Lord Jim
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Lord Jim

  1. 416 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Eroe solitario, segnato dalla sventura e dal rimorso, estraniato dalla famiglia e dalla patria, Jim è in fuga. Ha paura del suo passato, smarrito, in balia dei ciechi colpi del caso. E abbandona tutto e tutti, si sposta a Oriente, sempre più lontano, perseguitato dalle sue Erinni. Come in altri suoi romanzi, in "Lord Jim" - scritto nel 1900, perfetto esempio di racconto nel racconto - Conrad sottolinea come nella vita di ciascuno esista un istante cruciale, una 'linea d'ombra': nell'attraversarla si può precipitare o approdare a un porto sicuro. E' un attimo, è il momento della prova, e bisogna essere pronti. E laggiù, nella foresta del Borneo, alla ricerca dell'oblio e del riscatto, Jim, Lord Jim, riprende a vivere: riconquista un'identità, ricostruisce un mondo di affetti, ritrova l'occasione di fissare la morte in faccia, di oltrepassare, questa volta pronto, quella fatidica 'linea'.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804519010
eBook ISBN
9788852065156

Lord Jim

«È indubbio che la mia convinzione si rafforza infinitamente nel momento stesso in cui in essa crede anche un’altra anima.»
Novalis

Nota dell’autore

Quando questo romanzo uscì per la prima volta in volume, si diffuse l’opinione che io mi fossi lasciato prendere la mano. Alcuni recensori sostennero che l’opera, nata come un racconto breve, fosse sfuggita al controllo dell’autore. Un paio di loro scoprirono prove intrinseche di tale fatto, che sembrava divertirli. Richiamarono l’attenzione sui limiti della forma narrativa. Affermarono che non era pensabile che un uomo parlasse per tutto quel tempo e che altri lo ascoltassero così a lungo. Non era, dissero, molto attendibile.
Dopo averci riflettuto per qualcosa come sedici anni, non ne sono più tanto convinto. Si sa di uomini che, ai Tropici come nelle zone temperate, sono rimasti alzati sino a tardi per “raccontarsi storie”. Questa, comunque, è una storia unica, sia pure con interruzioni che concedono un po’ di respiro; e per quanto riguarda la capacità di resistenza degli ascoltatori, è necessario accettare il postulato che la vicenda fosse interessante. È un presupposto necessario. Se non avessi creduto che fosse interessante, non avrei neanche potuto cominciare a scriverla. Quanto alla mera possibilità fisica, sappiamo tutti che in parlamento certi discorsi hanno avuto una durata più vicina a sei ore che a tre; mentre quella parte del libro che riporta il racconto di Marlow può essere letta ad alta voce, direi, in meno di tre ore. Inoltre – benché io abbia rigorosamente escluso tutti i particolari insignificanti estranei al racconto – possiamo presumere che nel corso di quella notte siano stati distribuiti dei rinfreschi, un bicchiere d’acqua minerale o qualcosa di simile, per aiutare il narratore ad andare avanti.
Ma, per parlare seriamente, la verità è che la mia prima idea era stata in effetti quella di scrivere un racconto che riguardasse soltanto l’episodio della nave dei pellegrini; niente di più. Ed era un’idea legittima. Tuttavia, dopo aver scritto alcune pagine, mi accorsi, per qualche ragione, di non esserne soddisfatto, e per un po’ di tempo le misi da parte. Le tirai fuori dal cassetto solo quando il compianto signor William Blackwood mi propose di dargli ancora qualcosa per la sua rivista.
Fu soltanto allora che mi resi conto che l’episodio della nave dei pellegrini era un buon punto di partenza per una narrazione libera e divagante; ed era anche un evento plausibilmente atto a influire sull’intera “concezione dell’esistenza” di un personaggio semplice e sensibile. Ma questi umori e questi moti dell’animo erano allora parecchio oscuri e, benché siano trascorsi tanti anni, non mi sono chiari nemmeno oggi.
Le poche pagine che avevo accantonato ebbero il loro peso nella scelta definitiva dell’argomento. Ma furono tutte deliberatamente riscritte. Quando cominciai a lavorarci, sapevo già che sarebbe stato un libro lungo, anche se non prevedevo certo che sarebbe arrivato a occupare tredici numeri di «Maga».17
Mi hanno a volte domandato se questo era tra i miei libri quello che più mi piaceva. Io sono risolutamente ostile ai favoritismi, nella vita pubblica, in quella privata e persino nel delicato rapporto di uno scrittore con le proprie opere. Per motivi di principio, dunque, non voglio avere favoriti; ma non arrivo al punto di sentirmi afflitto e seccato per la preferenza manifestata da alcuni per il mio Lord Jim. Non dirò neppure che “non riesco a capire…” No! Una volta, però, mi è capitato di sentirmi perplesso e sorpreso.
Un mio amico, tornato dall’Italia, aveva parlato con una signora che viveva là, e a lei il libro non era piaciuto. Me ne rammaricai, naturalmente, ma quello che mi sorprese fu il motivo della sua avversione. «Sa» aveva detto «è tutto così morboso.»
Quest’affermazione mi offrì materia per un’ora di ansiose riflessioni. Arrivai infine a concludere che, pur tenendo in debito conto che l’argomento in sé era parecchio estraneo alla normale sensibilità femminile, quella signora non poteva essere italiana. Mi domando anzi se fosse almeno europea. In ogni modo, nessun temperamento latino avrebbe mai trovato qualcosa di morboso nell’acuta consapevolezza dell’onore perduto. Non so se questa consapevolezza sia sbagliata, se sia giusta, o se sia condannabile in quanto artificiosa; e forse il mio Jim non è un tipo molto comune. Posso però garantire con tranquillità ai miei lettori che non è certo un prodotto di pensieri freddamente perversi. E non è nemmeno una figura uscita dalle nebbie nordiche. In una mattina di sole, nello scialbo contesto di una rada orientale, io vidi passare la sua figura – attraente – espressiva – indefinibile – assolutamente silenziosa. Quale cioè doveva essere. Spettava a me, con tutta la comprensione di cui ero capace, trovare le parole adatte al suo significato. Era «uno di noi».
J.C.
Giugno 1917

1

Gli mancavano tre o quattro centimetri per arrivare al metro e ottanta; era di mole poderosa e procedeva deciso, con le spalle leggermente curve, la testa in avanti e uno sguardo fisso da sotto in su che faceva pensare a un toro lanciato alla carica. La voce era forte e profonda, e i modi rivelavano una caparbia volontà di farsi valere, esente però da aggressività. Sembrava ineluttabile in lui, ed era visibilmente rivolta contro se stesso più che contro gli altri. Impeccabilmente lindo, vestito di un bianco immacolato dalle scarpe al cappello, era molto conosciuto nei diversi porti dell’Oriente dove si guadagnava la vita come commerciante al dettaglio di forniture navali.
I dettaglianti di forniture navali non devono superare esami, ma devono avere Abilità in astratto e saper dimostrarla in concreto. Il loro lavoro consiste nel precipitarsi, a vela, a vapore o a remi, e in gara con altri venditori, verso ogni nave che si prepari a gettare l’ancora, nel salutarne il comandante con effusione, nel costringerlo a prendere in mano un cartoncino – il biglietto da visita del fornitore – e, la prima volta che scende a terra, nel pilotarlo, con fermezza ma senza ostentazione, in un enorme e cavernoso bottegone pieno di cose che si mangiano o si bevono a bordo; dove si può anche trovare tutto ciò che rende la nave più bella e più atta a tenere il mare, da un insieme di ganci per la catena dell’ancora a un blocchetto di lamine d’oro per gli intagli della poppa; e dove il comandante è accolto come un fratello da un fornitore navale che non ha mai visto in vista sua. C’è anche un fresco salottino con poltrone, bottiglie, sigari, il necessario per scrivere, una copia dei regolamenti portuali e un benvenuto talmente caloroso da sciogliere tutta la salsedine accumulatasi sul cuore di un marinaio in tre mesi di navigazione. Il contatto stabilito in questo modo viene poi mantenuto, finché la nave rimane in porto, attraverso le visite quotidiane del fornitore. Con il comandante è fedele come un amico, premuroso come un figlio; dimostra la pazienza di Giobbe, la devozione generosa della donna e la giovialità del compagno di bagordi. Poi, più avanti, arriva il conto. È una professione bella e umana. Per questo i bravi fornitori sono rari. E quando colui che possiede l’Abilità in astratto ha anche il vantaggio di essere stato educato in funzione del mare, al suo datore di lavoro conviene pagarlo bene e cercare di accontentarlo il più possibile. Jim aveva sempre avuto un buon salario e un trattamento talmente benevolo che sarebbe bastato a comprare la fedeltà di un demonio. Tuttavia, con nera ingratitudine, spesso lasciava all’improvviso l’impiego e se ne andava. Ai suoi datori di lavoro le ragioni che accampava sembravano ovviamente insufficienti. «Maledetto idiota!» dicevano, non appena voltava la schiena. Era questo il loro giudizio critico sulla sua squisita sensibilità.
Per i bianchi che avevano traffici nella darsena e per i comandanti delle navi, lui era Jim – e basta. Ovviamente aveva anche un cognome, ma ci teneva molto che non venisse pronunciato. Questo suo anonimato, che aveva più buchi di un setaccio, non serviva a nascondere una personalità ma un fatto. E quando tale fatto filtrava attraverso l’anonimato, egli lasciava all’improvviso il porto in cui allora si trovava e si trasferiva in un altro – di solito ancor più a oriente. Restava fedele ai porti, perché era un marinaio in esilio dal mare e perché quell’Abilità in astratto era utile soltanto per il mestiere di fornitore marittimo. Si ritirava in buon ordine verso levante, e il fatto continuava a seguirlo, casualmente ma inevitabilmente. Così, nel corso degli anni, si fece di volta in volta conoscere a Bombay, a Calcutta, a Rangoon, a Penang e a Batavia18 – e in ognuno di questi luoghi di sosta era semplicemente Jim, il fornitore navale. In seguito, quando la sua acuta percezione dell’Intollerabile lo costrinse ad abbandonare definitivamente i porti di mare e gli uomini bianchi, e a inoltrarsi addirittura nella foresta vergine, i malesi di quel villaggio della giungla in cui aveva deciso di nascondere questa sua deplorevole suscettibilità, aggiunsero una parola in più al monosillabo del suo incognito. Presero a chiamarlo Tuan Jim, come dire: Lord Jim.
Aveva le sue origini in una canonica. Molti comandanti di belle navi mercantili provengono da queste dimore della pietà e della serenità. Il padre di Jim possedeva quella conoscenza sicura dell’Inconoscibile che era necessaria per far vivere virtuosamente gli abitanti delle case più misere, senza turbare la tranquillità d’animo di coloro ai quali un’infallibile Provvidenza permette di vivere nei palazzi. La chiesetta sulla collina aveva il grigiore muschioso di una roccia vista attraverso una frastagliata cortina di foglie. Era lì da secoli, ma probabilmente gli alberi che la circondavano ricordavano ancora la posa della prima pietra. Più in basso, la facciata rossa del rettorato luccicava di una tinta calda, in mezzo a prati erbosi, aiuole e abeti, con un orto dietro, il cortile lastricato della stalla sulla sinistra e il vetro inclinato delle serre appoggiate a un muro di mattoni. Questo beneficio ecclesiastico apparteneva alla famiglia da generazioni, ma Jim era soltanto uno dei cinque figli e, quando, dopo una serie di letture amene fatte durante una vacanza, si manifestò in lui la vocazione per il mare, lo mandarono subito su una “nave scuola per ufficiali della Marina mercantile”.
Vi apprese qualche nozione di trigonometria e imparò a bracciare i pennoni dei velacci. Era simpatico quasi a tutti. Aveva il posto di terzo ufficiale in navigazione ed era il capovoga della prima lancia. Con la testa salda e il fisico eccellente, era particolarmente bravo sull’alberatura. La sua posizione era sulla coffa di trinchetto, e da lì spesso, con il disprezzo dell’uomo destinato a brillare fra i pericoli, abbassava lo sguardo sulla pacifica moltitudine dei tetti tagliata in due dallo scuro flusso della corrente, mentre, disseminate sui margini della piana circostante, le ciminiere delle fabbriche si levavano perpendicolari contro lo sfondo di un cielo sporco, sottili come matite e intente a eruttare fumo come vulcani. Vedeva le grandi navi che partivano, i grossi traghetti in movimento continuo, le barchette che galleggiavano molto al di sotto di lui, e in lontananza lo splendore velato del mare e la speranza di una vita eccitante nel mondo dell’avventura.
Sottocoperta, nella babele di duecento voci, dimenticava se stesso per vivere mentalmente in anticipo la vita di mare della letteratura amena. Si vedeva salvare gli uomini dalle navi che affondavano, recidere l’alberatura durante un uragano, nuotare tra i cavalloni con una gomena in mano, o anche, naufrago solitario, scalzo e seminudo, camminare sugli scogli in cerca di crostacei per alleviare la fame. Affrontava i selvaggi sulle spiagge tropicali, domava gli ammutinamenti in alto mare e, su una barchetta in pieno oceano, rincuorava gli uomini disperati – esempio costante di dedizione al dovere, intrepido come l’eroe di un libro.
«Sta succedendo qualcosa. Venite su.»
Balzò in piedi. I ragazzi si arrampicavano in massa sulle scalette. Udiva un gran rumore di passi frettolosi sopraccoperta, inframmezzati da urla, e quando uscì dal boccaporto si bloccò allibito.
Era il crepuscolo di una giornata invernale. La bufera di vento si era rinfrescata da mezzogiorno, fermando il traffico sul fiume, e soffiava ora con la forza di un uragano, con raffiche irregolari che rimbombavano come salve di grossi cannoni sparate sull’oceano. La pioggia cadeva a scrosci, che ora divampavano e ora si placavano, e tra uno scroscio e l’altro, Jim scorse il minaccioso dirompere della marea, le piccole imbarcazioni ammassate e sballottate lungo la riva, gli edifici immobili nella foschia, i larghi traghetti che beccheggiavano violentemente all’ancora, i grandi pontili che si sollevavano e si abbassavano soffocati dalla spuma. La raffica successiva parve soffiar via tutto quanto. L’aria era piena di spruzzi. C’era nella burrasca un intento feroce, e una volontà furiosa nello stridere del vento, nel tumulto brutale della terra e del cielo, che parevano diretti contro di lui e gli facevano trattenere il fiato per lo sgomento. Rimase immobile. Gli sembrava di piroettare su se stesso.
Qualcuno gli diede una gomitata. «Prendete posto sulla lancia!» Altri ragazzi gli passarono accanto correndo. Una nave cabotiera, nella fretta di mettersi al riparo, aveva urtato con veemenza una goletta all’ancora, e uno degli istruttori aveva assistito all’incidente. Una folla di ragazzi si arrampicò sulle battagliole, si ammassò intorno alle gru. «Collisione. Proprio davanti a noi. Il signor Symons l’ha vista.» Uno spintone lo fece vacillare sin contro l’albero di mezzana e lo costrinse ad aggrapparsi a una fune. La vecchia nave scuola incatenata agli ormeggi tremava tutta, inclinando un poco la prua al vento e canticchiando con il suo limitato sartiame, in toni di basso profondo, l’ansante canzone della propria giovinezza in mare. «Calate!» Vide la barca, con il suo equipaggio, abbassarsi rapida sotto la battagliola e corse in quella direzione. Poi udì un tonfo. «Svelti! Scocciate i tiranti.» Si sporse. Sottobordo il fiume ribolliva in strisce schiumose. Nell’oscurità incipiente, era possibile vedere la lancia ammaliata dalla marea e dal vento, che per un attimo la tennero bloccata, sbattendola contro il traverso della nave. Riuscì a sentire vagamente una voce che dalla lancia gridava: «Vogate a tempo, mocciosi, se volete salvare qualcuno. Vogate a tempo!». E all’improvviso la lancia sollevò in alto la prua e, scavalcando a remi spalati un grosso cavallone, spezzò l’incantesimo che le avevano gettato addosso la marea e il vento.
Jim si sentì afferrare con forza una spalla. «Troppo tardi, giovanotto.» Il comandante della nave si era servito della mano per trattenere quel ragazzo che sembrava sul punto di gettarsi in acqua, e Jim alzò il capo, con occhi nei quali si leggeva la sofferenza di una consapevole sconfitta. Il comandante gli sorrise con simpatia. «Sarai più fortunato la prossima volta. Questo t’insegnerà a essere più svelto.»
Uno stridulo urrà rese omaggio alla lancia. Tornò ballando, per metà piena d’acqua e con due uomini esausti che sguazzavano sul pagliolato. Ora l’agitazione e la minaccia del vento e del mare apparivano a Jim assolutamente disprezzabili, e ciò accresceva il suo rammarico per lo sgomento che aveva provato di fronte alla loro inefficiente minaccia. Ora sapeva che cosa pensarne. Gli pareva che non gli importasse nulla della tempesta. Avrebbe potuto affrontare pericoli maggiori. E lo avrebbe fatto – meglio di chiunque altro. Non rimaneva in lui neppure un’ombra di paura. Tuttavia quella sera rimase in disparte a meditare, mentre il vogatore di prua della lancia – un ragazzo con un viso da fanciulla e grandi occhi grigi – era l’eroe di sottocoperta. Tutti gli si erano accalcati attorno e lo tempestavano di domande assillanti. E lui raccontava: «Ho appena intravisto la sua testa che affiorava e ho subito gettato in acqua il mio gancio d’accosto. Lo ha preso nei pantaloni, e io ho rischiato di cadere in mare, cosa che mi sarebbe certamente successa se il vecchio Symons non avesse mollato la barra per afferrarmi le gambe – e mancò poco che la barca affondasse. Il vecchio Symons è un gran brav’uomo. E non m’importa niente se con noi fa il burbero. Ha continuato a imprecare contro di me per tutto il tempo che mi ha tenuto la gamba, ma era solo il suo modo di dirmi che dovevo tenere ben stretto il gancio d’accosto. Il vecchio Symons è uno che se la prende sempre moltissimo – non trovate? No, non parlo di quel biondino, ma dell’altro, dell’omone con la barba. Quando lo abbiamo tirato a bordo, non faceva che gemere: “Oh, la mia gamba! Oh, la mia gamba!”, e strabuzzava gli occhi. Era incredibile vedere un tipo così grande e grosso che sveniva come una ragazza. C’è qualcuno tra voi che perderebbe i sensi per la puntata di un gancio d’accosto? Io no. Gli era entrato nella gamba tanto così». Mostrò il gancio, che aveva portato sottocoperta proprio per questo scopo, e fece sensazione. «No, stupidi! Non è stata la gamba a tenerlo su – sono stati i pantaloni. Ma naturalmente ha perso un mucchio di sangue.»
Jim la considerò una miserevole esibizione di vanità. La tempesta aveva prodotto un eroismo falso quanto la sua pretesa d’incutere terrore. Si sentiva in collera con il tumulto brutale della terra e del cielo che lo aveva preso alla sprovvista e aveva proditoriamente frenato la sua generosa disponibilità a correre grossi rischi. Per il resto era abbastanza contento di non essere salito sulla lancia, non essendoci voluto molto per raggiungere lo scopo. Aveva ampliato le proprie conoscenze più di quelli che avevano compiuto il lavoro. Quando tutti gli altri si fossero tirati indietro, allora – ne era certo – lui solo avrebbe saputo affrontare la falsa minaccia del vento e dei mari. Sapeva che cosa pensarne. Vista a mente fredda, gli sembrava degna di disprezzo. In se stesso non riusciva a trovare traccia alcuna di emozione, e l’effetto finale di questo incredibile avvenimento fu che, inosservato e lontano dalla folla rumorosa dei ragazzi, egli poté esultare di una rinnovata certezza nella propria avidità d’avventure e di un senso di multiforme coraggio.

2

Dopo due anni di addestramento, s’imbarcò ed, entrando in un mondo così familiare alla sua immaginazione, lo trovò stranamente povero di avventure. Fece molti viaggi. Conobbe la magica monotonia dell’esistenza tra cielo e acqua; dovette sopportare le critiche dei compagni, le esigenze del mare e la severità prosaica dei compiti quotidiani che assicurano il pane – ma la cui unica ricompensa è nell’amore assoluto per il proprio lavoro. Questa ricompensa gli sfuggiva. Tuttavia non poteva tornare indietro, perché non esiste nulla che alletti, disincanti e renda schiavi quanto la vita di mare. Aveva inoltre buone prospettive. Era ben educato, equilibrato e trattabile, e aveva una conoscenza approfondita dei propri compiti; con il tempo, quando era ancora molto giovane, divenne comandante in seconda di una bella nave, senza essere mai stato messo alla prova da quegli eventi del mare che mostrano in piena luce il valore effettivo di un uomo, i limiti del suo temperamento e la fibra di cui è fatto; che rivelano la sua capacità di tener duro e la verità segreta di ciò che lascia trasparire, non solo agli altri ma a se stesso.
Una sola volta, in tutto questo periodo, ebbe di nuovo modo d’intravedere la gravità della furia marina. È una verità questa che risulta evidente assai meno spesso di quanto si possa credere. Ci sono molte gradazioni di pericolo nelle avventure e nelle bufere, e solo ogni tanto appare ben visibile la sinistra violenza dell’intenzione – quel qualcosa d’indefinibile che s’impone alla mente e al cuore di un uomo, portandolo a credere che questa complicazione d’incidenti, o questa furia degli elementi, lo stia assalendo con un fine malvagio, con una forza incontrollabile, con una crudeltà sfrenata che intende strappargli di dosso la speranza e la paura, la pena della stanchezza e il desiderio di riposo; che vuole fracassare, distruggere, annientare ogni cosa che lui ha visto, conosciuto, goduto, amato e odiato; ogni cosa che non ha prezzo ed è necessaria – lo splendore del sole, i ricordi, il futuro; che si propone di spazzare via completamente dalla sua vista l’intero prezioso mondo, con l’azione semplice e spaventosa di togliergli la vita.
Jim, inabilitato a causa della caduta di un pennone all’inizio di una settimana di cui il suo comandante, uno scozzese, avrebbe spesso detto in seguito: «Gente! Per conto mio è un vero miracolo come abbia fatto la nave a sopravvivere!», passò molti giorni sdraiato sulla schiena, intontito, malconcio, disperato e tormentato, come se si trovasse in fondo a un abisso d’inquietudine. Non gli importava quale sarebbe stata la sua fine, e nei momenti di lucidità sopravvalutava la propria i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Cedric Watts
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. Lord Jim
  7. Postfazione di Czeslaw Milosz
  8. Note
  9. Copyright