Ferragus
eBook - ePub

Ferragus

capo dei Devorants

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ferragus

capo dei Devorants

Informazioni su questo libro

Protagonista del romanzo, il primo che compone la trilogia de La storia dei tredici, è il barone de Malincour che, in cerca di Clémence, la donna da lui amata, crede di scoprire un losco legame fra costei e un pezzente di nome Ferragus. Ma la vera identità dell'uomo sfugge a tutti... Capolavoro narrativo e stilistico, Ferragus è uno dei più affascinanti e accesi romanzi usciti dalla penna geniale di Balzac.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804490722
eBook ISBN
9788852064104

FERRAGUS, CAPO DEI DÉVORANTS

A Hector Berlioz1
Vi sono a Parigi certe vie disonorate quanto può esserlo un uomo macchiato d’infamia; ed esistono vie nobili, e vie semplicemente oneste, e giovani vie sulla cui moralità il pubblico non si è ancora pronunciato; vi sono vie assassine, vie più vecchie di quanto non sia vecchia una vecchia matrona, vie stimabili, vie sempre pulite, vie sempre sporche, vie operaie, lavoratrici, mercantili. Insomma, le vie di Parigi hanno qualità umane, ed imprimono in noi con la loro fisionomia certe idee da cui non possiamo difenderci. Vi sono vie dall’aspetto equivoco dove non vorreste abitare, e vie dove situereste di buon grado la vostra dimora. Alcune, come rue Montmartre, hanno una bella testa e finiscono a coda di pesce.2 Rue de la Paix è una via larga, una grande via;3 ma non risveglia nessuno dei pensieri graziosamente nobili che colgono un animo sensibile lungo rue Royale4 e manca certo della maestosità che regna in place Vendôme. Se ve ne andate a passeggio per le vie dell’Île Saint-Louis, a spiegare la tristezza che s’impadronisce di voi bastano la solitudine, l’aria tetra delle case e delle grandi dimore deserte. Quest’isola, che ricorda i fasti degli appaltatori generali5 d’un tempo, è quasi la Venezia di Parigi. Place de la Bourse è chiacchierona, intraprendente, sgualdrina; è bella solo col chiaro di luna, alle due di mattina: di giorno, è un riassunto di Parigi; di notte, fa sognare la Grecia.6 Rue Traversière-Saint-Honoré7 non è forse una via infame? Vi sorgono losche casupole con due finestre per piano e vi fermentano di piano in piano i vizi, i delitti, la miseria. I vicoli esposti a settentrione, dove il sole non arriva che tre o quattro volte l’anno, sono vie assassine che uccidono impunemente; la Giustizia odierna non se ne cura; ma un tempo forse il Parlamento avrebbe mandato a chiamare il luogotenente di polizia del quartiere per biasimarlo solennemente, e avrebbe almeno pronunciato una sentenza contro la via, come fece un tempo contro le parrucche del capitolo di Beauvais.8 Eppure Benoiston de Châteauneuf ha dimostrato che in quelle vie la mortalità è superiore del doppio a quella delle altre.9 Per riassumere tali idee con un esempio, nella rue Fromenteau10 non regnano insieme il delitto e il malaffare? Queste osservazioni, incomprensibili fuori di Parigi, saranno certo comprese da quegli studiosi, pensatori, poeti e gaudenti che sanno raccogliere, gironzolando per la città, tutti i piaceri che vagano continuamente tra le sue mura; per loro, Parigi è il più delizioso dei mostri: là, bella donna; più in là, vecchia e povera; qui, nuova nuova come la moneta di un nuovo regno; in quell’angolo, elegante come una signora alla moda. Mostro a cui non manca nulla, d’altronde!11 Le sue soffitte, quasi una testa colma di scienza e di genialità; i primi piani, stomaci beati; i negozi, autentici piedi: partono di là tutti i galoppini, tutti i faccendieri. E che vita sempre attiva ha il mostro! Appena cessa nel suo cuore l’ultimo guizzo delle carrozze di ritorno dai balli, già lungo la cinta delle mura cominciano ad agitarsi le braccia, già il corpo si scuote lentamente. Tutte le porte si schiudono, girano sui cardini, come le membrane di un’immensa aragosta, manovrate invisibilmente da trentamila uomini o donne, di cui ciascuno o ciascuna vive nello spazio di due metri quadrati, dove possiede una cucina, un laboratorio, un letto, dei bambini, un giardino, e non ci vede chiaro, e deve veder tutto. Insensibilmente, le articolazioni scricchiolano, il moto si propaga, la via parla. A mezzogiorno, tutto è vivo, i camini fumano, il mostro mangia, poi ruggisce, poi agita le sue mille zampe. Che bello spettacolo! Ma, o Parigi! Chi non ha ammirato i tuoi cupi paesaggi, i tuoi sprazzi di luce, i tuoi vicoli ciechi profondi e silenziosi; chi non ha udito i tuoi mormorii tra mezzanotte e le due di mattina, non sa ancora nulla della tua vera poesia, né dei tuoi ampi e strani contrasti. Sono ben pochi quelli che conoscono Parigi a fondo, che non camminano mai da scervellati, che l’assaporano, che sono padroni della sua fisionomia così bene da scorgervi una verruca, una bollicina, un arrossamento. Per gli altri, Parigi è sempre quella mostruosa meraviglia, stupefacente insieme di movimenti, macchine e pensieri, la città dai centomila romanzi, la testa del mondo. Ma per i primi, Parigi è triste o allegra, brutta o bella, viva o morta; per loro, Parigi è una creatura; ogni abitante, ogni frazione di casa è un lobo del tessuto cellulare di quella grande cortigiana di cui essi conoscono a perfezione la testa, il cuore, i costumi estrosi. Son questi, dunque, gli amanti di Parigi: alzano il naso sull’angolo di una certa strada, sicuri di trovarvi il quadrante di un orologio; dicono a un amico la cui tabacchiera è vuota: «Prendi per quella galleria, c’è una tabaccheria accanto a un pasticcere che ha una bella moglie». Viaggiare entro Parigi è, per quei poeti, un lusso costoso. Come non sprecare qualche minuto davanti ai drammi, i disastri, le figure, gli incidenti pittoreschi che ci assalgono in mezzo a quest’agitata regina delle città, rivestita di manifesti, in cui non troveresti nemmeno un angolo pulito, tanto si mostra compiacente con i vizi della nazione francese? A chi non è accaduto di uscire di casa al mattino per recarsi alla periferia di Parigi, senza riuscire ad allontanarsi dal centro fino all’ora di cena? Costoro sapranno perdonarmi questo inizio vagabondo che tuttavia si riassume in una osservazione eminentemente utile e nuova, per quanto possa essere nuova un’osservazione a Parigi, dove di nuovo non c’è niente, nemmeno il monumento inaugurato ieri su cui un monello ha già scarabocchiato il proprio nome. Sì, dunque, vi sono vie, o estremità di vie, vi sono certe case, sconosciute per lo più alle persone della buona società, dove una donna che appartenga a questa società non potrebbe andare senza far pensare di sé le cose più crudelmente offensive. Se questa donna è ricca, se ha carrozza e cavalli, e invece si trova a piedi o velata in una di queste gole del paesaggio parigino, la sua reputazione di donna onesta è già compromessa. Ma se per caso ella vi si è recata alle nove di sera, le congetture che può permettersi un osservatore diventano spaventose per le loro conseguenze. Infine, se la donna è giovane e graziosa, se entra in qualche casa di una di quelle vie; se la casa ha un ingresso lungo e buio, umido e maleodorante; se in fondo all’ingresso tremola il pallido bagliore d’una lampada alla cui luce s’intravede l’orribile faccia di una vecchia dalle dita scarnite; in verità – diciamolo pure, per l’interesse che portiamo alle donne giovani e graziose – quella donna è perduta. È alla mercé del primo uomo di sua conoscenza che l’incontri in uno di quei pantani parigini. Ma vi è a Parigi una certa strada dove un tale incontro può diventare il dramma più orrendamente sinistro, un dramma pieno di sangue e d’amore, un dramma della scuola moderna. Disgraziatamente, la drammaticità della situazione sarà, come nel dramma moderno, compresa solo da pochi; ed è un gran peccato raccontare una storia a un pubblico che non ne afferri quanto è dovuto ai luoghi. Ma chi può lusingarsi di essere compreso? Moriamo tutti incompresi. È il detto delle donne e quello degli scrittori.
Siamo alle otto e mezzo di sera, in rue Pagevin, al tempo in cui questa via non aveva nemmeno un muro che non echeggiasse una parola infame, e nelle vicinanze di rue Soly, la più stretta e la meno praticabile di tutte le vie di Parigi,12 non escluso l’angolo più frequentato della via più deserta; ai primi di febbraio, circa tredici anni fa,13 un giovane, per uno di quei casi che non capitano due volte in una vita, girava, camminando, l’angolo di rue Pagevin per imboccare rue des Vieux-Augustins, sulla destra, dove precisamente termina rue Soly. A questo punto il giovane, che abitava in rue de Bourbon,14 si accorse che la donna dietro cui camminava senza badarvi rassomigliava vagamente alla più bella signora di Parigi, una casta e deliziosa creatura di cui era appassionatamente innamorato in segreto, e innamorato senza speranza: era maritata. In quel momento ebbe un tuffo al cuore, un calore insopportabile, sorgendo dal diaframma, gli percorse ogni vena, sentì freddo alla schiena e la sua testa fu sfiorata da un tremito. Amava, era giovane, conosceva Parigi; e la sua perspicacia non gli permetteva d’ignorare quanto fosse vergognoso, per una donna elegante, ricca, giovane e bella, passeggiare in quel luogo con piede criminalmente furtivo. Lei, in quel sudiciume, a una simile ora! L’amore di quel giovane per quella donna potrà sembrare molto romantico, tanto più se si pensa ch’egli era un ufficiale della guardia del re. Fosse stato di fanteria, la cosa sarebbe ancora verosimile; ma, come ufficiale superiore di cavalleria, apparteneva all’arma francese che pretende per sé le più rapide conquiste e mena vanto dei suoi costumi amorosi come della sua divisa. Tuttavia la passione di quell’ufficiale era una passione vera e molti giovani cuori ne comprenderanno la grandezza. Amava quella donna perché era virtuosa, ne amava la virtù, la grazia piena di decenza, l’intimidente santità, come i più cari tesori della sua passione ignorata. E quella donna era davvero degna d’ispirare uno di quei sentimenti platonici che s’incontrano come fiori tra le rovine sanguinose nella storia del Medioevo; degna di essere la spinta segreta di tutte le azioni di un uomo giovane; degna di un amore alto e puro come il cielo quando è azzurro: amore senza speranza che ci lega a sé perché non delude mai; amore prodigo di godimenti sublimi, specialmente nell’età in cui il cuore è ardente, l’immaginazione incisiva, e gli occhi di un uomo vedono chiaro. Le notti di Parigi producono a volte effetti strani, singolari, inconcepibili. Solo chi ha preso piacere a osservarli può sapere quale aspetto fantastico assuma la donna sull’imbrunire. A volte la creatura che seguite, per caso o a bella posta, vi appare più snella; a volte la calza, se è molto chiara, vi fa immaginare una gamba elegante e sottile; o la vita, sebbene avvolta in una pelliccia o in uno scialle, si rivela giovane e voluttuosa nell’ombra; infine il chiarore incerto di un negozio o di un lampione dànno alla sconosciuta uno splendore fuggevole, quasi sempre fallace, che risveglia, accende l’immaginazione e la lancia al di là del vero. Allora si scuotono i sensi, tutto si colora e si anima; la donna prende un aspetto completamente nuovo; il suo corpo si fa più bello; talvolta non è più una donna, è un demone, è un fuoco fatuo che vi trascina grazie a un ardente magnetismo15 fino all’onesta dimora dove la povera borghese, atterrita dal vostro passo minaccioso o dai vostri stivali risuonanti, vi chiude la porta in faccia senza neppure guardarvi. Il vacillante chiarore proiettato dalla bottega d’un ciabattino illuminò all’improvviso, esattamente sull’arco delle reni, la donna che camminava davanti al giovane. Ah! certo lei sola aveva quelle reni falcate! Lei sola sapeva il segreto di quella casta andatura che mette innocentemente in rilievo le forme più attraenti. Quello era il suo scialle da mattina, quello il cappellino di velluto da mattina. Sulle calze di seta grigia non la minima macchia, sulle scarpe non uno schizzo di fango. Lo scialle aderiva al busto, ne disegnava vagamente i deliziosi contorni, e il giovane, avendo visto al ballo le candide spalle di lei, sapeva quali tesori coprisse quello scialle. Dal modo in cui una parigina si avvolge strettamente nello scialle, dal modo in cui alza il piede per via, un uomo di spirito indovina il segreto della sua uscita misteriosa. Vi è un non so che di fremente, di lieve nella sua persona e nel suo passo: la donna sembra pesare meno, e va, va, o meglio fila come una stella, vola, trasportata da un pensiero tradito dalle pieghe e dai guizzi della veste.16 Il giovane affrettò il passo, superò la donna, si voltò per vederla… Frt! era scomparsa in un androne la cui porta traforata sbatteva mentre il campanello squillava ancora. Il giovane tornò indietro e vide, in fondo al corridoio, quella donna salire, non senza ricevere il saluto ossequioso di una vecchia portinaia, per una scala tortuosa i cui primi gradini erano vivamente illuminati; e la signora saliva agile, lesta, come deve fare una donna impaziente.
“Impaziente di che?” si chiese il giovane indietreggiando per appoggiarsi con le spalle al muro dall’altra parte della via. E prese a scrutare, l’infelice, tutti i piani della casa con l’attenzione di un poliziotto che cerchi un cospiratore.
Era una di quelle case come a Parigi ve ne sono a migliaia, casa ignobile, volgare, stretta, di colore giallastro, con quattro piani di tre finestre ciascuno. La bottega e il mezzanino appartenevano al ciabattino. Le persiane del primo piano erano chiuse. Dove andava la signora? Al giovane parve di udire il tintinnio di un campanello dall’appartamento del secondo. Effettivamente una lampada si agitò in una stanza dalle due finestre molto illuminate e a un tratto la luce passò nella terza, la cui oscurità faceva intuire una prima camera, probabilmente un salotto o una stanza da pranzo. Subito si disegnò vagamente il profilo di un cappello da donna, la porta si chiuse, la prima stanza ridiventò buia, poi le due ultime finestre ripresero un colore rossastro. A questo punto il giovane sentì dire: «Attento!» e ricevette un colpo su una spalla.
«Ma insomma, fate almeno un po’ d’attenzione!» disse un vocione. Era la voce di un operaio che portava una lunga tavola appoggiata al dorso. E l’operaio passò oltre: era forse stato inviato dalla Provvidenza, per dire a quel curioso: «Di che t’immischi? Pensa al tuo servizio, e lascia i parigini alle loro piccole faccende».
Il giovane incrociò le braccia; poi, non visto da alcuno, lasciò colare lungo le guance lacrime di rabbia che non si curò di asciugare. Infine, non sopportando più di guardare le ombre che si agitavano dietro quelle due finestre, volse lo sguardo per caso verso la parte superiore di rue des Vieux-Augustins, e vide una carrozza da nolo ferma lungo un muro, in un punto dove non c’era né la porta di una casa né il lume di un negozio.
È lei? Non è lei? La vita o la morte per un innamorato. E questo innamorato aspettava. Restò là per un secolo di venti minuti. Poi la donna discese ed egli riconobbe quella che amava segretamente. Tuttavia s’impose di dubitare ancora. La sconosciuta si avviò verso la carrozza e vi salì.
“La casa rimarrà qui, potrò sempre frugarla” si disse il giovane, seguendo la carrozza in corsa per dissipare gli ultimi dubbi; e presto non gliene rimasero più.
La vettura si fermò in rue Richelieu, davanti a un negozio di fiori, nei pressi di rue de Ménars.17 La signora discese, entrò nella bottega, mandò al cocchiere il denaro dovuto, e uscì dopo avere scelto ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. «La città-romanzo in Balzac» di Italo Calvino
  4. Cronologia della vita e delle opere principali
  5. Bibliografia essenziale
  6. FERRAGUS, CAPO DEI DÉVORANTS
  7. Postfazione
  8. Note a cura di Claudia Moro
  9. Copyright