1. Risveglio
Bastare a se stessi, come i gatti. Sforbiciare, sfrondare, sfoltire.
Ancora in pigiama, Marta cerca mentalmente sinonimi adatti con l’esse impura e intanto prepara la tavola per la colazione del mattino. Tovaglietta tazzone lattiera cucchiaini, fette biscottate e marmellata di fragole.
A eccezione degli alimenti, ogni oggetto ha la sua storia e rappresenta un impegno: tenere a freno la casualità e imporre ordine e orario ai ricordi. L’intervento del caso – l’ha imparato a sue spese – non si può bandire del tutto, ma stando all’erta si riesce a evitarne gli assalti più plateali. E ricordare punge graffia e incide le carni come un cilicio, perciò non bisogna permettere alla memoria di sbizzarrirsi in qualsiasi momento. Disciplina, ci vuole. Ma chissà come è fatto un cilicio, pensa svagatamente, e si ripromette di cercare su Google.
I due cucchiaini testimoniano un frammento di vita ambiguo, riportano a speranze e desideri non pienamente appagati, hanno in sé un sentore dolce con un retrogusto leggermente aspro, ma impediscono alla bilancia dei ricordi di pendere troppo da una parte.
Aprile, 13 anni prima
«Tutto bene a scuola?» chiede suo padre una sera prima di cena.
Sono soli, Emiliana se n’è andata alle sette e mezzo, la tavola è apparecchiata, in frigo c’è un roastbeef già in parte affettato, rosa-rosso al centro e nocciola ai bordi, c’è un’insalata mista solo da condire. Davanti alla porta del microonde una zuppierina di crema di asparagi.
«Sì, bene. Tutti sette e otto, meno che in chimica.»
«Quanto in chimica?»
«Sei. Stiracchiato, per via di un’interrogazione infame.»
«Ce la faresti a prenderti una vacanza di quattro giorni?»
«Vacanza? Con chi?»
«Con me, in Portogallo.»
«Da soli?»
«Soli. Per me non è proprio una vacanza, c’è un convegno.»
Lo stupore la blocca, la porta del microonde in cui stava per infilare la zuppierina resta aperta. Stupore e una piccola onda di felicità, un’onda da lago chiuso, che risale lentamente dal petto alla gola.
«Allora, sì o no?» incalza lui.
«Sì sì, certo che sì. Quando partiamo?»
«Tra una settimana.»
«E i fratelli?»
«Sono sotto esami, credo.»
Crede: allora ha proprio scelto me. L’onda acquista impeto, è di mare.
«E poi ho voglia di stare un po’ con la mia ragazza, prima che rabbrividisca alla sola idea di un viaggetto col padre.»
Marta rabbrividisce, ma di felicità piena e inaspettata. Un’onda da oceano Atlantico.
Dà un’occhiata fuori dalla finestra: è buio, per strada le auto sono ancora rare, un camion non troppo rumoroso della raccolta rifiuti arranca lungo la via, un clacson impaziente lacera da lontano il ronzio di sottofondo. È un’ora bella, pensa lei, con la maggior parte della gente ancora in casa, un po’ intorpidita dal sonno, senza i riflessi già all’erta per aggredire e azzannare, senza la smania della fretta furiosa. Un’ora bella di una bella stagione, l’autunno che avanza, con la foschia notturna, la pioggia leggera e prolungata, i primi freddi che colgono impreparati e quasi increduli. Quando dico che amo l’autunno e l’inverno perché sono stagioni raccolte – il piacere dell’intimità, i corpi non impietosamente esposti – ricevo occhiate incredule o proteste seccate (ma vuoi mettere l’allegria dell’estate? il sole, i vestiti leggeri, le vacanze, il mare!) e non sto più lì a ribattere, anzi da un po’ di tempo mi astengo dall’intervenire sulle preferenze stagionali. Del resto, non è che siano conversazioni di entusiasmante interesse.
Svuota nel tazzone l’intero contenuto della moka da tre, aggiunge qualche goccia di latte, niente zucchero perché non le piace, rimescola con un cucchiaino. Di acciaio inossidabile, sul manico ha incisa la sigla TAP.
2. Fratelli
Gemelli, ma talmente diversi che non si sentono né si dichiarano tali. Eterozigoti, Daniele e Davide. Nomi da Antico Testamento, scelti dalla madre ebrea. Che al termine della gravidanza aveva avuto un sussulto di ebraicità, sebbene non osservasse lo Shabbat, ignorasse tranquillamente tutte le prescrizioni alimentari e avesse idee alquanto vaghe su Pesach Kippur Sukkot Channukkà eccetera.
Daniele è estroverso, pronto alla battuta, piuttosto sregolato nello stile di vita (alcol donne auto poker): forse per questo ha tanto successo nella sua professione. Psichiatra in una clinica svizzera di lusso, trattamento da hotel a quattro o cinque stelle per pazienti che non hanno problemi di soldi. Del resto i soldi – si dice – non garantiscono la felicità.
Davide, al contrario, è di poche parole, la compagnia umana la gradisce solo a piccole dosi, sebbene l’autoironia lo salvi dalla selvatichezza. Dopo la laurea alla London School of Economics e il lavoro per un paio d’anni in una multinazionale, fa il guardiano di una diga (uno degli ultimi in Europa), impiego che ha ottenuto del tutto casualmente e che sembra appagarlo. In comune col fratello ha soltanto la passione per lo sport, sci e alpinismo nel suo caso, tennis per Daniele.
3. Mattino
Sparecchiare e sciacquare le stoviglie, arieggiare le stanze, rifare il letto. Doccia, per neutralizzare l’odore di sé e di cuccia, odore che le tiene compagnia durante la notte e di cui è gelosa, perché convinta che in qualche modo la sveli agli altri contro la sua volontà. Quante prese in giro da parte di Daniele, nel corso degli anni!
«Secondo me, la fai a quest’ora perché i piedi ti puzzano anche al mattino.»
«Pensa ai tuoi, di piedi. E lascia le tue sneakers sul balcone, che stordirebbero un toro.»
«Il mio è un odore virile. Alle ragazze piace, le illanguidisce.»
«Come no, funziona da cloroformio. Così le puoi stuprare a loro insaputa.»
«Uno stupratore, io?»
«Sì, ne hai le stimmate.»
«Credevo che ce le avessero solo i santi. Dove le avrei secondo te?»
«Nascoste. Sotto i boxer.»
«Ahhh, sentila la sorellina incestuosa che mi spoglia a mia insaputa!»
Finiva quasi sempre a botte – botte finte –, sotto lo sguardo neutrale e divertito di Davide.
Jeans, canotta a mezze maniche, maglione leggero, scarponcini e felpa impermeabile con cappuccio, perché potrebbe continuare a piovere. Un abbigliamento comodo, da lavoro. Inutile essere ammiccanti e seduttive dove non ce n’è alcun bisogno. Del resto, rimugina tra sé, è da un bel po’ che non mi interessa sedurre e ancor meno essere sedotta. Un ultimo sguardo allo specchio, una passata veloce di cipria compatta, due dita a sistemare una ciocca di capelli che si è ribellata durante la notte. Non rinuncia però al suo rito, alla sua ossessione: uno sguardo, scostata poco poco la tendina, dalla portafinestra dello studio che dà sul cortile. L’appartamento dirimpetto è al buio, lui dorme ancora, o è uscito prima del solito. Oppure non è rientrato per la notte.
In strada l’aria sa di usato, già respirata da migliaia e migliaia di bocche e nasi, e il traffico si è fatto intenso. Marta cammina di buon passo, in poco più di un quarto d’ora è davanti al palazzo in cui lavora, in anticipo di qualche minuto sull’orario, come sempre.
4. Lavoro
La vedovanza in età avanzata è condizione prevalentemente femminile. Superato il primo sgomento e sconforto (o sollievo), le vedove comuni danno quasi sempre una sterzata alla propria vita e affrontano con implacabile decisionismo attività mai esperite prima: corsi di ballo latino-americano, variegati impegni di volontariato, tornei di burraco, bridge o pinnacolo, cori parrocchiali, frequentazione intensiva di circoli culturali, viaggi verso mete pericolosamente remote o, nel caso di scarsa disponibilità economica, soggiorni fuori stagione organizzati da oratori o circoscrizioni in desolate lande balneari. Invece le vedove degli intellettuali hanno altri obiettivi: autonominandosi vestali della memoria dei defunti coniugi, si dedicano a diffondere e a tener viva la fiamma delle loro opere e, se fornite di adeguato patrimonio, creano una fondazione.
Cosa che aveva fatto Irma Garbero, il cui marito Gabriele, oltre a essere stato proprietario di una grossa industria e azionista di maggioranza di altre quattro, aveva animato la vita culturale torinese fondando riviste, finanziando mostre convegni e rassegne, ospitando artisti eccentrici e randagi.
Lo statuto recita:
“La fondazione Garbero-Bessone, operante nell’ambito territoriale del Piemonte, ha lo scopo di gestire, riordinare e conservare la memoria della vita culturale e industriale della Regione nella seconda metà del ’900, valorizzando il patrimonio documentale con ricerche su fonti e dati che contribuiscano alla costruzione dell’identità dell’azienda GABE e ne raccontino la storia in relazione al contesto sociale storico e culturale dell’epoca, attraverso le persone, i luoghi e i dati economici.”
Marta ci lavora come archivista, Viviana come addetta stampa e factotum, Maria Stella come organizzatrice di eventi: lo stipendio è buono perché la vedova è ricchissima e non taccagna (la fondazione è il suo toy boy senile) e, tranne quando le gira storto (più o meno una volta al mese), non irrompe come un ciclone nel quieto operare delle sue dipendenti.
Viviana arriva con mezz’ora di ritardo e l’aria disastrata: colorito tendente alla marcescenza, sotto gli occhi due cucchiai, capigliatura da profuga. Marta e Maria Stella la interrogano con gli occhi: «Un sms» dice lei, «mi ha mandato un sms».