Siamo la prima generazione di esseri umani che ha il privilegio di poter contemplare la Terra dallo spazio. Le istantanee degli astronauti delle missioni Apollo ci hanno restituito l’immagine di un piccolo pianeta, un gioiello bianco e blu che si staglia nell’immensa oscurità del cosmo. I colori che caratterizzano la Terra sono molto brillanti se rapportati a quelli degli altri pianeti del sistema solare. Sono colori bellissimi, rivelatori della presenza di acqua, nei tre stati: liquido, solido e gassoso. Il bianco delle nubi e delle calotte polari e il blu degli oceani sono testimoni del carattere straordinario di questo pianeta.
L’acqua allo stato liquido è una condizione necessaria per la vita. Ma non è facile trovarla perché la temperatura media dell’Universo è di −270 °C. Quando è presente, l’acqua si trova allo stato solido (ghiaccio). Solo a una certa distanza da una stella è possibile avere acqua allo stato liquido. Una distanza né troppo vicina né troppo lontana dalla stella definisce la “zona abitabile” circumstellare. Nel sistema solare i pianeti che orbitano all’interno della “zona abitabile” sono solo tre: Venere, Terra e Marte. Venere potrebbe avere acqua (nessuno lo sa con certezza), ma sicuramente non allo stato liquido, visto che, a causa dell’enorme coltre di CO2 che costituisce il 98% della sua atmosfera, la temperatura media di superficie è di 460 °C. Marte ha una temperatura media di superficie di −63 °C. In certi periodi dell’anno, in alcune zone di Marte si registrano temperature di superficie superiori a 0 °C, e potrebbe quindi essere presente acqua allo stato liquido. Purtroppo, però, il pianeta ha una pressione atmosferica di appena 8 millibar,1 insufficiente per mantenere l’acqua allo stato liquido per tempi lunghi. L’acqua, infatti, sublima in vapore o ghiaccia senza passare dallo stato liquido. È veramente difficile trovare acqua su Marte.
Sulla Terra, invece, trovare acqua allo stato liquido è facile. Così facile che ci dimentichiamo di quanto sia straordinario. La Terra è un piccolo paradiso. Si trova al centro della “zona abitabile” circumstellare. La sua superficie è coperta per due terzi da acqua. In più, la Terra ha una pressione atmosferica e una certa variabilità di temperature che consentono di avere acqua nei suoi tre stati – liquido, solido, gassoso – contemporaneamente in punti diversi del pianeta. Per questo la Terra può ospitare la vita. Molta gente si lamenta quando piove. Io non smetto mai di meravigliarmi della pioggia. Non conosciamo nessun altro pianeta dove piova acqua allo stato liquido.
Ma la Terra è qualcosa di più che un semplice supporto per la biosfera: è un pianeta vivo, dove le creature viventi che la abitano interagiscono con l’acqua, con l’aria e con il suolo per alimentare un metabolismo sui generis che ha garantito le condizioni di abitabilità sulla Terra per 38 milioni di secoli.
Origine dell’ipotesi di Gaia
Come siamo arrivati a capire che la Terra non è solo un pianeta che ospita la vita, ma è un pianeta vivente con una propria fisiologia? La prima intuizione fu dello scienziato britannico James Lovelock. Dopo l’esperienza trascorsa alla NASA a metà degli anni Sessanta, Lovelock cominciò a meditare su due insolite caratteristiche del nostro pianeta: 1) la temperatura media di superficie è decisamente più bassa di quella che si potrebbe dedurre, considerata la distanza dal Sole; 2) la composizione chimica dell’atmosfera è assai improbabile, caratterizzata in prevalenza da azoto (N2) e ossigeno (O2) molecolari, dalla virtuale assenza di anidride carbonica (CO2) e dalla presenza in tracce di alcuni gas che non dovrebbero esserci (vedi Tavola 1). Fra questi, il metano (CH4) in particolare era un enigma. In un’atmosfera che contiene grandi quantità di ossigeno, una molecola molto reattiva come il metano avrebbe dovuto essere scomparsa da tempo. Lovelock pensò che se il metano continuava comunque a essere presente, voleva dire che qualche sorgente provvedeva a liberare tale gas nell’atmosfera. Sorgenti geologiche erano da escludere. La sorgente doveva essere biologica. Ma quale? Lovelock consultò Lynn Margulis, brillante ed eterodossa microbiologa americana, che confermò i suoi sospetti: la Terra è popolata da un enorme numero di microrganismi che generano metano e lo liberano nell’atmosfera. Iniziò così la collaborazione tra due grandi scienziati del XX secolo.
Progressivamente Lovelock e Margulis si convinsero che la strana composizione chimica dell’atmosfera terrestre fosse in gran parte opera degli organismi viventi che abitano il pianeta: sono loro infatti a produrre quasi tutto l’azoto e tutto l’ossigeno che troviamo nell’atmosfera. E sono sempre gli organismi viventi che controllano la concentrazione della CO2 nell’atmosfera, mantenendo così la temperatura media di superficie entro valori compatibili con la presenza di acqua allo stato liquido. Non c’è dubbio: la biosfera è una forza geologica capace di modellare l’atmosfera e di regolare la temperatura di superficie del pianeta. Negli anni Settanta questa idea appariva però assai bizzarra. La comunità scientifica era scettica. Nel 1974 Lovelock e Margulis rompono gli indugi e scrivono un articolo pubblicato dalla rivista “Tellus”,2 diretta dal famoso astronomo americano Carl Sagan, incidentalmente all’epoca marito di Lynn Margulis. L’articolo era assolutamente rigoroso e convincente, ma era talmente avanzato per le conoscenze dell’epoca che resta il dubbio che l’amore coniugale abbia un pochino influito sulla sua pubblicazione. Margulis, infatti, era entusiasta dell’idea di Gaia ed è stata la prima scienziata a comprendere veramente la portata della scoperta. Lovelock era inizialmente più scettico. Aveva chiamato la sua ipotesi BUSH, acronimo di Biocybernetic Universal System Homeostasis, che tradotto in italiano suona come “sistema omeostatico universale biocibernetico”. Un nome tecnicamente ineccepibile, ma che non suscita alcuna emozione.
TAVOLA 1
L’effetto di Gaia sul pianeta Terra. Confronto della composizione chimica dell’atmosfera, della temperatura e della pressione di superficie di Venere, Terra e Marte
| Venere | Terra | Marte |
| CO2 (%) | 96,5 | 0,04 | 95,3 |
| N2 (%) | 3,5 | 78 | 2,7 |
| O2 (%) | assente | 21 | 0,13 |
| T media (°C) | 460 | 14 | −63 |
| P media (bar) | 93 | 1 | 0,008 |
L’idea di intitolare a Gaia l’ipotesi venne suggerita a Lovelock dallo scrittore William Golding, premio Nobel per la letteratura, con il quale Lovelock aveva l’abitudine di intrattenere lunghe conversazioni. Golding fece osservare a Lovelock che il suo BUSH stava descrivendo in modo scientifico quello che gli antichi mistici avevano da sempre vagheggiato: la Terra è un organismo vivente. Gaia dunque, la Madre Terra della cosmogonia greca, era il nome giusto. L’idea piacque subito tantissimo al movimento ambientalista. Molto meno agli scienziati dell’epoca, i quali forse avrebbero accettato BUSH e l’idea di un sistema omeostatico biocibernetico. Ma Gaia, con il suo contorno un po’ hippie e un po’ new age, proprio no. Solo la rivista “Tellus” accolse l’ipotesi di Gaia. E per diversi anni rimase un caso isolato.
Il controllo della biosfera sulla composizione chimica dell’atmosfera
Ma come funziona esattamente Gaia? Gaia non è come tutti gli altri organismi viventi che conosciamo. Anche solo da un punto di vista termodinamico, la differenza è fondamentale. Gli organismi viventi sono sistemi aperti attraversati da flussi di energia e di materia. Gaia è invece un sistema chiuso che riceve energia (principalmente dal Sole), ma i cui scambi di materia con lo spazio sopra (il cielo) e sotto (la terra) di lei sono irrilevanti. Gaia, quindi, è obbligata a riciclare continuamente tutti gli elementi chimici essenziali alla vita. Gli scarti di un organismo sono il nutrimento per un altro e così via, fino a chiudere quello che poeticamente è stato definito “il grande cerchio della vita”. Gli elementi chimici essenziali alla vita vengono metabolizzati dalla biosfera e dopo il loro utilizzo rilasciati nel suolo, nell’aria o nell’oceano.
Il 99% delle molecole che compongono l’atmosfera sono frutto di processi chimico-fisici mediati dalla biosfera. Le due principali specie molecolari – l’ossigeno e l’azoto – sono prodotti che transitano nell’atmosfera provenendo rispettivamente dal ciclo del carbonio, a opera degli organismi fotosintetizzatori, e dal ciclo dell’azoto, a opera degli organismi denitrificatori. Ma la loro permanenza nell’atmosfera è solo temporanea. I fotosintetizzatori e i denitrificatori svolgono infatti la loro azione in tandem rispettivamente con gli organismi respiratori e con gli organismi azotofissatori, formando un ciclo chiuso. Tutti gli elementi chimici che entrano nella grande giostra della biosfera sono inseriti in cicli chiusi. Il ciclo è il modo di operare di Gaia. Questo non vuol dire che gli elementi siano tutti contemporaneamente in circolo. Vuol dire solo che sui tempi lunghi (che per Gaia possono essere anche centinaia di milioni di anni) tutti gli elementi necessari alla biosfera entrano in gioco. Ai nostri occhi, avvezzi a scale temporali molto più piccole, questi elementi chimici appaiono parcheggiati in quelli che gli ecologi chiamano “pozzi”, dove gli elementi si trovano in forme chimiche stabili non immediatamente utilizzabili dalla biosfera. Ma al mutare delle condizioni, i “pozzi” possono trasformarsi in “serbatoi”. Questo accade quando un organismo vivente trova il modo di utilizzare un certo elemento nella forma in cui è nel pozzo. Pozzi e serbatoi funzionano quindi come una sorta di conto corrente bancario, dove i diversi organismi viventi depositano ciò che hanno in eccesso e prelevano ciò di cui hanno bisogno.
GILDE BIOCHIMICHE
I geofisiologi, gli scienziati che si occupano di Gaia, adottano una classificazione su base funzionale, riunendo gli organismi viventi in gruppi che svolgono la stessa funzione biochimica nei cicli biogeochimici del pianeta. Nel gergo dei geofisiologi questi gruppi si chiamano “gilde”. Ogni gilda è caratterizzata da una speciale funzione nel metabolismo di Gaia. Abbiamo così gilde globali, come quella dei fotosintetizzatori, che raggruppa tutti gli organismi capaci di svolgere fotosintesi clorofilliana, dai microscopici cianobatteri alle gigantesche sequoie. Gilde più piccole, come quella degli impollinatori, che include api, farfalle, colibrì, ecc. E gilde piccolissime, come quella dei cromofissatori.3
Le gilde biochimiche consentono di individuare le specie chiave che possiedono un corredo enzimatico fondamentale. Le specie chiave sono capaci di estrarre dall’ambiente un determinato elemento chimico e di metterlo a disposizione dell’intera biosfera, in un processo chiamato “organicazione”. Ogni ciclo biogeochimico è caratterizzato da una gilda che svolge il ruolo di organicazione e da una gilda che svolge il ruolo opposto, cioè restituisce l’elemento chimico alle matrici che sostengono Gaia: il suolo (pedosfera), l’aria (atmosfera) e l’acqua (idrosfera). Nel ciclo del carbonio la gilda dei fotosintetizzatori provvede all’organicazione del carbonio, mentre la gilda dei respiratori provvede a restituire il carbonio all’atmosfera. Nel mezzo il carbonio partecipa alla vita di Gaia, trasferendosi da un organismo all’altro. Una pianta di trifoglio, che appartiene alla gilda dei fotosintetizzatori ed è quindi capace di organicare il carbonio contenuto nella CO2 dell’atmosfera, può diventare il nutrimento di una lepre, e il carbonio che prima apparteneva al metabolismo del trifoglio entra a far parte del metabolismo della lepre. A sua volta, la lepre può essere preda di una volpe, e il carbonio si trasferisce ed entra nel metabolismo della volpe. Il trifoglio, la lepre e la volpe appartengono alla gilda dei respiratori, e in qualsiasi momento il carbonio organicato (dal trifoglio) o assunto nell’alimentazione (dalla lepre o dalla volpe) può essere ossidato a CO2 e liberato nell’atmosfera. Oppure l’organismo muore e allora sono i decompositori a provvedere alla liberazione del carbonio nelle matrici gaiane. Le gilde dei respiratori e dei decompositori chiudono così il ciclo del carbonio. Lo scrittore Primo Levi dedica l’ultimo capitolo del suo Sistema periodico4 all’atomo di carbonio, descrivendone mirabilmente le varie fasi, organiche e inorganiche: la poetica della biogeochimica.
Nel ciclo dell’azoto, la gilda degli azotofissatori provvede all’organicazione dell’azoto, che entra così a far parte del metabolismo degli organismi viventi. Ogni atomo di azoto dei nostri corpi è stato in un qualche momento organicato e processato da un organismo vivente che ce lo ha preparato nella forma adatta per il nostro metabolismo, che noi abbiamo assunto attraverso il nutrimento. L’azoto, come il carbonio, si trasferisce da un organismo all’altro fino a quando, al termine del ciclo, anche l’azoto viene restituito alle matrici gaiane a opera degli organismi denitrificatori.
I CICLI BIOGEOCHIMICI
Il carbonio è l’elemento chimico su cui ruota tutta la biosfera. È molto versatile, perché può formare quattro legami covalenti. Non è un aggressivo ladro di elettroni come l’ossigeno e può quindi legarsi serenamente ad atomi di idrogeno, formando composti non polari. A contatto con l’ossigeno si ossida con facilità e dà origine a composti stabili. Insomma, in chimica è il compagno ideale per fare pressoché qualsiasi cosa. La biosfera l’ha adottato per formare gli scheletri delle molecole organiche. E attraverso il ciclo del carbonio la biosfera regola la quantità di CO2 e di O2 presente nell’atmosfera.
Il ciclo dell’azoto è secondo solo a quello del carbonio per importanza nel metabolismo di Gaia. L’azoto è il principale elemento presente nell’aria, contribuisce in modo sostanziale al mantenimento della pressione atmosferica, ed è virtualmente ubiquitario nella biosfera: dagli amminoacidi che costituiscono le proteine alle basi azotate degli acidi nucleici, passando per un enorme numero di biomolecole. Il biochimico canadese George R. Williams ha probabilmente più di ogni altro studiato la relazione tra il metabolismo delle cellule e il metabolismo di Gaia. Nel suo libro The Molecular Biology of Gaia (La biologia molecolare di Gaia),5 Williams osserva come tre soli enzimi – la glutammina sintetasi, l’azoto reduttasi e la nitrogenasi – catalizzino reazioni fondamentali non unicamente per i rispettivi organismi, legittimi proprietari degli enzimi, ma anche per l’intero ciclo biogeochimico dell’azoto.
Secondo Williams è significativo che l’interazione a livello biologico dei grandi cicli biogeochimici del carbonio e dell’azoto in realtà rifletta eventi che si verificano a livello molecolare. Si può quindi sostenere che la regolazione di questi cicli biogeochimici risieda nel controllo molecolare sul metabolismo degli organismi. Da questa prospettiva, il metabolismo globale è una conseguenza delle proprietà delle proteine sintetizzate sotto il controllo dei geni, esattamente come lo vediamo nel metabolismo cellulare. I cicli biogeochimici degli elementi nutritivi sono regolati dagli stessi meccanismi molecolari cui sottostanno i processi metabolici degli organismi viventi, facendo emergere una proprietà globale del sistema che fa davvero pensare al metabolismo di un superorganismo.
I CONFINI DI GAIA E IL TASSO DI RICIRCOLO
L’ipotesi di Gaia ha portato a una riconsiderazione globale dei confini propri della biosfera. Non è facile capire fin dove si estende il potere della vita sul pianeta, ma è possibile farlo utilizzando un’analogia con il corpo umano. Se non disponessimo della pelle come confine, potremmo lo stesso riconoscerci come organismi viventi considerando alcuni parametri funzionali. Per esempio, potremmo considerare il flusso del filtrato dei glomeruli renali (200 litri/giorno) rapportandolo all’attività dell’emuntorio (2-3 litri/giorno) e scoprire che il tasso di ricircolo che caratterizza il nostro...