Il visitatore segreto
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Il visitatore segreto

  1. 378 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il visitatore segreto

Informazioni su questo libro

Secondo Ned, veterano del Circus e istruttore delle spie del dopo Muro di Berlino, nessuno meglio di George Smiley può tenere ai suoi allievi il discorso di commiato. «Una spia è una spia a dispetto di tutto» comincia a dire Smiley. Da lì in poi i suoi ricordi da "visitatore segreto" si intrecciano con quelli di Ned: il Pericolo Rosso, l'Africa e l'Asia in tumulto, gli eroi e i traditori, il rischio e il sospetto. Un universo di storie che illuminano il fattore umano del lavoro di "intelligence", facendo tornare a vivere gli uomini che hanno costruito l'epopea segreta della guerra fredda. Il Muro ormai è caduto, ma il mondo è più inquieto di prima, ha bisogno di nuove spie... Aprendo uno spiraglio sullo scenario internazionale contemporaneo, le Carré conclude l'amara e splendida epopea di Smiley. Un romanzo indimenticabile. Un protagonista che è già leggenda.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804500032
eBook ISBN
9788852066603

1

Permettetemi anzitutto di confessarvi che se, mosso da un impulso improvviso, non avessi preso la penna e scribacchiato un biglietto per invitare George Smiley a parlare ai miei diplomandi l’ultima sera del corso d’ammissione – e se Smiley, contrariamente alle mie previsioni, non avesse accettato – mi sarebbe ora impossibile parlarvi così a cuore aperto.
Vi offrirei al massimo quel genere di ricordi riveduti e corretti con i quali, se devo essere sincero, ero sin troppo propenso a intrattenere i miei allievi: cavalleresche prodezze segrete degli avventurosi, degli ingegnosi e dei coraggiosi. E sempre, ovviamente, degli utili. Vi incanterei con reminiscenze di lanci notturni nel Caucaso, di traversate rischiose su motoscafi velocissimi, di sbarchi su spiagge, di lampeggiamenti dalla riva, di messaggi radio clandestini che s’interrompevano a metà trasmissione. Di eroi taciturni della Guerra Fredda che, una volta dato il loro contributo, si rintanavano modestamente in quella stessa società che avevano protetto. Di quei disertori che erano stati sottratti all’ultimo momento alle fauci dell’opposizione.
E sino a un certo punto fu davvero questa la nostra vita. Ai nostri tempi facemmo queste cose, e alcune finirono anche bene. Avevamo uomini buoni che in Paesi cattivi rischiavano la vita per noi. Di solito venivano creduti e a volte le loro informazioni erano usate in modo assennato. O almeno lo spero, perché la più grande spia del mondo non vale nulla quando ciò non avviene.
E, per sdrammatizzare un poco, davanti a un secondo whisky nella mensa degli allievi, scelsi a loro beneficio la situazione in cui venne a trovarsi un comitato d’accoglienza del Circus composto di tre uomini, (che operavano all’interno della Germania orientale e dei quali io ero il valoroso responsabile) e sdraiato a congelarsi su una cresta dei monti Harz, pregando di udire il fruscio di un aereo privo di contrassegni e di veder fluttuare sulla sua scia il provvidenziale paracadute nero. E cosa trovammo, quando le nostre preghiere furono esaudite e scivolammo finalmente giù per il campo di ghiaccio per impadronirci del nostro tesoro? Pietre, raccontai ai miei allievi sbalorditi. Pezzi di autentico granito dell’Argyll. Gli spedizionieri della nostra base aerea in Scozia ci avevano mandato per sbaglio la scatola metallica usata nell’addestramento.
Questa storia, se non altro, ebbe una certa eco, a differenza di altri miei racconti che rivelavano una vaga tendenza a perdere gli ascoltatori a metà.
Ho il sospetto che l’impulso a scrivere a Smiley avesse fermentato nel mio animo più a lungo di quanto io mi fossi reso conto. L’idea mi venne in occasione di una delle solite visite a Personnel per discutere sui progressi dei miei allievi. Feci un salto al bar degli ufficiali superiori per un panino e una birra e mi imbattei in Peter Guillam. Guillam era stato il dottor Watson di George-Sherlock Holmes nella lunga ricerca del traditore del Circus, che risultò essere il nostro capo delle Operazioni, Bill Haydon. Peter non sapeva più niente di George da – oh, da più di un anno, ormai. George si era comprato un cottage nella Cornovaglia del Nord, disse, e ora stava assecondando la propria antipatia per il telefono. Aveva una sorta di sinecura all’Università di Exeter e poteva accedere alla loro biblioteca. Immaginai, con tristezza, il resto: George, eremita solitario in un paesaggio deserto, che passeggiava da solo assorto nei propri pensieri. George che ogni tanto faceva un salto a Exeter per cercarvi un po’ di calore umano nella sua vecchiaia, in attesa di occupare il posto che gli spettava nel Valhalla delle spie.
E Ann, sua moglie? Domandai a Peter, abbassando la voce come si fa sempre quando viene fuori il nome di Ann – perché non era un segreto per nessuno che Bill Haydon fosse stato uno dei suoi numerosi amanti.
Ann era Ann, disse Peter, con un’alzata di spalle alla francese. Aveva parenti con case sontuose sull’estuario dell’Helford. A volte stava con loro, a volte stava con George. Chiesi l’indirizzo di Smiley. «Non dire a nessuno che te l’ho dato io» disse Peter, mentre lo annotavo. Con George ci si era sempre sentiti un po’ in colpa quando si comunicava a qualcuno dove si poteva rintracciarlo – e ancora oggi non so bene il perché.
Tre settimane dopo venne a Sarratt Toby Esterhazy, per tenere la sua famosa conferenza sull’arte della sorveglianza clandestina in territorio ostile. Ovviamente si fermò a pranzo, un’occasione resa per lui particolarmente piacevole dalla presenza delle nostre prime tre ragazze. Dopo una battaglia, durata per l’intero periodo da me trascorso a Sarratt, Personnel aveva finalmente deciso che, dopo tutto, le ragazze potevano essere accettate.
E mi accadde di pronunciare il nome di Smiley.
C’erano stati momenti in cui non avrei mai scambiato confidenze con Toby, e altri in cui avevo ringraziato il Creatore di averlo dalla mia parte. Ma con gli anni, e mi fa piacere constatarlo, ci si abitua a tutto.
«Oh, senti senti, Dio mio, Ned!» gridò Toby con il suo inguaribile accento ungherese, lisciandosi la criniera, meticolosamente impomatata, di capelli argentei. «Non dirmi che non l’hai saputo?»
«Saputo cosa?» domandai con pazienza.
«Amico mio, George è diventato il presidente della Commissione per i diritti di pesca. Non ti raccontano niente qui in campagna? Quasi quasi dirò io una parolina al capo, da uomo a uomo. Una frasetta sottovoce al Club.»
«Forse prima faresti meglio a dirmi cos’è la Commissione per i diritti di pesca» suggerii.
«Sai una cosa, Ned? Comincio a sentirmi un po’ nervoso. Forse ti hanno depennato dall’elenco.»
«Forse» dissi.
Comunque me lo disse, come sapevo che avrebbe fatto, e io mi mostrai debitamente stupito, il che lo rese ancora più consapevole della propria importanza. E c’è una parte di me che rimane stupita ancora oggi. La Commissione per i diritti di pesca, spiegò Toby a beneficio dei non privilegiati, era un gruppo di lavoro informale composto di funzionari del Centro di Mosca e del Circus. Il suo compito, disse Toby – che secondo me ha perso qualsiasi capacità di sorprendersi –, consisteva nell’identificare fonti d’informazioni che interessassero entrambi i servizi e nell’escogitare un sistema per metterle in comune. «L’idea di fondo, Ned, era di porsi come obiettivo i punti caldi del mondo» disse, in un tono di esasperante superiorità. «Credo che per prima cosa si stiano occupando del Medio Oriente. Ma non dire che te l’ho detto io, Ned.»
«Mi stai raccontando che Smiley è davvero il presidente di questa commissione?» domandai incredulo, dopo aver tentato di digerire la notizia.
«Be’, forse non per molto tempo, Ned – Anno Domini o qualcosa del genere. Ma i russi erano terribilmente ansiosi d’incontrarlo e noi lo abbiamo tirato dentro per tagliare il nastro. Festeggiamolo il vecchio, ho detto io. Accarezziamolo un po’. Una mazzetta di banconote in una busta.»
Non sapevo cosa mi meravigliasse di più: se l’idea di Toby Esterhazy che andava all’altare col Centro di Mosca o quella di George Smiley che sovrintendeva al matrimonio. Qualche giorno dopo, con l’autorizzazione di Personnel, scrissi all’indirizzo in Cornovaglia che mi aveva dato Guillam, aggiungendo timidamente che se George detestava parlare in pubblico anche solo la metà di quanto lo detestavo io, non avrebbe dovuto accettare per nessun motivo. Fino ad allora ero stato un po’ giù di corda, ma quando mi arrivò, a stretto giro di posta, una cerimoniosa cartolina in cui si dichiarava felicissimo, mi sentii anch’io un allievo, e nervoso quanto loro.
Dopo due settimane, indossando per l’occasione un abito da campagna nuovo di zecca, mi trovavo al cancello della Paddington Station a guardare vecchi treni che scaricavano pendolari di mezza età. Credo di non essermi mai reso conto così bene dell’anonimità di Smiley. Ovunque guardassi, mi sembrava di vedere dei suoi sosia: signori grassocci, occhialuti e piuttosto anziani, tutti con l’aria, tipica di George, di essere leggermente in ritardo per qualcosa che preferirebbero non dover fare. Poi tutt’a un tratto ci stringemmo la mano e ci trovammo seduti nella parte posteriore di una Rover di Sede Centrale, ed era più tozzo di come lo ricordavo, e bianco di capelli, in effetti, ma con un’energia e un buonumore che non gli avevo più visto da quando sua moglie aveva avuto quella fatale avventura con Haydon.
«Bene, bene, Ned. Ti piace fare il maestro?»
«E a te piace essere in pensione?» ribattei con una risata. «Ti farò compagnia tra non molto.»
Oh, era felice di essere in pensione, mi assicurò. Non ne aveva mai abbastanza, disse con ironia; potevo stare tranquillo su questo. Qualche lezioncina qua, Ned, una conferenza là; e tante passeggiate, si era persino comprato un cane.
«Ho sentito» dissi «che ti hanno richiamato per farti entrare in un’incredibile commissione. Per complottare con l’Orso, dicono, contro il Ladro di Bagdad.»
George non spettegola mai, ma vidi che il suo sorriso si allargava. «Davvero dicono questo? E la tua fonte sarà sicuramente Toby» replicò, e sogghignò soddisfatto allo squallido paesaggio suburbano, mentre iniziava a raccontarmi, a mo’ di diversivo, la storia di due vecchie signore del suo villaggio che si odiavano a vicenda. Una delle due era la padrona di una bottega d’antiquariato, l’altra era molto ricca. Ma mentre la Rover continuava il suo cammino in quello che era stato un tempo il rurale Hertfordshire, mi accadde di pensare non tanto alle signore del villaggio di George quanto allo stesso George. E pensai che era uno Smiley rinato, questo che raccontava aneddoti su vecchie signore, sedeva in commissione con spie russe e contemplava il mondo con la voluttà di chi è appena uscito dall’ospedale.
Quella sera, stretto in un vecchio smoking, lo stesso uomo sedeva al mio fianco alla tavola dei professori di Sarratt e si guardava attorno con benevolenza, contemplando i lucidi candelieri d’argento e le foto di gruppo che risalivano Dio sa a quando. Nonché i volti attenti e fiduciosi dei suoi giovani ascoltatori che attendevano la parola del maestro.
«Signore e signori, il signor George Smiley» annunciai sobriamente quando mi alzai per presentarlo. «Una leggenda del Servizio. Grazie.»
«Oh, non credo proprio di essere una leggenda» protestò Smiley, levandosi a fatica. «Credo di essere soltanto un vecchio signore piuttosto grasso incuneato tra il dolce e il porto.»
Poi la leggenda cominciò a parlare e io mi resi conto che era la prima volta che lo sentivo prendere la parola in un’occasione mondana. Avevo dato per scontato che anche in questo fosse congenitamente negato, come nell’imporre a qualcuno le proprie opinioni o nel parlare di qualcun altro chiamandolo con il suo vero nome. Perciò la maniera superlativa con cui si rivolse a noi mi sorprese prima ancora che riuscissi a cogliere il contenuto. Udii le prime frasi e vidi i volti dei miei studenti – non sempre così disponibili – levarsi e rilassarsi e illuminarsi, mentre gli concedevano prima la loro attenzione, poi la loro fiducia, infine il loro favore. E io pensai, con un sorriso segreto di riconoscimento tardivo, ma sì, certo, era questa la seconda natura di George. Era l’attore nascosto da sempre in lui, il Pied Piper celato. Era l’uomo che Ann Smiley aveva amato e Bill Haydon aveva ingannato e tutti noi avevamo seguito fedelmente, con grande sconcerto degli estranei.
Vige a Sarratt una saggia tradizione che vieta di registrare i discorsi fatti a tavola, di prendere appunti e di alludere in seguito ufficialmente a quanto è stato detto. L’ospite d’onore godeva di quella che Smiley chiamava, alla tedesca, “la libertà del folle” anche se potrei citare parecchie persone meno degne di questo privilegio. Ma io sono sempre e comunque un professionista, addestrato ad ascoltare e a ricordare, e dovete anche sapere che Smiley non ebbe bisogno di pronunciare molte parole prima che mi accorgessi – e i miei allievi non ci misero molto a notarlo – che si stava rivolgendo direttamente al mio cuore eretico. Alludo a quell’altra persona, meno obbediente, che è anch’essa dentro di me e che, se devo essere sincero, mi ero rifiutato di riconoscere da quando avevo iniziato quest’ultima tappa della mia carriera – al diffidente clandestino che era stato il mio scomodo compagno sin dal giorno in cui un mio riluttante agente di nome Barley Blair aveva varcato l’ormai quasi sgretolata Cortina di ferro e, per motivi d’amore, nonché per una sorta di senso dell’onore, aveva continuato a camminare con calma, lasciando incredulo il Quinto Piano.
Quanto migliore è il ristorante, diciamo noi quando parliamo di Personnel, tanto peggiori sono le notizie. «È ora, Ned, che tu trasmetta la tua sapienza ai nuovi arrivati» mi aveva detto durante un pranzo, squisito in modo sospetto, al Connaught. «E alle nuove arrivate» aveva aggiunto con un odioso sorrisetto. «Tra un po’ le lasceranno entrare anche nella Chiesa, immagino.» Poi tornò ad argomenti più lieti. «Tu i trucchi li conosci. Hai pedalato molto. Hai corso magnificamente l’ultima tappa come responsabile della Segreteria. È venuto il momento di trarre profitto da tutto questo. Noi pensiamo che dovresti assumere la direzione della Nursery e passare la fiaccola alle spie di domani.»
Era ricorso a metafore sportive dello stesso genere, se ricordo bene, quando, subito dopo la defezione di Barley Blair, mi aveva allontanato dal mio posto di capo della Casa Russia per relegarmi in quel recinto da ronzini che era il Pool degli Inquisitori.
Ordinò altri due bicchieri di Armagnac. «Come sta la tua Mabel, a proposito?» continuò, quasi gli fosse venuta in mente proprio in quel momento. «Qualcuno mi ha detto che il suo handicap è stato ridotto a dodici – anzi a dieci, per Dio! Be’, spero solo che tu la tenga lontana da me. E allora che te ne pare? Sarratt per tutta la settimana, e a casa, a Tunbridge Wells, durante i weekend: a me sembra il coronamento trionfale di una carriera. Cosa ne dici?»
Già, cosa puoi dirne? Dici quello che altri hanno detto prima di te. Quelli che possono, fanno. Quelli che non possono, insegnano. E ciò che insegnano è ciò che non possono più fare, perché il corpo o lo spirito o entrambi non sono più capaci di perseguire un unico scopo; perché hanno visto troppo e represso troppo e sono scesi a troppi compromessi e alla fine hanno provato troppo poco. Allora passano a rinfocolare i loro vecchi sogni in menti nuove e a scaldarsi al fuoco dei giovani.
Tutto questo mi riporta alle note d’apertura del discorso di Smiley di quella sera, perché all’improvviso le sue parole cominciarono ad allungarsi e ad afferrarmi. Lo avevo invitato perché era una leggenda del passato. Ma, con grande gioia di tutti noi, si stava rivelando come il profeta iconoclastico del futuro.
Non voglio annoiarvi con i punti salienti del giro del mondo con cui Smiley introdusse il suo discorso. Parlò loro del Medio Oriente, che evidentemente lo assillava, e analizzò i limiti del potere coloniale in un’epoca teoricamente post-coloniale. Parlò del Terzo Mondo e del Quarto Mondo e postulò un Quinto Mondo, e si domandò ad alta voce se esisteva una nazione ricca che si preoccupasse seriamente della disperazione e della miseria umana. Sembrava abbastanza sicuro che non esistesse. Derise l’idea che con la fine della Guerra Fredda quella della spia fosse diventata una professione morente; con tutte le nazioni nuove che uscivano dall’ibernazione, disse, con tutti i nuovi allineamenti, con tutte le riscoperte di antiche identità e passioni, con tutte le erosioni del vecchio statu quo, le spie avrebbero dovuto lavorare ventiquattr’ore su ventiquattro. Parlò, me ne accorsi dopo, il doppio di quanto fosse consuetudine in queste occasioni, ma non udii né scricchiolare sedie né tintinnare bicchieri – neanche quando lo trascinarono in biblioteca e lo fecero sedere sul trono d’onore, davanti al fuoco, per ascoltare altre parole dello stesso genere, altre eresie, altre sovversioni. I miei ragazzi, gente dura dal primo all’ultimo, innamorati di George! Non udivo alcun rumore, a parte il fluire pacato della voce di Smiley e gli spontanei scoppi di risa per i momenti inattesi di autoironia o per le confessioni di fallimenti. Si è vecchi una volta sola, pensai, ascoltando insieme con loro e condividendo la loro eccitazione.
Raccontò episodi che io non avevo mai udito, e che nessuno di Sede Centrale, ne sono certo, lo aveva mai autorizzato a svelare – men che meno il nostro consulente legale Palfrey che, come tutta risposta alla franchezza dei nostri ex nemici, aveva chiuso a chiave, e a doppia mandata, tutti gli inutili segreti su cui era riuscito a mettere le sue mani obbedienti.
Si soffermò sul loro ruolo futuro di agenti-corrieri e, applicandolo a un mondo mutato, recuperò l’immagine tradizionale del Servizio come mentore, pastore, genitore e sostegno, come appoggio e consulente matrimoniale, come colui che perdona e intrattiene e protegge; come uomo o donna che ha il talento di trattare l’ipotesi più fantastica quasi fosse una faccenda di tutti i giorni, e diventa in tal modo complice dell’illusione del suo agente. Niente di tutto questo era cambiato, disse. Niente di tutto questo sarebbe mai cambiato. E parafrasò Burke: «Una spia è una spia a dispetto di tutto».
Ma aveva appena finito di cullarli con queste graziose immagini quando li mise in guardia contro la morte della loro vera natura che poteva derivare dalla manipolazione dei propri simili e contro l’amputazione dei loro sentimenti innati.
«Essendo qualsiasi cosa per qualsiasi spia,» confessò con tristezza «si corre il ris...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il visitatore segreto
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. DOSSIER GEORGE SMILEY
  18. Copyright