La mattina dopo il cielo era grigio e la pioggia tambureggiava contro le grandi finestre del salone della villa. Maria Kaltenbach sedeva al lungo tavolo da pranzo nascosta dietro il giornale.
All’altro capo Mika, immersa nei suoi pensieri, cercava di ammorbidire nel latte un cornetto duro come un sasso e intanto osservava il brutto tempo. Sentiva ancora nelle ossa la notte passata. Non era quasi riuscita a chiudere occhio: ogni volta che cercava di farlo, rivedeva le immagini sconfortanti della stalla dell’ungherese. Aveva pensato a Milan e alla sua lotta disperata per 33 e…
«Buongiorno» squillò in quel momento una voce, e Fanny si lasciò cadere accanto a Mika.
«Buongiorno» arrivò un mormorio da dietro il giornale. Mika scoccò a Fanny un’occhiata interrogativa.
«E allora?» articolò silenziosamente con la bocca. Fanny sussurrò di rimando: «Credo che non si sia fatto vivo, ma è possibile che ci siamo appisolati un attimo».
Vedendo l’amica sbadigliare e intanto occhieggiare diffidente il cestino del pane, Mika sorrise dentro di sé. «Sembra perfettamente innocua, finché non la metti tra i denti» sibilò Fanny prendendo una cosa che con molta fantasia poteva sembrare una ciambella. «E tu? Incubi?»
Mika scosse il capo. «No.»
Si sentiva a disagio a non raccontare a Fanny della notte passata, ma lo aveva promesso a Milan e lei manteneva le sue promesse, anche quando era difficile.
Fanny addentò coraggiosamente la ciambella, che scricchiolò così forte che le due amiche non poterono fare a meno di ridere. «Ahia!»
Si tenne la guancia. «Per fortuna non ho più i denti da latte.» Ma la risatina si spense quando a un tratto di fronte a loro il giornale si abbassò facendole ammutolire.
«Ragazze» esordì Maria Kaltenbach ripiegando decisa il quotidiano. «Visto il tempo inclemente di oggi, propongo di sospendere l’allenamento e di concederci invece una bella gita. Una specie di escursione, per così dire.» Le guardò in attesa di una risposta.
Le amiche la guardarono aspettando chiarimenti.
Dopo un po’ Fanny osò chiedere: «Ehm… e dove andiamo?».
Maria sbatté gli occhi irritata. «Ah, giusto. Ovvio. Al CHIO.»
Fanny e Mika si scambiarono un’occhiata confusa. «E chi sarebbe questo Chio?»
«Significa Concours Hippique International Officiel» spiegò Maria Kaltenbach con un sorriso benevolo. «E allora? Che ne dite?»
In realtà dal chiarimento le ragazze non avevano capito molto di più.
«Ecco, sembra davvero interessante, ma volevo…» balbettò Fanny «… cioè, devo assolutamente cominciare le mie ricerche per l’articolo del concorso. Deve essere pronto per la settimana prossima e non ho nessuna buona… Ahia! Ehi!»
Sotto il tavolo Mika le aveva appioppato un calcione negli stinchi, ma era troppo tardi.
«Spiacevole ma comprensibile» concluse Maria, che subito si voltò entusiasta verso la nipote. «Allora andremo soltanto noi due! E tu avrai l’occasione di conoscere di persona la crème de la crème dell’equitazione!»
«Ecco, veramente…» tergiversò Mika cercando freneticamente una scusa. Ma con la mente la nonna era già in viaggio.
«Ottimo, allora adesso finite pure tranquille la colazione e ci rivediamo alla macchina tra cinque minuti.» E con questo si alzò, posò il giornale vicino al piatto e uscì dalla stanza.
Fanny rivolse a Mika uno sguardo di scusa. «Mi dispiace, ma con tutta la buona volontà… e comunque la cosa dell’articolo è vera!» concluse mortificata.
«Sì, sì, d’accordo. Non sono stata abbastanza svelta, tutto qui» sospirò Mika che stava per alzarsi quando le cadde l’occhio sul giornale che la nonna aveva letto con tanto interesse. «Il campione di salto ostacoli alla sua esibizione di addio: Hanns de Burgh per l’ultima volta al chio di Aquisgrana.»
Poco dopo Fanny sedeva in camera di Mika davanti a uno schermo bianco e guardava fuori dalla finestra in cerca d’ispirazione. Come doveva iniziare il suo articolo? E di che cosa doveva parlare?
Provò a digitare: «Due settimane di cacca». Mmm… no, non sembrava particolarmente allettante. Con un sospiro cancellò il titolo. Poi riprese a guardare pensierosa fuori dalla finestra. Di sicuro sarebbe successo qualcosa. Invece vide solo Mika uscire dalla casa, guardarsi attorno e poi dirigersi a passo deciso verso Tinka, che stava uscendo dalla selleria.
Mika si affrettò a raggiungere la bambina, che issava sulla bicicletta il suo bauletto delle spazzole e stava per inforcare il sellino.
«Tinka! Aspetta!»
Tinka si fermò. «Sì?»
Mika esitò. Non sapeva bene come cominciare. «Ecco… tuo padre è veterinario e tu sai un mucchio di cose sui cavalli. E io… cioè… avrei bisogno di un consiglio, ma solo teorico. Il fatto è che ho un… cugino, che ha un’amica la cui zia ha un cavallo malato.»
«Che cos’ha?» Negli occhi di Tinka si era acceso un lampo di interesse. A quanto pareva non aveva la minima difficoltà a tener dietro a quei complicati rapporti di parentela.
«Ha una grossa ferita sulla pancia.»
«Quanto grossa? In teoria?» chiese Tinka. Mika le mostrò con le mani una superficie grande più o meno come un pallone da calcio. «In teoria più o meno così.»
Tinka annuì pensierosa. «Si è infettata? Cioè, ha suppurato oppure – teoricamente – dentro ci sono già uova di mosca? O addirittura piccole larve?»
Mika assentì angosciata. «Allora, che cosa può fare mio cugino?»
Il viso di Tinka si oscurò. «Può dire alla sua amica di dire alla zia che il cavallo deve essere visto al più presto da un veterinario.»
«E se teoricamente la cosa fosse impossibile? Di che genere di farmaci avrebbe bisogno… ehm… la zia?»
Tinka scrutò a lungo l’amica, poi girò sui tacchi. «È difficile da spiegare. Vieni, ti faccio vedere.»
Nel deposito foraggi andò dritta al grande armadio di metallo. Sam aveva applicato un nuovo lucchetto, più grosso, e Tinka si accinse ad aprirlo. «2-6-0-4» pronunciò la combinazione a voce volutamente alta.
Stava per aprire lo sportello quando Mika le bloccò la mano. «Ehm, un attimo…» disse scuotendo l’armadietto con cautela. Dentro si sentì lo schiocco maligno di due trappole per topi che scattavano contemporaneamente.
Tinka guardò Mika confusa. «Topi nell’armadietto dei farmaci?»
Mika annuì grave. «Ratti. Probabilmente in cerca di droghe.»
La bambina si strinse nelle spalle, aprì lo sportello e con mossa esperta tirò fuori una scatola dietro l’altra.
«Innanzitutto Ivermectin contro le infestazioni parassitarie.» A seguire sparò le altre istruzioni una dopo l’altra come una raffica di mitragliatrice: «Questa per disinfettare la ferita, con cura e una volta ogni ora. Poi ci vuole assolutamente un vermifugo, va bene questa pasta. E vitamine! Questa è una cura ricostituente per il sistema immunitario, bisogna fare un’iniezione al giorno per una settimana. Va da sé che ci vogliono anche degli antibiotici, ma quelli può prescriverli solo un veterinario».
Tinka fece una breve pausa per riprendere fiato e Mika si sentì quasi girare la testa, mentre cercava di memorizzare confezioni e dosaggi.
«Naturalmente tutto questo soltanto in linea teorica, perché in realtà il cavallo deve essere visto da un veterinario!» insistette Tinka.
In quel momento il fuoristrada della tenuta si fermò davanti alla scuderia e il clacson suonò impaziente. Mika scoccò un’ultima occhiata ai farmaci nella mano di Tinka. «Naturalmente! Grazie! Lo dirò a mia cugina!» disse in fretta e poi scappò via.
Tinka rimase a guardarla.
«In realtà doveva essere un cugino, ma anche lui è soltanto teorico.»
La Nona sinfonia di Beethoven rimbombava con tale violenza dall’autoradio che Mika non riusciva quasi a sentire i propri pensieri. Accanto a lei, sua nonna seguiva ondeggiando il ritmo della musica, felice alla prospettiva del grande concorso che l’aspettava. Frustrata, Mika guardava fuori dal finestrino i nuvoloni grigi che inondavano di pioggia i prati verdi.
Uff, ma proprio quel giorno dovevano andare a quel noiosissimo concorso? Perché sua nonna non voleva capire che a Mika non interessava cavalcare in quel modo?
Purtroppo, però, quella di capire le persone diverse da lei non rientrava tra le qualità principali di sua nonna.
Mika sospirò. Chissà che cosa stava facendo Milan in quel momento? La sera prima aveva avuto guai? Sarebbe riuscita a ritrovare da sola la strada per la fattoria dell’ungherese?
Perché anche se quello era l’ultimo posto in cui Mika sarebbe voluta andare, lo aveva promesso a 33, e sarebbe tornata.
«Sarà un’esperienza unica!» commentò la nonna quando Beethoven concesse loro una breve pausa per rifiatare.
«Mmm…» annuì Mika in modo vago. Poi le venne in mente una cosa. «Nonna, chi sarebbe esattamente questo ungherese?»
Al sentire quel nome, Maria la guardò sorpresa e senza volerlo rallentò. Dietro di loro qualcuno suonò il clacson e lei si affrettò a premere nuovamente il pedale dell’acceleratore con un’espressione dura negli occhi. «L’ungherese è un capitolo triste dello sport equestre, anche se purtroppo non sempre lo si può evitare» disse seria, e parve voler chiudere così la questione.
Mika però insistette: «Ma non è per davvero un ungherese, giusto?».
Maria scosse bruscamente il capo. «No, quello è solo il suo soprannome, un soprannome molto infelice. Gli ungheresi amano i cavalli» spiegò secca, «invece il signor Ungar…»
Non concluse la frase, ma Mika non desistette. «E che cosa fa dei cavalli che gli vendono? Che cosa sarebbe successo a Windstorm?»
La voce di Mika era aspra. L’idea di Windstorm nella stalla dell’ungherese le era insopportabile.
Ma per Maria l’argomento era chiuso. «Meno ne sai di quell’uomo, meglio è» concluse decisa. E con ciò ruotò la manopola del volume della radio, finché le parole dell’Inno alla gioia resero impossibile ogni ulteriore domanda.
Quando Maria Kaltenbach diresse la sua macchina nel grande parcheggio, la “Festa internazionale dello sport equestre”, come annunciava l’immenso striscione steso sopra l’ingresso, era già in pieno svolgimento.
Vedendo la folla che si aggirava lì intorno, Mika gemette dentro di sé. «Vi diamo un caloroso benvenuto al Gran Premio di Aquisgrana, cari amici dei cavalli, e vi invitiamo a prendere posto. Siete pregati di non utilizzare il flash del vostro apparecchio fotografico!» rombava la voce all’altoparlante.
Mika faceva quasi fatica a tenere dietro al passo della nonna, che nonostante l’anca fuori uso serpeggiava tra la calca con una velocità sorprendente.
Per fortuna non andò a ingrossare la fila interminabile davanti all’ingresso principale, ma si...