
- 700 pagine
- Italian
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Notre-Dame de Paris
Informazioni su questo libro
La cattedrale di Notre-Dame è il cuore di Parigi, città in cui si incrociano i destini di Quasimodo, il campanaro deforme che salva dall'impiccagione la bella zingara Esmeralda, di Gringoire, il poeta pazzo e girovago, del nobile ufficiale Phoebus, di Frollo, l'arcidiacono dall'anima nera, e della folla tumultuante dei reietti. Grandioso affresco a tinte forti, ricco di colpi di scena, il romanzo - popolato da ombre sinistre - incarna i temi del romanticismo: la storia come luogo d'azione; il popolo che per la prima volta entra a viva forza nella letteratura; il raffronto tra l'orrido e il bello e, soprattutto, il bene sconfitto dal male.
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Informazioni
LIBRO DECIMO
I
Gringoire ha parecchie buone idee in via des Bernardins
Da quando Pierre Gringoire aveva capito come andava a finire tutta quella faccenda, e che vi sarebbero stati certamente corda, impiccagione e altre disavventure per i personaggi principali di questa commedia, non se ne era più immischiato. I malviventi, tra i quali era rimasto considerando che in definitiva costituivano la migliore compagnia di Parigi, i malviventi avevano continuato a occuparsi dell’egiziana. Egli aveva trovato questo molto normale da parte di gente che non aveva, come lei, altre prospettive se non Charmolue e Torterue e che non cavalcava, come lui, nei regni dell’immaginazione tra le due ali di Pegaso. Aveva appreso da loro come la donna che aveva sposato con la brocca rotta si fosse rifugiata in Notre-Dame e ne era ben lieto. Ma non aveva nemmeno la tentazione di andarla a vedere. Ogni tanto pensava alla capretta, e questo era tutto. Del resto, di giorno doveva darsi molto da fare per vivere, di notte andava elucubrando un memoriale contro il vescovo di Parigi, i cui mulini, ricordava, l’avevano inondato con le loro ruote, del che gli serbava rancore. Si occupava inoltre di commentare la bella opera di Baudry-le-Rouge, vescovo di Noyon e di Tournay, De Cupa Petrarum,1 la qual cosa gli aveva comunicato un amore violento per l’architettura; inclinazione che nel suo cuore aveva sostituito la sua passione per l’ermetismo, di cui del resto era un naturale corollario, poiché esiste un intimo legame tra l’ermetica e l’edilizia. Gringoire era passato dall’amore di un’idea all’amore della forma di quell’idea.
Un giorno, si era fermato vicino a Saint-Germainl’Auxerrois all’angolo di un palazzo che si chiamava le For-l’Evêque, che stava di fronte a un altro chiamato le Forle- Roi. C’era in quel For-l’Evêque una incantevole cappella del quattordicesimo secolo la cui abside dava sulla strada. Gringoire ne esaminava devotamente le sculture esterne. Era uno di quei momenti di godimento egoistico, esclusivo, supremo, in cui l’artista non vede nel mondo altro che l’arte e vede il mondo nell’arte. A un tratto, egli sente una mano posarglisi pesantemente sulla spalla. Si volta. Era il suo amico di un tempo, il suo antico maestro, monsignore l’arcidiacono.
Rimase stupefatto. Da molto tempo non vedeva l’arcidiacono, e don Claude era uno di quegli uomini ieratici e appassionati l’incontro con i quali altera sempre l’equilibrio di un filosofo scettico.
L’arcidiacono rimase per qualche istante in un silenzio durante il quale Gringoire ebbe agio di osservarlo. Trovò don Claude molto cambiato, pallido come un mattino d’inverno, gli occhi infossati, i capelli quasi bianchi. Fu il prete a rompere per primo il silenzio dicendo in tono tranquillo ma glaciale: «Come state, maestro Pierre?».
«Di salute?» rispose Gringoire. «Eh! eh! potrei dire così così. Tuttavia nell’insieme va bene. Non faccio eccessi. Sapete, maestro, il segreto per stare bene, secondo Ippocrate, id est cibi, potus, somni, Venus, omnia moderata sint.»2
«Voi non avete dunque alcuna preoccupazione, maestro Pierre?» riprese l’arcidiacono guardando fissamente Gringoire.
«In fede mia, no.»
«E che cosa fate adesso?»
«Voi lo vedete, maestro. Osservo il taglio di queste pietre e la tecnica con cui è scolpito questo bassorilievo.»
Il prete sorrise, di uno di quei sorrisi amari in cui un solo angolo della bocca viene rialzato.
«E ciò vi diverte?»
«È il paradiso!» esclamò Gringoire. E chinandosi sulle sculture con l’espressione fanatica di chi mostra fenomeni viventi: «Non trovate, per esempio, che questa metamorfosi in bassorilievo sia eseguita con grande abilità, incanto e pazienza? Guardate questa colonnina. Intorno a quel capitello avete visto foglie più tenere e meglio accarezzate dallo scalpello? Ecco qui tre sculture a tutto tondo di Jean Maillevin. Non sono le opere più belle di questo grande genio. Nondimeno l’ingenuità, la dolcezza dei volti, la vivacità degli atteggiamenti e dei panneggi e quella grazia inesplicabile, che si confonde con tutti i difetti, rendono le figure molto piacevoli e delicate, forse anche troppo. – Non pensate che sia divertente?».
«Sì davvero!» disse il prete.
«E se vedeste l’interno della cappella!» riprese il poeta con il suo entusiasmo loquace. «Dappertutto sculture. È folto come un cuore di cavolo. L’abside ha una forma molto spirituale e così speciale che non ho mai visto nulla di simile altrove!»
Don Claude lo interruppe: «Siete dunque felice?».
Gringoire rispose con calore:
«Sì, sul mio onore! Ho amato prima le donne, poi le bestie. Ora amo le pietre. È altrettanto divertente che amare le donne e le bestie, e meno infido.»
Il prete si mise la mano sulla fronte. Era il suo gesto abituale. «In verità!»
«Insomma» disse Gringoire «i godimenti non mancano!» Egli prese il braccio del prete che lo lasciò fare e lo fece entrare sotto la torretta della scala del Forl’Evêque. «Ecco questa scala! ogni volta che la vedo, sono felice. È fatta nel modo più semplice e più raro di Parigi. Tutti i gradini sono smussati nella parte sottostante. La bellezza e la semplicità di questa scala consiste nel fatto che le superfici superiori degli scalini, larghe press’a poco un piede, sono intrecciate, inchiavardate, incastrate, incatenate, incassate l’una nell’altra, e si mordono tra loro in modo veramente saldo ed elegante!»
«E voi non desiderate niente?»
«No.»
«E non rimpiangete niente?»
«Né rimpianti né desideri. Ho dato un assetto alla mia vita.»
«Ciò a cui gli uomini hanno dato un assetto viene scompaginato dalle cose.»
«Io sono un filosofo pirroniano» rispose Gringoire «e tengo tutto in equilibrio.»
«E la vita, come ve la guadagnate?»
«Scrivo ancora ogni tanto epopee e tragedie, ma ciò che mi rende di più è l’industria alla quale mi avete visto dedito, maestro. Portare piramidi di sedie con i denti.»
«Il mestiere è volgare per un filosofo.»
«Si tratta sempre di equilibrio» disse Gringoire. «Quando si ha un pensiero lo si ritrova in tutto.»
«Lo so» rispose l’arcidiacono.
Dopo un silenzio, il prete riprese: «Non vi pare di essere nondimeno abbastanza miserabile?».
«Miserabile, sì; infelice, no.»
In quel momento si udì un rumore di cavalli e i nostri due interlocutori videro sfilare in fondo alla strada una compagnia degli arcieri dell’ordinanza del re, le lance alzate, l’ufficiale in testa. La cavalcata era splendida e risuonava sul lastricato.
«Come guardate quell’ufficiale!» disse Gringoire all’arcidiacono.
«Il fatto è che mi pare di riconoscerlo.»
«Come si chiama?»
«Credo» disse Claude «che si chiami Phoebus di Châteaupers.»
«Phoebus! che nome curioso! c’è anche un Phoebus conte de Foix. Ricordo di avere conosciuto una ragazza che non giurava che per Phoebus.»
«Venite con me» disse il prete. «Ho qualcosa da dirvi.»
Dopo il passaggio dei soldati, sembrava trapelare dalla scorza glaciale dell’arcidiacono una certa agitazione. Egli si mise in cammino. Gringoire lo seguiva, abituato a obbedirgli, come tutti quelli che avevano avvicinato una volta quell’uomo tanto pieno di autorità morale. Arrivarono in silenzio fino alla via des Bernardins, che era abbastanza deserta. Qui don Claude si fermò.
«Che mi dovete dire, maestro?» gli domandò Gringoire.
«Non trovate» rispose l’arcidiacono con un’aria di profonda riflessione «che l’abito di quei cavalieri che abbiamo visto è più bello del vostro e del mio?»
Gringoire scosse la testa. «In fede mia! preferisco la mia giubba gialla e rossa a quelle valve di ferro e di acciaio. Bel gusto fare, camminando, lo stesso rumore del marciapiede della Ferraille durante un terremoto!»
«Dunque, Gringoire, voi non avete mai invidiato quei bei ragazzi in uniforme da guerra?»
«Invidia di che, monsignore arcidiacono? della loro forza, della loro armatura, della loro disciplina? Meglio la filosofia e l’indipendenza tra gli stracci. Preferisco essere testa di mosca che coda di leone.»
«Questo è strano» disse meditabondo il prete. «Eppure una bella divisa è sempre bella.»
Gringoire, vedendolo pensieroso, lo lasciò per andare ad ammirare il portico di una casa vicina. Ritornò battendo le mani. «Se foste meno preso dalle belle uniformi dei soldati, signor arcidiacono, vi pregherei di andare a vedere quella porta. L’ho sempre detto, la casa del signor Aubry ha l’ingresso più superbo del mondo.»
«Pierre Gringoire» disse l’arcidiacono «che ne avete fatto di quella piccola danzatrice egiziana?»
«La Esmeralda? Come cambiate argomento bruscamente!»
«Non era vostra moglie?»
«Sì, per via di una brocca rotta. Ne avevamo per quattro anni. – A proposito» disse Gringoire guardando l’arcidiacono con un’aria un po’ canzonatoria «ci pensate dunque sempre?»
«E voi, non ci pensate più?»
«Poco. – Ho tante cose!… mio Dio, com’era carina quella capretta!»
«Quella zingara non vi aveva forse salvato la vita?»
«Perdio, è vero.»
«Ebbene! che ne è stato? che ne avete fatto?»
«Non so che dire. Credo che l’abbiano impiccata.»
«Credete?»
«Non ne sono sicuro. Quando ho visto che si parlava di impiccare gente, mi sono ritirato dal gioco.»
«Questo è tutto quello che sapete?»
«Dunque, aspettate. Mi hanno detto che si era rifugiata in Notre-Dame, e che lì era al sicuro, e ne sono felice, ma non sono riuscito a scoprire se la capra si era salvata con lei, ed è tutto quello che ne so.»
«Vi darò ulteriori informazioni» esclamò don Claude, e la sua voce, fino allora bassa, lenta e quasi sorda, era divenuta tonante. «In effetti si è rifugiata a Notre-Dame. Ma fra tre giorni la giustizia andrà lì a riprendersela, e sarà impiccata alla Grève. C’è un decreto del parlamento.»
«Questo è spiacevole» disse Gringoire.
Il prete in un batter d’occhio, era ritornato freddo e calmo.
«E chi diavolo» riprese il poeta «si è dunque divertito a sollecitare un decreto di reintegrazione? Non si poteva lasciare tranquillo il parlamento? Che importa se una povera ragazza si rifugia sotto gli archi rampanti di Notre-Dame a fianco dei nidi di rondini?»
«Ci sono dei satana nel mondo» rispose l’arcidiacono.
«Questa storia si mette diabolicamente male» osservò Gringoire.
L’arcidiacono riprese dopo un silenzio: «Dunque, lei vi ha salvato la vita?».
«Dai miei buoni amici malviventi. Ero più o meno perduto. Oggi se ne sarebbero rammaricati.»
«Non volete fare nulla per lei?»
«Non è che ci andrò di mezzo io immischiandomi in questo brutto affare?»
«Che importa!»
«Come! che importa! Per voi va tutto bene, ma io ho due grandi opere iniziate.»
Il prete si colpì la fronte. Nonostante la calma che ostentava un gesto di violenza rivelava ogni tanto la sua tensione interna. «Come salvarla?»
Gringoire gli disse: «Maestro, vi risponderò: Il padelt, che in turco vuol dire: Dio è la nostra speranza».
«Come salvarla?» ripeté Claude pensieroso.
A sua volta Gringoire si picchiò la fronte.
«Ascoltate, maestro. Io non manco di immaginazione. Troverò qualche espediente. – Se chiedessimo al re la grazia?»
«A Luigi XI? una grazia?»
«Perché no?»
«È come togliere l’osso a una tigre!»
Gringoire si mise a cercare nuove soluzioni.
«Ebbene! allora! – Volete che rivolga una richiesta alle levatrici dichiarando che la ragazza è incinta?»
Questa domanda fece brillare le pupille infossate del prete.
«Incinta! mascalzone! forse tu ne sai qualche cosa?»
Aveva un aspetto che spaventò Gringoire, il quale si affrettò a dire: «Oh! non io! Il nostro matrimonio era un vero forismaritagium.3 Io sono rimasto fuori dalla porta. Ma intanto otterremmo una proroga.»
«Follia! infamia! taci!»
«Avete torto a prendervela» borbottò...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione
- Nota bio-bibliografica
- NOTRE-DAME DE PARIS
- LIBRO PRIMO
- LIBRO SECONDO
- LIBRO TERZO
- LIBRO QUARTO
- LIBRO QUINTO
- LIBRO SESTO
- LIBRO SETTIMO
- LIBRO OTTAVO
- LIBRO NONO
- LIBRO DECIMO
- LIBRO UNDICESIMO
- Copyright