Lettera a una professoressa
eBook - ePub

Lettera a una professoressa

  1. 200 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Lettera a una professoressa

Informazioni su questo libro

Manifesto che ha reso celebre in tutto il mondo don Milani e la scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa ha lasciato segni profondi nella cultura e nella società, nonostante travisamenti e strumentalizzazioni. Frutto di una scrittura collettiva sostenuta da un imponente lavoro preparatorio e di cesello linguistico, questo libro-icona rivendica il diritto allo studio di fronte a una realtà scolastica che riproduceva ferocemente le diseguaglianze sociali. E ancora oggi rivolge alla classe docente il suo appassionato appello morale e civile, il rivoluzionario messaggio di un sacerdote convinto che un maestro amante del vero e del giusto può cambiare il mondo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
Print ISBN
9788804683926
eBook ISBN
9788852081538
Argomento
Storia
Parte prima

LA SCUOLA DELL’OBBLIGO NON PUÒ BOCCIARE

Cara signora,
lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti.
Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete».
Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.
la timidezza
Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva.
Del resto la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto.
Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla.
Più tardi ho creduto che la timidezza fosse il male dei montanari. I contadini del piano mi parevano sicuri di sé. Gli operai poi non se ne parla.
Ora ho visto che gli operai lasciano ai figli di papà tutti i posti di responsabilità nei partiti e tutti i seggi in parlamento.
Dunque son come noi. E la timidezza dei poveri è un mistero più antico. Non glielo so spiegare io che ci son dentro. Forse non è né viltà né eroismo. È solo mancanza di prepotenza.

I MONTANARI

la pluriclasse
Alle elementari lo Stato mi offrì una scuola di seconda categoria. Cinque classi in un’aula sola. Un quinto della scuola cui avevo diritto.
È il sistema che adoprano in America per creare le differenze tra bianchi e neri. Scuola peggiore ai poveri fin da piccini.
scuola dell’obbligo
Finite le elementari avevo diritto a altri tre anni di scuola. Anzi la Costituzione dice che avevo l’obbligo di andarci. Ma a Vicchio non c’era ancora scuola media. Andare a Borgo era un’impresa. Chi ci s’era provato aveva speso un monte di soldi e poi era stato respinto come un cane.
Ai miei poi la maestra aveva detto che non sprecassero soldi: «Mandatelo nel campo. Non è adatto per studiare».
Il babbo non le rispose. Dentro di sé pensava: «Se si stesse di casa a Barbiana sarebbe adatto».
Barbiana
A Barbiana tutti i ragazzi andavano a scuola dal prete. Dalla mattina presto fino a buio, estate e inverno. Nessuno era «negato per gli studi».
Ma noi eravamo di un altro popolo e lontani. Il babbo stava per arrendersi. Poi seppe che ci andava anche un ragazzo di S. Martino. Allora si fece coraggio e andò a sentire.
il bosco
Quando tornò vidi che m’aveva comprato una pila per la sera, un gavettino per la minestra e gli stivaloni di gomma per la neve.
Il primo giorno mi accompagnò lui. Ci si mise due ore perché ci facevamo strada col pennato e la falce. Poi imparai a farcela in poco più di un’ora.
Passavo vicino a due case sole. Coi vetri rotti, abbandonate da poco. A tratti mi mettevo a correre per una vipera o per un pazzo che viveva solo alla Rocca e mi gridava di lontano.
Avevo undici anni. Lei sarebbe morta di paura. Vede? ognuno ha le sue timidezze. Siamo pari dunque.
Ma solo se ognuno sta a casa sua. O se lei avesse bisogno di dar gli esami da noi. Ma lei non ne ha bisogno.
i tavoli
Barbiana, quando arrivai, non mi sembrò una scuola. Né cattedra, né lavagna, né banchi. Solo grandi tavoli intorno a cui si faceva scuola e si mangiava.
D’ogni libro c’era una copia sola. I ragazzi gli si stringevano sopra. Si faceva fatica a accorgersi che uno era un po’ più grande e insegnava.
Il più vecchio di quei maestri aveva sedici anni. Il più piccolo dodici e mi riempiva di ammirazione. Decisi fin dal primo giorno che avrei insegnato anch’io.
il preferito
La vita era dura anche lassù. Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare.
Però chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finché non aveva capito, gli altri non andavano avanti.
la ricreazione
Non c’era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica.
Nessuno di noi se ne dava gran pensiero perché il lavoro è peggio. Ma ogni borghese che capitava a visitarci faceva una polemica su questo punto.
Un professorone disse: «Lei reverendo non ha studiato pedagogia. Polianski dice che lo sport è per il ragazzo una necessità fisiopsico...».a
Parlava senza guardarci. Chi insegna pedagogia all’Università, i ragazzi non ha bisogno di guardarli. Li sa tutti a mente come noi si sa le tabelline.
Finalmente andò via e Lucio che aveva 36 mucche nella stalla disse: «La scuola sarà sempre meglio della merda».
i contadini nel mondo
Questa frase va scolpita sulla porta delle vostre scuole. Milioni di ragazzi contadini son pronti a sottoscriverla.
Che i ragazzi odiano la scuola e amano il gioco lo dite voi. Noi contadini non ci avete interrogati. Ma siamo un miliardo e novecento milioni.b Sei ragazzi su dieci la pensano esattamente come Lucio. Degli altri quattro non si sa.
Tutta la vostra cultura è costruita così. Come se il mondo foste voi.
ragazzi maestri
L’anno dopo ero maestro. Cioè lo ero tre mezze giornate la settimana. Insegnavo geografia matematica e francese a prima media.
Per scorrere un atlante o spiegare le frazioni non occorre la laurea.
Se sbagliavo qualcosa poco male. Era un sollievo per i ragazzi. Si cercava insieme. Le ore passavano serene senza paura e senza soggezione. Lei non sa fare scuola come me.
politica o avarizia
Poi insegnando imparavo tante cose.
Per esempio ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia.
Dall’avarizia non ero mica vaccinato. Sotto gli esami avevo voglia di mandare al diavolo i piccoli e studiare per me. Ero un ragazzo come i vostri, ma lassù non lo potevo confessare né agli altri né a me stesso. Mi toccava esser generoso anche quando non ero.
A voi vi parrà poco. Ma coi vostri ragazzi fate meno. Non gli chiedete nulla. Li invitate soltanto a farsi strada.

I RAGAZZI DI PAESE

contorti
Dopo l’istituzione della scuola media a Vicchio arrivarono a Barbiana anche ragazzi di paese. Tutti bocciati, naturalmente.
Apparentemente il problema della timidezza per loro non esisteva. Ma erano contorti in altre cose.
Per esempio consideravano il gioco e le vacanze un diritto, la scuola un sacrificio. Non avevano mai sentito dire che a scuola si va per imparare e che andarci è un privilegio.
Il maestro per loro era dall’altra parte della barricata e conveniva ingannarlo. Cercavano perfino di copiare. Gli ci volle del tempo per capire che non c’era registro.
il galletto
Anche sul sesso gli stessi sotterfugi. Credevano che bisognasse parlarne di nascosto. Se vedevan...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Credere, disobbedire, lottare
  4. Lettera a una professoressa
  5. Parte prima. La scuola dell’obbligo non può bocciare
  6. Parte seconda. Alle magistrali bocciate pure, ma...
  7. Parte terza. Documentazione
  8. Postfazione. La lezione di Dio
  9. Copyright