Regina rossa
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Regina rossa

  1. 432 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Regina rossa

Informazioni su questo libro

Il mondo di Mare Barrow è diviso dal colore del sangue: rosso o argento. Mare e la sua famiglia sono Rossi, povera gente, destinata a vivere di stenti e costretta ai lavori più umili al servizio degli Argentei, valorosi guerrieri dai poteri sovrannaturali che li rendono simili a divinità. Mare ha diciassette anni e ha già perso qualsiasi fiducia nel futuro. Finché un giorno si ritrova a Palazzo e, proprio davanti alla famiglia reale al completo, scopre di avere un potere straordinario che nessun Argenteo ha mai posseduto. Eppure il suo sangue è rosso… Mare rappresenta un'eccezione destinata a mettere in discussione l'intero sistema sociale. Il Re per evitare che trapeli la notizia la costringe a fingersi una principessa Argentea promettendola in sposa a uno dei suoi figli. Mentre Mare è sempre più risucchiata nelle dinamiche di Palazzo, decide di giocarsi tutto per aiutare la Guardia Scarlatta, il capo dei ribelli Rossi. Questo dà inizio a una danza mortale che mette un nobile contro l'altro e Mare contro il suo cuore. Regina Rossa apre una nuova serie fantasy vivida e seducente dove la lealtà e il desiderio rischiano di esseri fatali e l'unica mossa certa è il tradimento.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804651253
eBook ISBN
9788852065576

1

Odio il Primo Venerdì. Il villaggio diventa insopportabilmente affollato e in questo momento, nell’afa dell’estate inoltrata, è l’ultima cosa che uno vorrebbe. Dal posticino all’ombra in cui mi trovo non va malaccio, ma il tanfo di sudore della gente accaldata, intenta a lavorare, farebbe rapprendere anche il latte. L’aria del mattino riverbera il calore e l’umidità che salgono dalla strada e le pozzanghere lasciate dal temporale di ieri si sono addirittura riscaldate e addensate, formando delle chiazze variopinte di olio e grasso.
Il mercato si svuota a mano a mano che i commercianti chiudono le proprie bancarelle. La loro giornata di lavoro è conclusa e sono distratti, disattenti. Così, mi riesce molto più facile arraffare quello che mi va, tra le merci esposte. Una volta finito, le mie tasche straripano di bigiotteria e ho persino una mela da sgranocchiare lungo il cammino. Niente male, per aver lavorato solo qualche minuto. Mi lascio trasportare dalla fiumana di persone intorno a me. Le mie mani guizzano a destra e a sinistra, con movimenti rapidi e leggeri. Estraggo qualche banconota dalla tasca di un signore, sfilo un braccialetto dal polso di una signora... niente di troppo grosso o vistoso. Gli abitanti del villaggio si trascinano nella folla, troppo assorti per accorgersi di una ladruncola in mezzo a loro.
Le alte palafitte a cui il nostro paesino deve il nome (si chiama proprio Palafitte... che originalità!) si ergono intorno a noi, a tre metri dal suolo fangoso. In primavera, la sponda più bassa del fiume è sommersa dall’acqua, ma ora siamo in agosto, mese in cui la disidratazione e le insolazioni mettono in ginocchio il villaggio. Quasi tutti aspettano con ansia il Primo Venerdì, quando lavoro e scuola finiscono prima. Ma io no. Io preferirei starmene a scuola, a non imparare nulla, in una classe stracolma di ragazzi.
Tanto non ci andrò ancora per molto. Il mio diciottesimo compleanno si avvicina e, insieme a quello, la leva militare. Non sono l’apprendista di nessuno, non ho un lavoro, quindi verrò mandata in guerra, come tutti gli altri cosiddetti “pelandroni”. Non c’è da meravigliarsi che non ci sia più un posto libero, dato che ogni uomo, donna o bambino fa di tutto per tenersi alla larga dall’esercito.
I miei fratelli sono andati in guerra non appena hanno compiuto diciotto anni. Li hanno spediti tutti e tre a combattere nelle Terre dei Laghi. Solo Shade sa scrivere e mi manda delle lettere, quando riesce. Gli altri due, Bree e Tramy, non li sento da più di un anno. Del resto, non avere notizie è una buona notizia. Possono passare anni senza che i genitori sappiano più nulla dei propri figli, per poi ritrovarseli davanti alla porta di casa, in licenza o talvolta addirittura in congedo definitivo. Anche se la cosa più frequente è ricevere una lettera di carta spessa, con il sigillo del re impresso sotto un breve messaggio di ringraziamento per la vita del proprio ragazzo o ragazza. A volte, se si è fortunati, si riceve addirittura qualche bottone staccato dall’uniforme logora e sdrucita della persona caduta.
Quando Bree è partito, avevo tredici anni. Mi ha dato un bacio sulla guancia e un paio di orecchini da dividere con Gisa, nostra sorella minore. Erano due pendenti, con una perlina di vetro di un pallido rosa tramonto. Quella stessa notte, ci siamo fatte il buco all’orecchio. Tramy e Shade hanno proseguito la tradizione di famiglia, quando se ne sono andati. Ora io e Gisa abbiamo entrambe un orecchio ornato da tre piccole pietre che ci ricordano i nostri fratelli, impegnati a combattere chissà dove. Non credevo che sarebbero partiti sul serio, ma poi il legionario si è presentato alla porta di casa con la sua armatura scintillante e se li è portati via, uno dopo l’altro. E in autunno verranno a prendere anche me. Ho già iniziato a risparmiare – e a rubare – per comprare a Gisa degli orecchini per quando me ne andrò.
Non ci pensare. Ecco cosa dice sempre la mamma, parlando dell’esercito, dei miei fratelli, di tutto quanto. Gran bel consiglio, mamma.
In fondo alla strada, all’incrocio tra via del Mulino e largo del Manifestante, la folla si addensa e sempre più persone si uniscono alla fiumana. Una banda di marmocchi, tutti aspiranti ladruncoli, si butta nella mischia con mani avide e appiccicaticce per l’emozione. Sono troppo giovani per riuscire a cavarsela e gli agenti di sicurezza sono svelti a intervenire. In condizioni normali, i ragazzini verrebbero messi ai ceppi o spediti nella prigione della centrale, ma anche gli agenti vogliono assistere al Primo Venerdì. Decidono di dare ai capibanda una bella razione di botte, per poi lasciarli andare. Piccole indulgenze.
Una lieve pressione sul mio fianco mi fa voltare di scatto. Afferro la mano del povero sprovveduto che sta cercando di fregarmi qualcosa e la tengo stretta, così che il furbetto non possa scappare. Invece di un moccioso pelle e ossa, mi ritrovo davanti una faccia che mi sorride sorniona.
Kilorn Warren. Apprendista di un pescatore, orfano di guerra e probabilmente il mio unico vero amico. Da piccoli di solito facevamo a botte, ma ora che siamo più grandicelli – e che lui è più alto di me di quasi mezzo metro – cerco di evitare la rissa. Immagino che essere così alti abbia un’utilità. Per esempio, raggiungere facilmente le mensole più alte.
«Diventi sempre più veloce.» Sghignazza e si libera dalla mia presa.
«Semmai sei tu che sei sempre più lento.»
Alza gli occhi al cielo e mi strappa la mela di mano.
«Dobbiamo aspettare Gisa?» mi domanda, mentre l’addenta.
«Per oggi è esonerata. Deve lavorare.»
«Allora sbrighiamoci. Non voglio perdermi lo spettacolo.»
«Ah, guarda, sarebbe una vera tragedia.»
«No, no, così non ci siamo, Mare» mi prende in giro, muovendo l’indice verso di me. «Si dà il caso che sia divertente.»
«Si dà il caso che sia un avvertimento, pollastro che non sei altro.»
Ma mentre finisco di parlare, lui si è già incamminato a grandi falcate e devo darmi una mossa per riuscire a stargli dietro. Procede a zigzag, come se non riuscisse ad andare dritto. Lui dice che è per via delle sue “gambe da marinaio”, ma non è mai stato in mare aperto. Evidentemente passare tante ore sulla barca del proprio datore di lavoro, benché sul fiume, sortisce per forza qualche effetto.
Come mio padre, anche quello di Kilorn è stato mandato in guerra, ma mentre il mio è tornato senza una gamba e un polmone, il signor Warren ha fatto ritorno dentro una scatola da scarpe. Dopodiché sua madre è scappata e ha lasciato il figlio a cavarsela da solo. È un miracolo che non sia morto di fame eppure, in un modo o nell’altro, è sempre riuscito a trovare la forza per attaccare briga con me. Io gli portavo da mangiare per non dover prendere a calci un mucchietto di ossa e ora, a distanza di dieci anni, eccolo ancora qui: è apprendista e non dovrà andare in guerra.
Arriviamo ai piedi della collina, dove la folla è più fitta e la gente si spintona da tutti i lati. Assistere al Primo Venerdì è obbligatorio, a meno di non essere un “collaboratore essenziale”, come mia sorella. Non penso che ricamare la seta sia essenziale, ma gli argentei adorano quella stoffa. Con degli scampoli decorati da Gisa si possono corrompere persino gli agenti di sicurezza, o almeno qualcuno di loro. Io però non ci ho mai provato.
Le ombre intorno a noi si fanno sempre più scure, mentre ci inerpichiamo su per la scalinata di pietra, verso la cima della collina. Kilorn fa i gradini a due a due lasciandomi indietro, poi si ferma ad aspettarmi. Mi osserva con un sorrisetto compiaciuto, mentre si scosta dagli occhi verdi una ciocca di capelli fulvi sbiaditi.
«A volte mi dimentico che hai le gambe corte come quelle di un bambino.»
«Sempre meglio che avere il cervello di un bambino» ribatto, dandogli un buffetto sulla guancia, quando gli passo davanti. Si mette a ridere e mi segue su per le scale.
«Oggi sei più scorbutica del solito.»
«Odio queste manifestazioni.»
«Lo so» mormora lui con aria seria, una volta tanto.
Poco dopo, ci ritroviamo nell’arena, con il sole cocente a picco sulle nostre teste. Costruita una decina di anni fa, l’arena è la struttura più grande di tutta Palafitte. Non è nulla in confronto alle costruzioni monumentali che ci sono nelle città, eppure le altissime arcate di acciaio e le tonnellate di cemento sono sufficienti a lasciare senza fiato una paesana come me.
Gli agenti di sicurezza sono dappertutto e le loro uniformi nere e argento risaltano tra la folla. Anche loro non vedono l’ora di assistere alle manifestazioni del Primo Venerdì. Sono armati di grossi fucili o pistole, nonostante non ne abbiano il minimo bisogno. Solitamente, infatti, gli agenti sono argentei e non hanno nulla da temere da noi rossi. Lo sanno tutti. Non siamo loro pari, anche se di primo acchito non si direbbe. L’unica differenza visibile dall’esterno è che gli argentei camminano a testa alta. Noi invece abbiamo la schiena piegata dal lavoro, dalle speranze disattese e dalla delusione inevitabile per il nostro destino.
Nell’arena scoperta fa caldo come fuori e Kilorn, in punta di piedi per vederci meglio, mi trascina in un posto all’ombra. Non ci sono seggiolini per noi, solo delle lunghe panche di cemento, mentre i pochi nobili argentei si godono il fresco nelle tribune confortevoli ai piani superiori. Lì hanno bibite, cibo, ghiaccio (persino in piena estate), poltroncine imbottite, luce elettrica e altri comfort che io non avrò mai. Eppure per loro tutto questo è assolutamente normale, anzi addirittura si lamentano delle misere condizioni in cui versano. Gliela farei vedere io la miseria, se potessi. Noi ci dobbiamo accontentare di panche dure e di qualche schermo gracchiante, troppo luminoso e chiassoso da sopportare.
«Mi ci gioco la paga di una giornata che vince un altro fortebraccio» esclama Kilorn e poi scaglia il torsolo della mela verso il centro dell’arena.
«Niente scommesse» ribatto contrariata. Molti rossi sperperano i propri guadagni facendo puntate sui combattimenti, nella speranza di vincere un gruzzolo che li aiuti a tirare avanti per un’altra settimana. Ma non io, nemmeno con Kilorn. È più facile sgraffignare il borsello dell’allibratore che cercare di vincere qualcosa scommettendo. «Non dovresti sprecare così i soldi.»
«Non è uno spreco, se ci azzecco. È sempre un fortebraccio a fare a pezzi qualcun altro.»
In effetti, almeno un combattimento su due vede protagonista un fortebraccio, poiché le loro doti e abilità sono più adatte all’arena rispetto a quelle di ogni altro argenteo, o quasi. Sembra che quegli energumeni ci provino gusto a usare la loro forza sovrumana per scaraventare a destra e a manca gli altri campioni, come se fossero bambole di pezza.
«E che mi dici dell’avversario?» chiedo, pensando alla varietà di argentei che potrebbero comparirci davanti. Telecinetici, lestopassi, acquatici, crescifoglia, pelleroccia: tutti terrificanti.
«Non saprei. Speriamo sia qualcosa di figo. Almeno mi diverto un po’.»
Io e Kilorn non la pensiamo proprio allo stesso modo sulle Gesta del Primo Venerdì. Per me, guardare due campioni che si massacrano a vicenda non è particolarmente piacevole ma Kilorn va in brodo di giuggiole. «Che si disintegrino a vicenda» dice lui. «Tanto non sono dei nostri.»
Non capisce il vero scopo delle Gesta. Non si tratta di semplice intrattenimento per dare ai rossi un po’ di tregua dal lavoro estenuante. È un piano freddo e calcolato, un messaggio chiaro: solo gli argentei combattono nelle arene, perché solo un argenteo può sopravvivere. Combattono per mostrarci la loro forza, il loro potere. “Non avete speranze contro di noi. Siamo molto meglio. Siamo degli dèi” sembra gridare ogni colpo sovrumano inferto dai campioni.
Ed è assolutamente vero. Lo scorso mese ho assistito al combattimento tra un lestopasso e un telecinetico e, benché il lestopasso si muovesse più in fretta dell’occhio umano, il telecinetico lo ha bloccato di colpo. Con il solo potere della mente, ha sollevato l’oppositore da terra. Poi il lestopasso ha iniziato a soffocare: credo che il telecinetico gli avesse stretto la gola in una sorta di morsa invisibile. Quando il lestopasso è diventato cianotico, l’incontro è stato dichiarato concluso e Kilorn ha esultato. Aveva scommesso sul telecinetico.
«Signore e signori, argentei e rossi, benvenuti al Primo Venerdì delle Gesta di agosto.» La voce dell’annunciatore rimbomba, amplificata dalle pareti dell’arena. Come al solito, sembra annoiato e non posso biasimarlo.
Un tempo le Gesta non prevedevano combattimenti ma vere e proprie esecuzioni. I prigionieri e i nemici dello Stato venivano trasportati ad Archeon, la capitale, e venivano uccisi davanti a una folla di argentei. Suppongo che al pubblico piacesse molto quello spettacolo cruento e così hanno preso piede i combattimenti. Inizialmente non fatti per uccidere, ma per intrattenere. In seguito, si sono trasformati nelle Gesta, che si sono estese anche ad altre città, in arene diverse e per un pubblico diverso. Alla fine sono stati ammessi anche i rossi, seppure relegati nei posti più scomodi. Non ci è voluto molto prima che gli argentei cominciassero a costruire arene dappertutto, persino nei villaggi come Palafitte, e così la presenza dei rossi, un tempo considerata una gentile concessione, è diventata una condanna obbligatoria. Mio fratello Shade sostiene che sia perché nelle città dove sono state erette delle arene si è registrata una netta riduzione dei crimini commessi dai rossi, insieme a un minore dissenso, nonostante gli atti di ribellione fossero già pochi. Ora gli argentei non devono neanche mettere in campo le esecuzioni, le legioni o la Sicurezza per mantenere la pace: due campioni ci spaventano con la stessa intensità.
E oggi, i due avversari in questione faranno del loro meglio per assolvere il proprio compito. Il primo a calcare la sabbia bianca dell’arena viene presentato come Cantos Carros, un argenteo proveniente dalla Baia del Porto, verso est. Sullo schermo viene spiattellata un’immagine nitida del guerriero e non c’è bisogno che qualcuno me lo dica per capire che si tratta di un fortebraccio. I suoi arti superiori sembrano dei tronchi d’albero, su cui risaltano le venature dei muscoli che gli tirano la...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. REGINA ROSSA
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. EPILOGO
  33. RINGRAZIAMENTI
  34. Copyright