Il banchiere assassinato
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Il banchiere assassinato

  1. 196 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il banchiere assassinato

Informazioni su questo libro

In una fredda e nebbiosa notte milanese il commissario Carlo De Vincenzi riceve in Questura la visita del suo antico compagno di collegio Giannetto Aurigi, appena uscito dalla Scala, stranamente inquieto. È il freddo ad agitarlo? O le emozioni suscitate dalla musica dell'Aida? De Vincenzi ha poco tempo per chiederselo perché viene chiamato sulla scena di un omicidio. Il banchiere Mario Garlini è stato trovato assassinato con un colpo di pistola proprio nell'appartamento dell'Aurigi. Il quale, guarda caso, doveva al finanziere una grossa somma di denaro che aveva perso giocando in borsa. Insomma, tutto fa pensare che sia lui l'assassino. Ma sarebbe troppo facile. Pubblicato nel 1935, Il banchiere assassinato segna l'esordio del personaggio del commissario De Vincenzi: intelligente, sensibile, pensoso, dotato di una cultura raffinata, scettico soprattutto con se stesso, è appassionato di poesia e di psicoanalisi (letture insolite nell'Italia del Ventennio). Un "Maigret italiano", è stato detto; certo, uno dei grandi investigatori del nostro miglior romanzo poliziesco.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804651864
eBook ISBN
9788852063817
1

Nebbia

Piazza San Fedele era un lago bituminoso di nebbia, dentro cui le lampade ad arco aprivano aloni rossastri.
L’ultima auto s’allontanava lentissimamente dal marciapiede del Teatro Manzoni, facendo risuonare sordamente il claxon. Il teatro chiudeva le sue grandi porte nere.
Qualche ombra fantomatica traversava la piazza. Due ombre si scontrarono allo sbocco di via Agnello e una di esse notò che l’altra era quella di un signore in abito da sera, pelliccia e tuba. Il signore, per suo conto, non vide che un’ombra nera. Non guardava neppure, del resto. Camminava. Procedette dalla piazza per via Agnello, nella nebbia, lentamente. Andava.
L’uomo, come se avesse riconosciuto colui col quale s’era urtato, si voltò per seguirlo. Ma subito si fermò, indeciso, trasse l’orologio e, accostatoselo agli occhi, vide che era la mezzanotte passata da qualche minuto. Alzò le spalle e tornò sui suoi passi, dirigendosi in fretta verso il grande portone della Questura, dentro cui entrò.
«E allora, cavaliere?»
«Ah!… Che vuoi?»
«C’è niente?»
«Hai domandato a Masetti?»
«Perché?… A quest’ora la Squadra è ancora aperta?»
«Dev’essere tornato Masetti… L’ho mandato a Porta Ticinese. Senti un po’ quel che ha fatto.»
«Furtarelli, De Vincenzi… E avrà trovato i tre braccialetti dal ricettatore.»
La rotonda faccia di De Blasi, apoplettica, sogghignava.
«È la sua specialità… trovare i braccialetti dai ricettatori…»
«E la tua qual è, De Blasi? L’astinenza?…»
«Non mi vanterei, certo, d’essere un bevitore d’acqua e limone, come te…»
De Vincenzi alzò le spalle, sorridendo. Quel giornalista, tondo e rosso come un segnale di via ingombra, gli piaceva. Con quella rotonda faccia da avvinazzato, era sveglio e pronto. Il migliore senza dubbio del sindacato dei reporters e fargliela non era facile.
«Ognuno ha le sue debolezze, De Blasi…»
«La mia non è una debolezza; è una forza. Senti un po’…»
Entrò nella stanza e chiuse la porta dietro di sé. De Vincenzi si alzò di scatto, nascondendo sotto un pacco di pratiche il libro che stava leggendo.
«Ho sentito! Se tu ti metti a sedere, te ne vai domattina e io la tua teoria sulle virtù molecolari del vino la conosco…»
De Blasi non si scompose, guardò la stufa e fece una smorfia.
«Quando vi cambieranno le stufe, qua dentro? Quella lì appesta. Se tu credi che io potrei resisterci… Hanno imbiancato il cortile, hanno cambiato i mobili su dal questore… Hai veduto i divani rossi?… Un po’ duretti; ma per adesso senza macchie d’unto. Però, a voialtri le stufe vecchie e la carta sbiadita alle pareti non le cambiano, eh?… Sei di “notturna” stanotte?»
«Senti, De Blasi…» e il commissario, girando attorno al tavolo, si avvicinò al giornalista. «Tu sei simpaticissimo; ma io per un’ora o due desidero rimaner solo… Vattene a trovar Masetti, vattene al Pilsen, vattene in Galleria…»
«Con la nebbia e tre gradi sotto zero!… Sarai matto!…»
«No, al Pilsen c’è caldo… E poi tu fai presto a riscaldarti…»
«Leggevi?»
De Vincenzi lo spingeva verso l’uscio e De Blasi, pur lasciandolo fare, gli indicava il mucchio delle pratiche sul tavolo…
«Hai sepolto il tuo vizio sotto i reati e i delitti! Quanti ladri e quanti ricettatori pesano adesso sopra Pirandello?»
«Vattene! Non è Pirandello.»
«Sì, me ne vado. Ma è vero che studi la psicoanalisi? Me lo ha detto Ramperti… Un giorno di questi mi devi prestare Froind… si dice così?… Chi è Froind?…»
«Un signore che giustificherebbe tutti i tuoi peccati dicendo che è di notte che te li sogni…»
«Curioso!… Ma perché hai fatto il poliziotto, tu, De Vincenzi?»
«Per avere il piacere di arrestarti, un giorno di questi. L’ubriachezza molesta è contemplata dal codice…»
«Uhm!… Quando mai mi hai veduto ubriaco, tu?… Vieni al Pilsen più tardi?… Oppure da Cassé alle quattro?»
«Sì, da Cassé… Arrivederci.»
Chiuse la porta, mise un legno nella stufa e aprì il tiraggio. Per fumare, fumava, quella stufa. Si guardò attorno. La stanza dell’ufficio di notturna era squallida. Sul tavolo bruciacchiato dalle sigarette e che perdeva qua e là l’impellicciatura, coperto quasi dagli stampati, dai moduli, dalle cartelle, il telefono tutto nuovo e lucente sembrava un oggetto di lusso messo lì per sbaglio. O anche una macchinetta chirurgica.
Tornò a sedere, prese il libro, sotto il pacco delle carte.
Non era Freud. Era Lawrence. Le serpent à plumes. I sensi…
Aprì il cassetto e toccò altri due libri: l’Eros di Platone e Le epistole di san Paolo.
Si rovesciò sulla sedia e guardò il soffitto: perché mai aveva fatto il commissario di Pubblica Sicurezza, lui?…
Ebbe un sussulto e gridò nervosamente: «Avanti!», richiudendo in fretta il cassetto.
«Tu!… E che vieni a fare a quest’ora?…»
Alto, magro, elegantissimo, col frac sotto la pelliccia e la tuba in testa, Giannetto Aurigi entrò in fretta, si tolse la tuba e rimase in piedi davanti al tavolo, fissando De Vincenzi.
Aveva gli occhi brillanti, stranamente lucidi, il volto esangue, contratto, scarno.
Sorrideva e, nel sorriso, le labbra sottili sparivano, sicché la bocca sembrava un taglio.
Quel pallore e i pomelli rossi colpirono De Vincenzi.
«Freddo?»
«Nebbia! Da piazza della Scala non si vedono le lampade ad arco della Galleria. Aghi sulla faccia e le dita intirizzite…»
De Vincenzi lo fissava curiosamente, interessato.
«Dentro la Scala il sole d’Egitto sui flabelli e sulla gloria dei faraoni… Subito fuori, il vigile che batte i piedi…»
Schiacciò il gibus, che aveva tra le mani. Si guardò attorno e lo andò a posare sul piano di una specie di scaffale, pieno di cartelle legate.
Si tolse la pelliccia e l’attaccò a un chiodo. Poi, lentamente, fregandosi le mani bianche lunghe affusolate, andò a sedersi.
«E tu sei venuto a San Fedele?!»
«Eh?…»
Si era astratto e la domanda lo aveva fatto sobbalzare.
«Ma sì, non è la prima volta… Sapevo che eri tu di servizio…»
«Tutte le sere sono di servizio qui o di là e tu da molto tempo non venivi…»
«Già… Ma non perché non pensi a te. Mi sei caro, tu! Di tutti i compagni di collegio il più caro, anche se…»
Si fermò, preso come da un leggero impaccio o perché il suo pensiero aveva cambiato corso. Rise. Si guardò attorno.
«È triste, qui…»
«Un ufficio di Questura come un altro. Ma tu dicevi: anche se… Anche se sono diventato funzionario di Polizia, vero?»
«Dev’essere una vita da cani!… Mah! L’inclinazione naturale! Ci sono i ladri. Natura anche quella!»
«Già…»
De Vincenzi toccò meccanicamente il libro che aveva dinanzi. Per una inconscia reazione, di cui non si rese conto, aggiunse:
«I ladri e gli assassini…»
«Che c’entra?»
E la voce di Aurigi suonò stridula, quasi falsa.
«Faccio per dire. Sei impressionabile, stanotte! L’Aida?…»
L’altro rise:
«Credi che influisca sui nervi?… Può darsi.»
Distese le lunghe gambe e appoggiò la nuca alla spalliera della seggiola. Socchiuse gli occhi.
De Vincenzi lo guardava. Perché mai era venuto a quell’ora? E perché era venuto?
Compagni di collegio erano stati e amici. C’era molta cordialità tra loro: ma forse non la confidenza. Dove trovarla la confidenza, del resto, in questi tempi, tra uomini lanciati ognuno verso il proprio destino, con le proprie passioni, i propri bisogni, i molti vizi del corpo umano?
Ognuno di noi ha un segreto e beato colui che n...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1. Nebbia
  4. 2. Monforte… quaran…
  5. 3. Le prime indagini
  6. 4. La prova terribile
  7. 5. Un giovane biondo, in una soffitta
  8. 6. «Non so!… Non so nulla!»
  9. 7. Il conte Marchionni
  10. 8. Le due rivoltelle
  11. 9. «Sono stata io a ucciderlo!»
  12. 10. Un grande amore
  13. 11. Un dolore più forte del dolore
  14. 12. Tenebre
  15. 13. Tentativi
  16. 14. La conferenza di De Vincenzi
  17. Epilogo
  18. Copyright