Andrea aveva scritto che sarebbe venuto in licenza per una settimana. Il capoccia si affrettò a dare la notizia a Nelly: che non disse nulla. La madre si mostrò addirittura scontenta:
«La licenza sarebbe più giusto che la dessero a quelli che sono al fronte.»
Il capoccia si grattò il mento:
«Sì, ma cosa crede? Vengono in licenza perché dopo li mandano in guerra.»
La madre rientrò in casa. Secondo il solito, se la rifece con Nelly: brontolandola per tutte le cose.
Dopo mangiato, riprese a lavorare al suo ricamo. Nelly stava seduta sullo scalino, col gatto in grembo. E anche questo, di vederla inoperosa, irritava la madre.
Ma Nelly non se ne accorgeva: era troppo presa dai suoi pensieri. Non vedeva Alfredo da quattro giorni. “Ma stasera viene; mi sento che viene” e si rianimò.
Le lamentele della madre erano ricominciate. Ce l’aveva con quelli che comandavano: «Michele tra poco è un anno che è in guerra... Quante ne deve aver passate, poverino. Mentre Andrea è sempre stato al sicuro. E c’è chi è rimasto a casa...».
Il gatto ronfava beato, tenendo gli occhi chiusi. Nelly gli accarezzava la schiena. In un impeto di tenerezza, gli prese le zampine e gliele strinse: ma si buscò un’unghiata.
«Nelly, sto dicendo a te: Dio mio, questa figliola mi diventa sempre più stupida.»
«Scusa, mamma, ero distratta... che cosa mi avevi domandato?»
«Ma sì: c’è più gusto a parlare col muro. Anche questa croce mi doveva capitare, di avere una figliola così.» Tuttavia rifece la domanda: «Quell’Alfredo... l’hai più visto?».
Nelly sentì il sangue affluire al viso: «No no» si affrettò a rispondere. S’era resa conto subito che la domanda era stata fatta senza intenzione; ma continuava a sentirsi le tempie calde.
«Anch’io, è tanto che non lo vedo. Ma scommetto che è sempre a casa. Mi domando com’è riuscito ad avere l’esonero... quando nemmeno la contessa è riuscita a far nulla per Michele. Dice che ha un vizio al cuore...» Era arrivata a un punto impegnativo del ricamo: dovette concentrarsi nel lavoro. Alla fine infilzò l’ago nella tela e si concesse un po’ di riposo: «Un vizio al cuore: questa sì che è bella. Ne inventano di tutte, pur di fare le ingiustizie. I poveri diavoli devono morire, e le canaglie, guardale: sono tutte a casa. Anche quel Remo, mi domando che aspettano a chiamarlo. Razza di vagabondo: sempre a cavallo...». Scrutava la figliola; e vedendo che teneva la faccia china credette di trovar conferma ai suoi sospetti: «Nelly, non mi piace che tu vada tutti i momenti alla bottega. La gente potrebbe pensare che ci vai per quel tipo».
Nelly aveva smesso di ascoltarla. Via via che si avvicinava l’ora di uscire, diventava sempre più inquieta. Le dava noia anche il gatto: lo buttò giù.
Nella stanza ci si vedeva sempre meno: finché la mamma le disse di accendere.
Nelly non si rimise seduta. Aspettò qualche altro minuto, e disse:
«Io esco un po’, mamma.»
Andò ad aspettarlo al cancello, come le altre sere. Imbruniva: ma dalla parte del mare il cielo era ancora caldo di luce. “Stasera viene, me lo sento” si ripeteva Nelly. Alfredo non le diceva mai quando sarebbe tornato: cosicché per lei si ripeteva ogni sera l’ansia dell’attesa.
Ma era meglio in questo modo: perché se fosse stata certa che Alfredo non veniva, la giornata non avrebbe avuto scopo. E lei si sarebbe sentita triste fin dalla mattina. Mentre la speranza di vederlo la sosteneva. La mattina aveva da fare in casa; ma nel pomeriggio non c’era più niente che l’aiutasse a passare il tempo. Saliva un po’ in camera; o restava in cucina a guardare la mamma che lavorava. L’eccitazione cresceva di minuto in minuto. Non potendone più, raggiungeva di corsa il cancello: e qui l’attesa diventava tormentosa.
Quella sera Nelly non fu capace di aspettare al cancello: gli andò incontro per la strada.
Dopo una cinquantina di metri c’era la curva: la strada si raddrizzava però subito in un nuovo rettilineo, che arrivava al Braccio. Nelly si fermò: faceva ancora abbastanza chiaro per distinguere fino in fondo la fettuccia bianca della strada. Non c’era nessuno.
Le mancarono le forze: era talmente sicura che sarebbe venuto... Un attimo dopo, si sentì chiamare: Alfredo era a pochi passi da lei, appoggiato a un albero.
Abbracciandolo, Nelly risentì l’odore di selvatico che emanava dai suoi panni. «Avevo paura che non venissi nemmeno stasera» gli disse.
Si scostò per guardarlo: anche con quella poca luce, distingueva sul viso i segni della fatica. Toccandogli i capelli, sentì che erano bagnati:
«Sei sudato, ti fa male stare fermo... Vuoi che ci muoviamo?»
«E dove vorresti andare?»
«Hai ragione» rispose lei, e cominciava già a essere avvilita. «Ras non c’è?» fece tanto per parlare.
«L’ho lasciato in una casa.»
«Perché?»
«Perché mi combinava un sacco di guai. Invece di pensare alla caccia, andava dietro a una cagna... Ne ha anche buscate.»
«Povero Ras... perché lo picchi?»
«È il solo modo perché impari. Non mi stare addosso... non posso nemmeno fumare.»
«Scusami» disse lei, e si affrettò a scostarsi.
Per un po’ lui fumò in silenzio. Finalmente buttò il mozzicone, lo schiacciò sotto il piede: doveva esserci qualche sassolino, perché i chiodi scricchiolarono.
Si passò una mano sui capelli:
«Stasera non volevo venire... anzi non volevo venire più.» Aspettò che dicesse qualcosa; ma lei taceva. «Io non posso fare sul serio, lo sai: te lo dissi subito che ho un vizio al cuore.»
«E io ti dissi che non me ne importava. Mi basta vederti una volta ogni tanto. Mi rendo conto che per te è scomodo, abiti così lontano... Ma quando capiti da queste parti, mi puoi venire a trovare. Anche se vieni di rado, non m’importa...»
«Ma non si può continuare in questo modo! Nelly, cerca di capire: lo dico per il tuo bene...» Sentì dei passi: e distinse la brace infuocata d’un sigaro. «C’è qualcuno»; e per nasconderla alla vista del passante, la abbracciò.
Un’ombra si precisò nel buio e una voce augurò la buonasera.
«Buonasera» rispose Alfredo, continuando a tenere stretta Nelly. Lei alzò il viso:
«Sento il cuore che ti batte» gli disse sorridendo.
La madre s’era già messa a preparare cena. Le diede un’occhiata sospettosa:
«Dove sei stata che non venivi più?»
«Qui fuori.»
«No, tu sei stata alla bottega.»
«Ma no, mamma, te lo giuro.»
«Be’? e ora dove vai?»
«In camera» rispose Nelly.
Perché fosse salita in camera, non lo sapeva nemmeno lei. Si guardò nello specchio: la sua faccia le fece rabbia. “Sono stupida, è proprio vero, me lo ha detto anche lui che sono stupida. Ed è per questo che mi vuole lasciare.”
Le venne da piangere: si sdraiò sul letto. Ma non pianse. Soffriva però, le pareva anche di aver male: si compresse la parte con la mano, e sentì i battiti del cuore. “Dianzi ho sentito battere il suo.” Ripensò alle sue parole: «Non posso fare sul serio perché ho un vizio al cuore». “Un vizio al cuore: bella scusa” pensò Nelly. “È che lui non vuole avere intorno una donna. Perché anche a stare con me gli viene subito a noia. Non vede l’ora di andarsene. È così, noi donne siamo stupide (non sono soltanto io a essere stupida). Lui non ha bisogno di me: che se ne farebbe? A lui, fa più comodo il cane: che almeno lo aiuta quando va a caccia.”
Le prudeva il naso e si strusciò contro la manica. Si fermò colpita dall’odore di selvatico... E sentì più che mai la distanza che la separava da Alfredo. Alfredo era un cacciatore, per quale motivo si sarebbe dovuto mettere intorno una donnicciola come lei?
Ma lei lo amava... E affondò il viso nel pelo del golf, per stordirsi con quell’odore: finché non fu più in grado di percepirlo. Si sentì sola: sola e abbandonata. E cominciò davvero a piangere.
Intese la voce della madre: «Si può sapere che fai? Vieni a cena». Allora si tirò su; si ricompose; si asciugò gli occhi con la manica: percepì di nuovo l’odore di Alfredo e rimase immobile. «Vengo» gridò alla madre che la chiamava; ma non si mosse. Inseguiva un pensiero che le era balenato ma che non riusciva ad afferrare. Ah, sì, erano le sue parole: «Lo dico per il tuo bene». “Un po’ di bene me lo vuole, allora.”
A tavola la madre ricominciò a interrogarla: perché ormai s’era messa in testa che ci fosse qualcosa tra lei e Remo. Nelly rispondeva a fatica: intenta com’era a covare quel pensiero, che Alfredo le voleva bene.
Da ultimo la madre le disse:
«Domenica voglio che ti confessi e faccia la Comunione.»
«Va bene, mamma.»
A vederla così sottomessa, la madre finì con l’acquietarsi.
Nelly rigovernò e andò subito a dormire. Stette a lungo sveglia, tutta raggomitolata su un fianco, come una gatta che protegga la sua creatura... Lei proteggeva quel pensiero che la rendeva felice. Dimenticò perfino di dire le preghiere; ed entrò beata nel sonno.
La svegliò un rumore di voci. “Dio mio, è tardi” e si alzò a sedere. Erano le voci dei contadini. Scese dal letto e corse ad aprire le imposte: ma era tutto buio. Per un momento credette di aver sognato; ma di nuovo distinse la voce del capoccia.
Anche la madre s’era svegliata e stava in ascolto: Nelly la sentì che tossiva e poi che brontolava.
«Mamma. Che ore sono?»
«È presto; perché non dormi?»
«Li senti i contadini? Mica sarà successo qualcosa?»
«No» rispose la madre. «Non è successo niente. È tornato Andrea. Dormi.»
Reduce da un viaggio durato un giorno e una notte, Andrea si alzò tardi. S’era messo in borghese: ma i capelli rasati bastavano a dargli un altro aspetto. Era anche ingrassato: la giacca gli stava stretta, tanto che non riusciva a tenerla abbottonata.
La signora Adele lo abbracciò e lo baciò: ma le manifestazioni d’affetto finirono lì. Aveva subito notato il suo aspetto florido:
«Non si direbbe che hai fatto un anno di militare. Stai meglio di quando sei partito. Ma già, il militare non fa più paura a nessuno. È al fronte poverini che stanno male.»
«Eh, purtroppo» disse Andrea.
«Ma voi non vi ci mandano?»
«Di preciso non si sa nulla... ma la voce è che ci andremo presto. L’istruzione ormai l’...