Storia degli ebrei italiani - volume terzo
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Storia degli ebrei italiani - volume terzo

Nel XIX e nel XX secolo

  1. 852 pagine
  2. Italian
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Storia degli ebrei italiani - volume terzo

Nel XIX e nel XX secolo

Informazioni su questo libro

Nel terzo e conclusivo volume della sua Storia degli ebrei italiani, Riccardo Calimani ripercorre due secoli, il XIX e il XX, cruciali per il destino della comunità ebraica del nostro Paese, disegnando un complesso itinerario in cui si susseguono e si intrecciano la chiusura dei ghetti, la progressiva estensione dei diritti civili, un lento ma costante processo di integrazione e, quasi in parallelo, l'insorgere di un nuovo antisemitismo di stampo razzista, che culminerà nella tragedia delle cosiddette «leggi razziali» e della Shoah. All'inizio dell'Ottocento, in un'Italia ancora in bilico tra Rivoluzione e Restaurazione e ampiamente frammentata, si manifestano i primi, timidi segnali di emancipazione delle minoranze ebraiche. Poi, dopo l'unità, il posto degli ebrei nella società muta radicalmente, perché essi iniziano a partecipare con grande passione alla costruzione di un Paese cui sentono di appartenere a pieno titolo, dopo il tributo di sangue versato sui campi di battaglia del Risorgimento e della Grande Guerra. Nel contempo la Chiesa di Pio IX, che addebita l'oltraggio di Porta Pia a un complotto di forze anticattoliche, ridà fiato alla propaganda antigiudaica e rilancia contro gli ebrei le infamanti accuse di deicidio e di omicidio rituale, fornendo nuovi alibi e argomenti all'antisemitismo moderno. Ma la pagina nera – vergognosa e incancellabile – della storia degli ebrei italiani sono le cosiddette «leggi razziali» promulgate dal regime fascista nel 1938 sulla base di risibili teorie pseudoscientifiche, che sancirono di fatto la totale esclusione degli ebrei dal corpo della società e dalla vita civile. Accolte da principio con indifferenza, e senza che il papa pronunciasse un'esplicita parola di condanna, quando dopo l'8 settembre 1943 tali leggi significarono persecuzione, deportazione e morte nei campi di sterminio, molti italiani e una parte rilevante del clero si riscattarono creando, a rischio della propria vita, una vasta rete di solidarietà che aiutò e protesse i perseguitati. Della propria complicità nella Shoah, il nostro Paese avrebbe preso coscienza con decenni di colpevole ritardo – e grazie soprattutto allo straordinario contributo dato da tanti intellettuali ebrei, a cominciare da Primo Levi, alla riflessione sul valore della memoria – confermando una volta di più che la storia degli ebrei italiani è una storia esemplare di lotta per la sopravvivenza civile e culturale e per la difesa della dignità umana.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804648024
Parte seconda

IL XX SECOLO

IX

IN PACE E IN GUERRA

Una calma apparente

«Fra tutti gli Stati di entrambi gli emisferi» scrisse Anatole Leroy-Beaulieu nel 1893 «quello dove l’assimilazione degli ebrei è più completa, è forse l’Italia, terra d’origine del ghetto.» Pochi anni dopo Max Nordau, uno dei capi del movimento sionista e collaboratore di Theodor Herzl, osservò nella Lettera agli Ebrei d’Italia che nessun altro ebreo sulla terra era capace di adattarsi profondamente quanto l’ebreo italiano: «Voi siete italiani fino in fondo all’anima».
Vittorio Emanuele III dichiarò allo stesso Herzl, ricevuto in visita ufficiale nel 1904: «Gli ebrei possono occupare qualsiasi posto, come del resto avviene. Esercito, pubblica amministrazione, corpo diplomatico, tutte le carriere sono aperte dinanzi ad essi. Gli ebrei, per noi, sono italiani, in tutto e per tutto».
Le parole del re d’Italia furono confermate da Chaim Weizmann, il primo presidente dello Stato di Israele:
La comunità era piccola, ma i suoi membri prendevano parte attiva alla vita politica, economica, artistica italiana e non si distinguevano, sotto tutti i riguardi, dagli altri cittadini, con l’unica differenza che frequentavano la sinagoga, invece di udire messa … Fu per me una grande esperienza incontrare antiche famiglie ebree con una lunga tradizione intellettuale (talvolta di derivazione spagnola), una grande cultura e una squisita ospitalità. Di tutte le sofferenze di questi ultimi anni, quella che mi ha lasciato più amarezza è stata la distruzione che ha travolto la comunità ebraica italiana … E pensare che questa ha dato tanto all’Italia e al suo popolo. Avanti la prima guerra mondiale, durante la mia prima visita in Italia, amici mi fecero rilevare con orgoglio che ben quattro membri del governo italiano erano ebrei.1
Una posizione analoga era quella di Benedetto Croce, il quale nella sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915 scrisse:
Gli israeliti che in particolare nel Veneto, dove si trovavano in maggior numero, aveva dato mano all’opera del Risorgimento, non risparmiando fatiche e sacrifici, e che Cavour aveva guardati d’assai buon occhio, prendevano parte alla vita degli affari e a quella pubblica, e altresì a quella scientifica … non c’era indizio di quella stoltezza che si chiama antisemitismo e che consiste, dopo aver con le persecuzioni rafforzato la separazione e la solidarietà degli ebrei contro le altre genti, nel pretendere di domare le conseguenze di quelle persecuzioni con la ripresa delle persecuzioni, cioè col riprodurre la causa del male, invece di fidare sulla lenta e sicura opera della intelligenza e della civiltà.2
Nel 1905 Enrico Corradini, che con Giovanni Papini, Vilfredo Pareto e Giuseppe Prezzolini aveva fondato la rivista «Il Regno», e che Mussolini definì fascista non della prima, ma della primissima ora, respinse l’idea di una sede nazionale in Palestina, sostenendo che gli ebrei d’Italia erano membri non solo riconosciuti, ma perfino preziosi della nazione e non avevano alcun bisogno di un’altra patria.
Luigi Luzzatti, presidente del Consiglio dei ministri (dal marzo 1910 al marzo 1911), Sidney Sonnino (di padre ebreo), presidente del Consiglio dei ministri (dal febbraio al maggio 1906 e dal dicembre 1909 al marzo 1910) e ministro degli Esteri (dal 1914 al 1919), Giuseppe Ottolenghi, ministro della Guerra (dal maggio 1902 al novembre 1903), Ernesto Nathan, sindaco di Roma (dal novembre 1907 al novembre 1913): il successo di queste personalità era il migliore esempio di come in Italia, superando antichi residui di antigiudaismo religioso o di nascente antisemitismo, fosse possibile per gli ebrei raggiungere qualsiasi traguardo sociale e civile.
Anche all’interno della Chiesa si intravedevano segni di cambiamento nei confronti del mondo ebraico. Il nuovo papa, Pio X, eletto nel 1903, pur convinto che extra ecclesiam nulla salus, sembrava essere molto lontano dalle correnti più retrive dell’antigiudaismo di fine secolo. Aveva mantenuto con alcuni amici ebrei relazioni cordiali, improntate a cortesia e filantropia, e in una lettera ai vescovi polacchi aveva condannato i pogrom scoppiati in Russia.3 Riferendosi alle publicae Iudeorum caedes (pogrom), Pio X ricordò che la legge evangelica detestava e condannava tali abnormi efferatezze: «Commoda plebs et obcaecata eo saepe excedit violentiae ac furoris».4
Alcuni anni dopo, nel 1914, «Il Vessillo Israelitico» avrebbe constatato che Pio X era stato l’unico capo europeo a protestare contro i pogrom russi. Anche l’«Avanti!», organo socialista, dopo il pogrom di Kišinev, aveva pubblicato molti articoli con dettagli sempre più precisi su quelle tragiche vicende e il 3 luglio 1903 diffuse una lettera inviata da un gruppo di scrittori presieduto da Lev Tolstoj che protestava «contro la belva feroce che si è assopita nell’anima della folla e contro coloro che incitano ai disordini e al massacro».
L’anno dopo l’«Avanti!» manifestò la sua indignazione contro una sentenza iniqua che aveva irrogato pene irrisorie per i colpevoli:
L’impero del Pazzo è inferocito contro questa formidabile lotta di tutte le forze nuove contro il gigante antico dell’assolutismo. Ma Israele è forte, tenace, deciso a tutto, pur di vincere e ogni più mostruosa e oscena infamia dell’impero non varrà contro l’impero radioso della rivoluzione il cui Vangelo fu scritto da colui che è gloria di Israele, da Carlo Marx.5
Nei primi anni del nuovo secolo sia i cattolici sia i socialisti mostrarono attenzione e benevolenza verso gli ebrei.

La guerra di Libia: nuove polemiche

La campagna per l’intervento in Tripolitania e in Cirenaica stimolò i sentimenti nazionalistici italiani e coinvolse in modo solo marginale gli ebrei. A un mese dall’inizio della guerra il «Corriere della Sera» pubblicò un articolo satirico in cui veniva tratteggiato il tipico oppositore dell’impresa libica: Daniele Levi, commerciante, di idee democratico-socialiste, di sentimenti anti-italiani, arricchitosi grazie ai suoi pochi scrupoli. Il giornale si faceva in questo modo interprete dei sentimenti europei, contrari all’impresa coloniale, e mostrava di condividere il pregiudizio, non troppo nascosto, che la stampa europea fosse nelle mani di ebrei, tedeschi e inglesi, i quali, per favorire gli interessi delle loro nazioni, attaccavano l’Italia a causa della sua politica estera.
Non si trattò di un caso isolato. «La Nazione» di Firenze, «Il Mattino» di Napoli, «Il Popolo di Roma» e «Il Giornale d’Italia» a Roma pubblicarono, in quei mesi a cavallo tra il 1911 e il 1912, articoli polemici contro la finanza internazionale.
«L’Idea Nazionale», organo del movimento nazionalista, pubblicò un pezzo dal titolo Israele contro l’Italia, in cui alimentava con toni duri la polemica montante contro la finanza ebraica. Molti militanti ebrei del movimento nazionalista protestarono contro queste posizioni e Scipio Sighele, personalità di spicco ed esperto di psicologia collettiva, accusò gli esponenti nazionalisti di scimmiottare i colleghi francesi che manifestavano opinioni antisemite.
Nel 1911 Francesco Coppola, direttore dell’«Idea Nazionale», parlò di «semiteria finanziaria», suscitando così l’indignazione di alcuni ebrei italiani:
Israele per noi significa né più né meno che l’organizzazione cosciente o incosciente, la potenza e la solidarietà finanziaria cosmopolita ebraica, significa una specie di nazionalismo etnico prevalentemente finanziario internazionale. Ora gli ebrei italiani danno prova di una incredibile ingenuità quando credono di doversi identificare con codesto Israele e cioè con la burocrazia internazionale ebraica. Perché, per fortuna loro e per fortuna dell’Italia, essi, almeno per la più parte, restano ancora, e speriamo che restino sempre, individui isolati, italiani tra gli italiani. Se tale è la loro condizione, e specialmente il loro animo, che dovere, che ragione, che interesse hanno dunque costoro di identificarsi con Israele?6
Tali prese di posizione s’inserivano all’interno di una battaglia politica coloniale più ampia: il blocco conservatore nazionalista voleva opporsi a quello democratico socialista massonico, di cui l’ebreo Ernesto Nathan, sindaco di Roma, era considerato espressione e simbolo.7
Che gli ebrei fossero ritenuti ostili alla guerra libica, lo si evince dalla risposta che in quei giorni aveva dato Luigi Luzzatti, dimissionario da pochi mesi, in un’intervista al «Giornale d’Italia»:
Aggiungo gli scrittori, se così vogliamo chiamarli, che rappresentano gli interessi commerciali, bancari, ferroviari, i quali si riassumono in grossi impegni e responsabilità di denaro in Turchia, nell’Europea, come nell’Asiatica, e che forse vedono sfuggire degli affari sperati in Tripolitania. Costoro non sono soltanto ebrei; ma ebrei, protestanti, liberi pensatori, tutti uniti nella comune religione del tornaconto.
Si può cogliere in queste parole quasi una difesa a un’accusa non formulata, implicita.
«Il Giornale d’Italia» aveva un inviato speciale, Giulio De Frenzi, pseudonimo di Luigi Federzoni, che nell’autunno 1911 aveva polemizzato con un collega della «Frankfurter Zeitung» dicendogli: «Vai altrove a tessere le ignominiose calunnie con le quali servi i ladri, e usurai ebrei che ti pagano». Lo stesso quotidiano, senza ottenere risposta, nel novembre 1912 aveva affermato che durante il Risorgimento gli ebrei si erano impegnati con scarso coraggio e, appena poteva, spargeva maldicenze sugli ebrei, soprattutto su quelli tripolini.8
Gli ebrei italiani e tripolini, dal canto loro, facevano a gara per smentire con zelo qualsiasi insinuazione nei loro confronti, manifestando allo Stato italiano e all’occupazione italiana in Libia tutto il sostegno necessario.
Che la situazione fosse delicata e che fossero possibili strumentalizzazioni lo temevano un poco tutti gli ebrei, sia quelli italiani che quelli libici.
Egregio signor direttore,
il vostro De Frenzi, nella sua lucida relazione sulla battaglia del 26, scrive tra l’altro: «Il caporal maggiore Di Castro che precede come esploratore si volge trasfigurato gridando: “Henni, Henni! ecc.”».
È bene che si sappia che questo soldato, che appartiene al glorioso 11° reggimento bersaglieri, è romano ed ebreo. Non avremmo fatto rilevare questa ultima qualità, se con dolore non si leggessero continuamente in tutti i giornali le solite frasi nelle quali si accenna agli «ebrei tedeschi», «usurai ebrei», «alta banca ebrea», ecc. Sarebbe per noi di compiacimento se per una volta tanto fosse da qualcuno rilevato che vi sono anche numerosi ebrei tra i prodi difensori del nome della nostra cara Italia. E che essi, come gli altri, combattono da valorosi lo attestano i nomi di Perugia, Volterra, di Roma, Medina, di Livorno, Fornari ed altri caduti sul campo, tutti ebrei al pari del Di Castro …
Molti ebrei romani, ma, anzitutto, italiani.9
Proprio per ridurre le occasioni di polemica, la Federazione sionistica italiana si era autosciolta, in modo da non prestare il fianco ad accuse pretestuose e ingiustificate, e «L’Idea Sionnista» aveva sospeso momentaneamente le pubblicazioni. Si può intuire, quindi, che tra gli ebrei italiani prevalesse una preoccupata cautela.
L’incontro con gli ebrei libici creò contraccolpi anche sugli ebrei italiani, sul Consorzio delle comunità e sulla Federazione giovanile ebraica, che scoprirono una realtà più vissuta, più genuina, meno assimilata. In Libia vi erano interi quartieri ebraici dove si mangiava casher, dove di sabato i negozi erano chiusi, dove esistevano scuole e strutture autenticamente ebraiche, dove la comunità, pur numerosa e distinta, aveva un ruolo importante.
«Il Corriere Israelitico», dopo qualche mese di prudenza, verso la fine del 1911 cominciò a rispondere, colpo su colpo, alle accuse crescenti e non troppo velate. Il 15 dicembre 1911 stampò addirittura un articolo dal titolo più aggressivo che in passato: Insomma da che parte stanno gli ebrei?
Ha ragione questa specie di antisemitismo turco o quell’altra specie di antisemitismo italiano? È un enigma veramente difficile! Una sola cosa è chiara: che l’ebreo è l’eterno, l’universale capro espiatorio ed il bersaglio di tutte le irrequietudini e le rappresaglie del mondo europeo ed asiatico.
Simili parole rivelano una certa insoffe...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. STORIA DEGLI EBREI ITALIANI
  4. Introduzione - Venti secoli di storia: dal II secolo a.e.v. al XVIII e.v.
  5. Parte prima - IL XIX SECOLO
  6. Parte seconda - IL XX SECOLO
  7. Infine…
  8. Note
  9. Bibliografia
  10. Gratulatoria
  11. Copyright