Poi: «Donnez!» disse in breve e prese la guida aperta. Nell’angolo superiore del foglio segnò una cifra con una scrittura minuta e molto nitida. Restituì quindi il libro al suo interlocutore e riprese la tavolozza.
Il nostro amico lesse la cifra: «2000 franchi». Al momento non disse nulla, ma rimase a guardare il quadro mentre l’imitatrice aveva ricominciato a dare rapide pennellate coi suoi colori. «Per una copia non è troppo?» alla fine le domandò. «Pas beaucoup?»
La signorina rialzò gli occhi dalla tavolozza, lo squadrò da capo a piedi e con ammirevole sagacità scelse la risposta più opportuna: «Sì, è molto. Ma la mia copia è di gran qualità e non merita meno».
Il signore che c’interessa non capiva il francese, ma ho detto che era intelligente e questo è il momento per provarlo. Egli comprese istintivamente il significato della frase e si rallegrò della sua onestà. Bellezza, talento, virtù; tutto aveva! «Ma dovete finirlo» le disse «finish, capito?» E le indicò, nella figura, una mano non ancora dipinta.
«Oh, verrà perfetto: il meglio del meglio!» esclamò mademoiselle. E per confermare la promessa, diede una pennellata di rosa sulla guancia della Madonna.
L’americano corrugò la fronte. «Ah, troppo rosso, troppo rosso! L’incarnato» fece additando il Murillo, «è più delicato.»
«Delicato? Oh, verrà delicato, monsieur, verrà delicato come un biscuit di Sèvres. Ora lo smorzerò un poco di tono. Conosco tutti i segreti della mia arte… E dove volete che vi venga recapitato? Il vostro indirizzo, prego?»
«Il mio indirizzo? Ah sì!» e trasse una carta da visita dal portafoglio e vi scrisse qualcosa. Poi, dopo un momento di esitazione, soggiunse: «Però, se non dovesse piacermi una volta finito non sarò obbligato a prenderlo, vero?».
La signorina quanto a intuito non era da meno di lui. «Oh, sono certa che monsieur non è volubile» disse con un sorriso malizioso.
«Volubile?» e allora monsieur cominciò a ridere. «Oh, no non sono volubile. Mantengo la parola, sono molto costante. Comprenez?»
«Monsieur è costante, capisco perfettamente. È una virtù rara. In compenso avrete il vostro quadro al più presto: la settimana prossima… appena sarà asciutto. Prenderò la carta da visita di monsieur.» La prese e lesse il nome: «Christopher Newman». Poi provò a ripeterlo forte e rise alla propria cattiva pronuncia. «I vostri nomi inglesi son così buffi!»
«Buffi?» disse il signor Newman ridendo anche lui. «Avete mai sentito parlare di Cristoforo Colombo?»
«Bien sûr! Quello che ha inventato l’America. Un grand’ uomo. È il vostro protettore?»
«Mio protettore?»
«Il vostro santo del calendario.»
«Oh, è proprio così, è per lui che i miei mi hanno dato questo nome.»
«Monsieur è americano?»
«Non lo vedete?» egli domandò.
«E porterete il mio piccolo quadro laggiù?» soggiunse lei chiarendo la frase con un gesto.
«Oh, intendo acquistare tanti quadri… beaucoup, beaucoup» disse Christopher Newman.
«L’onore che mi fate non ne è sminuito» fece la giovane «perché son sicura che monsieur ha molto buon gusto.»
«Ma dovete darmi la vostra carta da visita» Newman disse. «La vostra carta, capito?»
Per un istante l’altra sembrò adombrarsi, poi disse: «Mio padre verrà da voi».
Stavolta Newman non ce la fece col proprio intuito. «Il vostro biglietto, il vostro indirizzo» si limitò a ripetere.
«Il mio indirizzo?» disse mademoiselle. Poi, con una breve alzata di spalle: «Per fortuna siete americano! È la prima volta che dò il mio biglietto da visita a un signore». E tolto di tasca un portamonete piuttosto unto, ne trasse una lucida carta da visita che porse al suo mecenate.
Sopra c’era scritto a pennello, in caratteri nitidi e tra grandi svolazzi: «M.lle Noémie Nioche». Ma il signor Newman, al contrario della sua interlocutrice, lesse il nome in tutta serietà; tutti i nomi francesi gli riuscivano egualmente curiosi.
«Ma ecco mio padre ch’è venuto per riaccompagnarmi a casa» disse mademoiselle Noémie. «Sa l’inglese e potrà intendersi con voi.» E si volse a salutare un signore piccolo e vecchio che veniva avanti, con passo strascicato, sbirciando Newman al di sopra degli occhiali.
Monsieur Nioche, sopra un piccolo viso mansueto, bianco e assente portava una parrucca impomatata d’un colore innaturale che non gli dava un’espressività maggiore di quella di certi anonimi portaparrucche, sopra i quali articoli del genere fanno bella mostra nelle botteghe dei barbieri. Era una squisita immagine di nobiltà decaduta. Il suo pastrano striminzito e di cattiva fattura, spazzolato un’infinità di volte, i suoi guanti rammendati, i suoi stivali tirati a lucido, il suo cappello stinto e riassettato raccontavano di una persona che «aveva subito dei tracolli» e che si aggrappava alle forme di un vestire decente benché la sostanza fosse ormai irrimediabilmente perduta. Tra le altre cose il signor Nioche aveva perduto anche il coraggio. Le avversità non solo lo avevano rovinato...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. Nota al testo
  7. L’AMERICANO
  8. Appendice – Prefazione a «L’Americano» per la New York Edition
  9. Note
  10. Copyright