La passione del suo tempo
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La passione del suo tempo

  1. 406 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La passione del suo tempo

Informazioni su questo libro

Crollata l'Unione Sovietica, una nuova potenza si affaccia minacciosa alla ribalta: la Russia. Nel suo archivio privato, l'agente in pensione Tim Cranmer dovrà cercare i moventi del doppio tradimento di cui è vittima: quello della sua giovane compagna Emma e quello dell'amico-rivale Larry Pettifer. I due, infatti, sono scomparsi all'improvviso, forse soltanto per una fuga romantica, forse per una missione estrema e impossibile. Chi ha temuto che la fine della guerra fredda avrebbe privato John le Carré della sua materia prima può sentirsi rassicurato. Nelle sue mani il nuovo scontro Est- Ovest è un soggetto ancora più ricco.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804427803
eBook ISBN
9788852066535

La passione del suo tempo

Chi pensa alle conseguenze
non può essere coraggioso
Proverbio inguscio
Chi accresce il sapere
aumenta il dolore
Ecclesiaste
Se vivessi nel Caucaso,
scriverei fiabe
Čechov (1888)

1

Larry scomparve ufficialmente alle 11.10 del secondo lunedì di ottobre, quando non si presentò in aula per la prima lezione del nuovo anno accademico.
Sono in grado di ricostruire la scena con precisione perché non è passato molto tempo da quando, nello stesso clima tetro di Bath, avevo trascinato Larry a vedere per la prima volta quello squallido luogo. Conservo ancora oggi il più incriminante dei ricordi di quell’inumano casermone lastricato che incombeva su di lui come le mura di una nuova prigione. E della schiena sempre giovanile di Larry che lungo quel canyon di cemento si allontanava da me in atteggiamento di rimprovero, come andando incontro alla sua nemesi. Se avessi avuto un figlio, pensavo guardandolo, era così che mi sarei sentito scaricandolo per la prima volta in collegio.
«Ehi, Timbo» sussurra da sopra la spalla, con quella sua capacità di parlarti anche a miglia di distanza.
«Sì, Larry.»
«È questo, vero?»
«Che cosa?»
«Il futuro. Dove tutto finisce. La vita che rimane.»
«È un nuovo inizio» dico in tutta onestà.
Ma con chi sono onesto? Con lui? Con me? Con il Servizio?
«Dobbiamo abbassare le ali» dico. «Tutti e due.»
Il giorno della sua scomparsa è stato, a quanto si dice, altrettanto deprimente. Una stucchevole nebbiolina avvolge il grigio e orribile campus dell’università, appannando con alito appiccicoso le finestre metalliche della sua aula sudicia. Venti studenti siedono ai banchi di fronte alla cattedra vuota, in pino, di un giallo particolarmente carico, molto scalfito. L’argomento della lezione è stato scritto col gesso sulla lavagna da una mano misteriosa, probabilmente quella di un allievo infatuato. “Karl Marx al supermercato: rivoluzione e materialismo moderno.” Si sente qualche risata. Gli studenti sono uguali dappertutto. Il primo giorno del trimestre, qualsiasi cosa li fa ridere. Ma a poco a poco si calmano e si accontentano di scambiarsi sorrisetti, scrutando la porta in attesa di udire i passi di Larry. Finché, dopo avergli concesso il rituale quarto d’ora accademico, mettono via con un certo imbarazzo penne e taccuini e, facendo vibrare il cemento traballante, si avviano verso la mensa.
Mentre sorseggiano un caffè, le matricole si mostrano debitamente inorridite da questa prima esperienza dell’imprevedibilità di Larry. A scuola non ci era mai successo. Come faremo a recuperare? Ci verranno dati degli appunti? Oh, Dio! Ma i veterani, i fan di Larry, se la ridono. Larry è fatto così, spiegano allegramente: la prossima volta terrà banco per tre ore, e rimarrete talmente incantati da scordarvi del pranzo. Avanzano ipotesi su cosa possa averlo trattenuto: i prodigiosi postumi di una sbornia o una incontrollabile storia amorosa, una delle tante che gli attribuiscono perché con i suoi quarantacinque anni Larry è ancora un grande seduttore, basta guardarlo, ha il fascino del ragazzo smarrito, del poeta mai diventato adulto.
Le autorità accademiche reagirono con eguale tranquillità alla riluttanza di Larry a farsi vivo. I colleghi della sala professori, non tutti mossi dall’amicizia, avevano fatto rapporto sull’assenza nel giro di un’ora. La direzione tuttavia attese il lunedì successivo, e una seconda assenza, prima di trovare l’energia per telefonare alla sua padrona di casa e, non avendone ottenuto una risposta soddisfacente, alla polizia di Bath. Dopo altri sei giorni la polizia venne da me: di domenica, incredibile ma vero, alle dieci di sera. Avevo passato un pomeriggio spossante accompagnando in gita a Longcat, in pullman, un gruppo di anziani del mio paesino, e una frustrante serata in cantina a lottare con un torchio da uva tedesco che il mio defunto zio Bob aveva battezzato “il Crucco immusonito”. Tuttavia quando udii il campanello ebbi un tuffo al cuore, fingendo con me stesso che fosse Larry, fermo sulla soglia di casa mia con quei suoi occhi castani pieni di rimprovero e il sorriso timido: «Su, Timbo, prepara una dose abbondante di scotch per tutti e due; e poi, chi se ne frega delle donne».
Due uomini.
Pioveva a dirotto e, aspettando che aprissi, si erano addossati l’uno all’altro nel portico. Abiti borghesi volutamente riconoscibili. Avevano parcheggiato la macchina, luccicante sotto l’acquazzone, nel viale di accesso: una Peugeot 306 diesel con la scritta POLICE e il solito assortimento di specchietti e di antenne. Quando li guardai dallo spioncino, i loro visi a capo scoperto mi fissarono come cadaveri gonfi: il più anziano rozzo e baffuto, il più giovane con un’aria lasciva, testa lunga, inclinata, simile a una bara, e due occhietti rotondi che parevano fori di proiettili.
Aspetta, mi dissi. Ancora un momento. Ecco cosa significa mantenere la calma. Sei a casa tua, è sera tardi. Soltanto allora acconsentii a togliere il catenaccio dalla porta. Diciassettesimo secolo, cinta di ferro, pesa una tonnellata. Il cielo notturno irrequieto. Un vento capriccioso che investiva con forza gli alberi. I corvi che, nonostante il buio, ancora si spostavano e si lamentavano. Durante il giorno un’assurda nevicata. Ne restavano tracce grigie e spettrali sul vialetto.
«Salve» dissi. «Non restate lì a gelare. Entrate.»
L’ingresso di casa mia è una tardiva aggiunta di mio nonno, una scatola di vetro e mogano, simile a un grande ascensore, che funge da anticamera del salone. Per un attimo restammo tutti e tre in piedi sotto la lanterna di ottone, guardandoci in faccia senza andare né avanti né indietro.
«È questo Honeybrook Manor, vero?» disse il baffuto, un tipo di quelli che sorridono. «Non ci è parso di vedere un’insegna.»
«Adesso lo chiamiamo “Vineyard”» dissi. «Cosa posso fare per voi?» Le parole erano cortesi, il tono no. Mi rivolgevo loro come se fossero entrati abusivamente nella mia proprietà. Scusate. Posso aiutarvi?
«E quindi lei sarebbe il signor Cranmer, dico bene signore?» suggerì il baffuto mantenendo il sorriso. Perché poi lo definisco un “sorriso” non so proprio, trattandosi di un’espressione che, sebbene tecnicamente benevola, era priva e di umorismo e di qualsiasi parvenza di affabilità.
«Sì, sono Cranmer» replicai, mantenendo il tono interrogativo.
«Il signor Timothy Cranmer? Controllo di routine, signore, sempre che non abbia nulla in contrario. Non disturbiamo, spero.» I baffi nascondevano una larga cicatrice verticale. Un intervento su un labbro leporino, pensai. O forse, a giudicare dalla pelle rattoppata e ricostruita, qualcuno gli aveva spaccato in faccia una bottiglia.
«Routine?» echeggiai, evidentemente incredulo. «A quest’ora della sera? Non mi dica che ho lasciato scadere la patente.»
«No, signore, non si tratta della sua patente. Stiamo indagando su un certo dottor Lawrence Pettifer dell’università di Bath.»
Mi concessi una pausa, seguita da un’espressione fra il divertito e l’irritato. «Vuol dire Larry? Oh, mio Dio. Che cosa ha combinato stavolta?» E avendo unicamente ottenuto in risposta uno sguardo vitreo, aggiunsi: «Niente di male, mi auguro».
«Ci hanno detto che lei è un conoscente del dottore, per non dire un amico intimo. O non è esatto?»
È fin troppo esatto, pensai.
«Intimo?» ripetei, come se il concetto di familiarità mi fosse nuovo. «Non penso che mi sarei mai spinto a tanto.»
Porgendomi all’unisono i cappotti mi guardarono mentre li appendevo, poi tornarono a guardarmi mentre aprivo loro la porta interna. A questo punto quasi tutte le persone che vengono per la prima volta a Honeybrook sostano un istante, rispettose alla vista della balconata per i menestrelli, del grande camino, dei ritratti e del soffitto a botte con lo stemma di famiglia. Ma non il baffuto. E neanche quello con la testa come una bara che, avendo fino a quel momento seguito con aria lugubre la conversazione standosene dietro al collega più anziano, decise infine di rivolgermi la parola con tono uniforme e sgarbato:
«Sappiamo che Pettifer e lei eravate degli amiconi» obiettò. «Winchester College, ci hanno detto; nientemeno. Compagni di scuola.»
«C’erano tre anni fra noi. Il che a scuola è una vita.»
«Tuttavia negli ambienti delle scuole private, così ci dicono, cose del genere creano un legame. Per di più» aggiunse in tono accusatore «avete studiato insieme a Oxford.»
«Che cosa è successo a Larry?» chiesi.
A questa domanda reagirono entrambi con un mutismo insolente. Avevano l’aria di chiedersi se meritassi una risposta. Toccò al più anziano, in qualità di portavoce ufficiale, il compito di replicare. La sua tecnica, decisi, consisteva nel fare l’imitazione di se stesso. E al rallentatore.
«Sì, be’, per dire la verità, signor Cranmer, il suo amico dottore è un tantino scomparso, ecco, signore» confessò nei toni di un riluttante ispettore Plod. «Non si sospetta nulla di losco, almeno non per ora. Tuttavia è scomparso da casa e anche dal lavoro. E da quel che possiamo valutare» (quanto gli piacesse questa parola lo rivelava il suo cipiglio) «non ha scritto nessun biglietto d’addio. A meno che, naturalmente, non ne abbia scritto uno a lei. Non è che per caso si trovi qui, signore? Di sopra, per così dire a dormirci su?»
«Certo che no. Non sia ridicolo.»
I suoi baffi sfregiati si aprirono all’improvviso, rivelando collera e denti guasti. «Oh. E perché mai sarei ridicolo, signor Cranmer?»
«Glielo avrei detto subito. Le avrei detto: è di sopra. Perché dovrei sprecare il suo tempo e il mio fingendo che non ci sia, se invece è qui?»
Non rispose neppure stavolta. Era abile, in questo. Cominciai a pensare che lo fosse anche in altre cose. Avevo sui poliziotti certi pregiudizi di cui stavo cercando di liberarmi, e lui invece ci giocava a bella posta. Era in parte una questione di classe sociale, e in parte frutto di un atteggiamento tipico nella mia vecchia professione, così che costoro venivano considerati alla stregua di parenti poveri. E poi c’era Larry che si agitava dentro di me perché, come dicevamo sempre nel Servizio, bastava che lui capitasse nello stesso quartiere dove si trovava anche un poliziotto perché venisse arrestato con l’accusa di averlo ostacolato nell’esercizio delle sue pubbliche funzioni.
«Solo che, vede, signore, non risulta che il dottore abbia una moglie, né una compagna o qualche altro legame importante, nulla» si stava lamentando il baffuto. «Ha molto successo con gli studenti, che lo considerano un tipo curioso, ma quando si chiede di lui ai colleghi in sala professori, ci si trova davanti a quello che chiamo “un muro”, non so se di disprezzo o di invidia.»
«È uno spirito libero» dissi. «E gli accademici non ci sono abituati.»
«Prego, signore?»
«È abituato a dire ciò che pensa. In particolare del mondo accademico.»
«Del quale, peraltro, il dottore risulta fare parte» obiettò il baffuto, inarcando le sopracciglia con arroganza.
«Era figlio di un parroco» dissi senza riflettere.
«Era, signore?»
«Era. Suo padre è morto.»
«Ma lui è sempre figlio di suo padre, signore» disse il baffuto in tono di rimprovero.
Cominciava a offendermi, quel tono fintamente mellifluo. Lei pensa che noi sbirri ignoranti siamo fatti per forza così, mi stava dicendo, e quindi eccomi così.
Per arrivare nello studio bisognava percorrere un lungo corridoio alle cui pareti erano appesi acquerelli ottocenteschi. Feci strada, ascoltando il rumore delle loro scarpe dietro di me. Erano arrivati mentre stavo ascoltando Šostakovič, ma senza troppa convinzione. Spensi lo stereo e, in segno di ospitalità, versai tre bicchieri del nostro Honeybrook Rouge ’93. Il baffuto mormorò «Alla salute», bevve e disse che era incredibile pensare che fosse stato prodotto proprio in questa casa; se così si può dire, signore. Il suo ossuto assistente invece alzò il bicchiere davanti al fuoco esaminandone il colore. Poi vi infilò il lungo naso per annusare. Infine lo assaggiò con fare da esperto, tenendolo in bocca mentre guardava il piccolo ed elegante pianoforte Bechstein che nella mia follia avevo comprato a Emma.
«Sbaglio o c’è anche un pizzico di Pinot?» domandò. «In ogni caso, c’è un po’ troppo tannino.»
«È un Pinot» ribattei digrignando i denti.
«Non sapevo che un Pinot potesse maturare in Inghilterra.»
«Non può, infatti. Se non in una posizione eccezionale.»
«E questa è eccezionale?»
«No.»
«Allora perché lo coltiva?»
«Io non lo coltivo. Ma il mio predecessore sì. Un ottimista incorreggibile.»
«Perché dice così?»
Cercai di dominarmi. A fatica. «Le ragioni sono tante. Il terreno è troppo ricco, trattiene l’acqua ed è troppo al disopra del livello del mare. Mio zio aveva deciso di ignorare tali inconvenienti. E mentre, a differenza del ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA PASSIONE DEL SUO TEMPO
  4. Informazioni storiche e sui Servizi Segreti. a cura di Paolo Bertinetti
  5. Copyright