Veniamo ai fatti.
Intende dire, Presidente, alle mie eventuali colpe?
Che altro, sennò?
Sono pronto a confessare la verità , non le colpe.
Davvero è pronto?
Altrimenti non sarei qui.
Non vorremmo perdere tempo. Non stiamo giocando una partita a scacchi, stiamo celebrando un processo. Dobbiamo accertare se lei abbia violato la legge. L’avverto, non ci provi...
A fare che?
A barcamenarsi tra il dire e il non dire. Perderemmo tempo tutti, lei e noi. E lei aggraverebbe la sua posizione. E la Giustizia, già oberata di lavoro, lo sarebbe ancora di più. Il tutto a danno di imputati che attendono d’essere processati e di vittime che esigono giustizia.
Capisco, signor Giudice. È difficile, forse impossibile, credere a un incredulo. Specialmente se l’incredulo accetta il sacramento della penitenza, di cui la confessione è una parte, quando sta più di là che di qua.
Più di là ... Lei è malato?
Nel senso, intendevo dire, che alla mia età il passato è lungo e il futuro breve. E se verrò condannato non avrò il tempo di scontare la pena. Tuttavia, pur essendo pessimista, penso che sarò assolto.
Imputato, lo ricordi. L’eventuale assoluzione o l’eventuale condanna non sono l’epilogo di un gioco, ma certificano una verità e non la verità .
Secondo una teoria matematica, tutto è gioco, persino la guerra. A volte si vince, altre si perde.
E altre volte ancora non si vince né si perde. Ora lasci stare le teorie e si limiti a dire la verità . Pura e semplice. A dirla non ci si rimette mai.
Lungi dal volerla contraddire, Presidente. A dirla ci si rimette sempre. Nulla scotta più della verità . Non si dice così? E se si dice così, una ragione ci sarà . La verità scotta, oggi come ieri. Non educa, diseduca, come dice un filosofo mio amico. Tant’è che la città condannò Socrate per averla teorizzata. E dunque la verità non è pura né tanto meno semplice. E poi la menzogna oggi attrae più di ieri. E sa perché?...
Sentiamo.
Perché oggi la menzogna parla e si trucca come una star del cinema, indossa abiti disegnati da stilisti di classe, sprizza glamour e seduce. La verità , invece, è una casalinga d’altri tempi. Sciatta, scarmigliata, senza creme e trucchi. Eppure a mio avviso quelle donne erano più eccitanti delle donne d’oggi, rifatte e strafatte. Bastava un loro ginocchio scoperto a eccitarti. Ora tutte nude paiono banali, scontate, semplici forme. Furoreggia la tirannia della forma, anzi dell’immagine. Una conferma, Presidente? Legga un qualsiasi giornale, anche di quelli paludati, o ascolti la radio o guardi la televisione, e vedrà quanto la menzogna goda di ascolti e consensi altissimi. E sa perché?...
Lo dica lei. Siamo qui per ascoltarla, non per ascoltarci.
Intanto perché la menzogna è gentile, sofisticata. Al contrario, la verità è rozza, sgarbata. E poi il bugiardo è un creativo, a modo suo un intellettuale, uno che usa il cervello e la fantasia. Insomma, non è schiavo del dato di fatto. Il sincero, invece...
Lei sta tessendo l’elogio della menzogna, se ne rende conto? Sappia che non le consentirò di onorarla in quest’Aula.
No, per carità ! Io sono qui per celebrare la verità . Che non devo a lei, signore. E lo dico con il massimo rispetto per questa Corte.
A chi la deve, allora?
A me stesso.
Precisi meglio.
Devo la verità a me stesso e a nessun altro.
Altro chi?...
Altro di quaggiù e non di lassù.
Lei non crede in Dio?
Non ho ricevuto il Dono, ma non si sa mai. A volte arriva all’ultimo minuto. Io non so ancora per quanto mi tratterrò qui tra voi, ma se insistessi a occultare la verità nelle pieghe della coscienza non potrei affrontare l’ultimo passo a cuor leggero.
Andiamo avanti. La prego. Fatti, non filosofia o teologia.
È il momento, Presidente, di vedermi in uno specchio fedele. Vale a dire come sono e non come mi sono illuso d’essere. E dunque di togliermi i panni di scena. È l’ora della verità . Non si dice così?...
Sì, si dice così.
La mia non è una confessione.
E cos’è?
Un’ammissione di responsabilità .
Non la tiri per le lunghe, altrimenti facciamo notte.
Nel sogno volto pagina.
Mi rivedo ad Acquaria, l’isola della mia infanzia e adolescenza. Sono in San Michele e prego in ginocchio. Mani giunte e occhi rivolti insù. Padre nostro che sei nei Cieli... Somiglio all’immaginetta di Sant’Antonio da Padova. Un sorriso tenero, senza sesso, lo sguardo estatico. In quei momenti tanti pensieri mi frullavano nella mente. Il più delle volte li suggeriva il cinghialotto nero che nell’affresco dietro l’altare si acquattava, muso in giù, nel sottobosco ai margini di un sentiero. Quella bestia faceva paura, la sognavo la notte, eppure stuzzicava la fantasia. Una volta chiesi a don Vito se Nostro Signore non fosse stato poco misericordioso a disegnarla con quelle fattezze.
Il male è brutto, figliolo.
Allora il bene è bello.
È bello, sì.
Ma se il male è brutto come la mettiamo con Lucifero? Non era, forse, il più bello degli angeli?
Bello, ma ribelle.
E Dio lo ha cacciato dal Paradiso perché era uno spirito indipendente?
Esatto.
Ma è peccato dipendere dalla propria e non dall’altrui coscienza?
A volte sì.
Allora andrebbero condannate tutte le guerre combattute dai popoli e dai singoli individui per l’indipendenza.
Non scherzare, Angelo. Parli del principe delle Tenebre.
Meglio principe, sia pure delle tenebre, che schiavo alla luce del giorno.
Non bestemmiare, quando si parla del Maligno non si scherza.
Non scherzo, don Vito. Cerco di capire perché il male suggerisce più domande del bene. E perché, come sostiene il professor Basili, è più difficile immaginare la luce del Paradiso che la penombra del Purgatorio o le fiamme dell’Inferno. Lo si deve alla scarsa fantasia? Meno male che, sempre secondo il professor Basili, una mano ce l’ha data padre Dante. In verità a immaginare l’Inferno e il Purgatorio più che il Paradiso.
Non pochi anni sono passati da quella stagione. Ora tutto è chiaro. Avevo tanti perché nella testa e sulla punta della lingua.
Da qualche tempo mi perdo fra interrogativi e ricordi, è come fare jogging in un parco delle rimembranze. A una certa età , si sa...
A essere sincero allora avevo pensieri non proprio limpidi. Mi intrigavano le storie opache, di uomini ma anche di donne. E quando mi imbattevo in persone dai tratti incerti mi chiedevo, e continuo a chiedermelo, perché i peccatori siano meno noiosi dei virtuosi. Che i peccati, al pari delle menzogne, siano più attraenti delle virtù?
Non ho conosciuto i miei genitori e non so nulla di loro. Mi auguro siano crepati. Altrimenti dovrei pensare che, dopo avermi messo al mondo, se la siano data per non riconoscermi e non riconoscersi. Posso comprenderli, non giustificarli. Per loro, certo, non sarebbe piacevole vedersi riflessi in me.
Il mio viaggio è iniziato male. Non si parte bene a essere l’effetto collaterale d’una sveltina. Da raschiare dalla coscienza e dalla memoria. Eppure, nonostante la pessima partenza, non posso lamentarmi. Tutto sommato m’è andata bene. Questo lo devo alle suore che m’hanno accolto in fasce e affidato a un’ideale mamma-non mamma naturale, dopo averla fatta giurare di non rivelarmi i nomi dei miei nemmeno in punto di morte. Erminia ha mantenuto fede a quel giuramento, è stata una donna di parola e non di parole. Fra noi l’argomento era tabù. Lei non lo toccava, né io le chiedevo di affrontarlo. Volevo ignorare la verità , sarebbe stata comunque sgradevole. Potevo perdonare chi mi aveva ripudiato nella culla?
I miei erano quelli là , fantasmi da non evocare. D’altro canto, se loro non avevano voluto saperne di me, io non volevo saperne di loro. Così la partita era pari e patta.
Erminia m’ha voluto bene più di una mamma naturale, e io l’ho sentita madre più di un figlio biologico. Ci siamo voluti un mondo di bene perché è stato il caso a unirci e non la Natura, che non è affatto buona come molti vogliono credere.
Erminia la chiamavo per nome. L’avrei offesa a chiamarla mamma, era come accostarla alla mia mamma biologica, e lei non meritava questo torto. Erminia mi capiva e sorrideva. In quei sorrisi si agitavano sentimenti autentici e dunque inesprimibili.
Non sono stato un bambino modello. Da dieci con lode, per intenderci. A Erminia ho dato tanti grattacapi. A dirla tutta sono stato un ragazzo da prendere con le molle.
Non capisco perché delle donne come Erminia si dice che chi le sposa fa un affare. Espressione da bottegai, altro che dolce stil novo...
Erminia non ha ceduto ai tanti che la corteggiavano. Il suo amore per Attilio, il compagno morto in guerra poche settimane dopo il matrimonio, è rimasto sempre vivo. Aveva i pudori della vedova fedele. Mai l’ho sorpresa in una posa sconveniente. Che so, mostrarsi mentre si svestiva o faceva il bagno. Era più castigata di una monaca di clausura. Non si compiaceva, neanche intimamente, quando le amiche citavano gli uomini pronti a spo...